Le elezioni americane si vincono o si perdono sempre sulla politica interna, e cioè in gran parte sulle tasse. Le parole con cui il 18 agosto 1998 George W.H. Bush (il padre) accettò la nomination della Convenzione nazionale Repubblicana, «Read my lips: no new taxes» (“Leggete le mie labbra: nessuna nuova tassa”), sono passate alla storia. Anche perché, quattro anni dopo, a Bush padre costarono la rielezione. Non aveva mantenuto la promessa e gli americani se ne sono ricordati. Ad aiutarli c’era Grover Norquist, classe 1956, il “terrore” dei politici tassatori e spendaccioni. E Norquist c’è anche quest’anno, attento, vigile. Nel 1985 ha fondato l’Americans for Tax Reform (ATR) su richiesta dell’allora presidente Ronald Reagan (autore, nel 1981, della più grande riduzione fiscale della storia americana) e da allora la sua missione è costringere la politica a piegarsi sui contribuenti, mai viceversa. A ogni tornata elettorale, propone a tutti i candidati, di qualsiasi partito, un patto chiaro e preciso con gli elettori: poche parole semplici, il vecchio “read my lips”, mai votare aumenti delle tasse. La forza grande dell’ATR è tenere monitorati i politici che s’impegnano e sbugiardarli quando tradiscono, ma anche plaudere quando mantengono. I “coalition meeting” che, off-record, l’ATR svolge settimanalmente a Washington per mettere attorno a un tavolo decine e decine di leader dell’universo conservatore servono anche a quello. I politici, in specie quelli Repubblicani, sanno che sono “riserve di voti”.

Grover Norquist ha fondato l’Americans for Tax Reform nel 1985 su richiesta dell’allora presidente Ronald Reagan
«Tutti i candidati Repubblicani in corsa nelle primarie», dice Norquist a Libero, «hanno sottoscritto il nostro patto a tutela dei contribuenti. Hanno formulato tutti progetti seri di riforma del sistema fiscale e di riduzione delle imposte. La buona notizia è che le proposte politiche di tutti i Repubblicani in lizza si assomigliano, e si assomigliano in positivo. Imposte basse, sovranità nazionale, piena libertà alle imprese».
Nessuna preoccupazione nemmeno dall’istrionico Trump? «Il suo problema maggiore è che non ha curriculum. Non ha mai votato al Senato e non ha mai sostenuto una legge come governatore di uno Stato. Non esistono suoi discorsi programmatici e ha cambiato spesso posizione. Nessuno può cioè sapere se le sue posizioni attuali su argomenti politicamente chiave quali l’aborto o l’immigrazione siano sincere o dettate solo da calcolo elettorale».
L’immigrazione appunto… «Sì, è un nodo centrale. Bisogna stabilire quanti lavoratori stranieri ci servono e possiamo permetterci, ma anche difendere il Paese. E in che modo? Un muro? Mah… E poi faccia attenzione: non è che di questo tema i candidati in gara abbiano poi in realtà straparlato…».
Se le aspettava delle primarie così? «No, le soprese sono state molte. Pensavo che il campo sarebbe stato dominato dai governatori in carica o ex (Scott Walker del Wisconsin, Chris Christie del New Jersey, John Kasich dell’Ohio, Jeb Bush della Florida, Rick Perry del Texas), gente legata al territorio, conosciuta dagli elettori e lontana da Washington in un momento storico in cui Washington non gode di buona stampa, ma non è stato così. Un businessman e due senatori esauriscono il campo».
E dopo il “Supermartedì”? «Quella tra i Repubblicani dovrà inevitabilmente ridursi a una gara a due».
Cosa la preoccupa di più? «Che, dopo la morte di Antonin G. Scalia, il nuovo presidente avrà il potere di decidere chi deciderà dentro la Corte Suprema».
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Il guru di Reagan promuve Trump sulle tasse
in Libero [Libero quotidiano], anno LI, n. 65, Milano 06-03-2016, p. 15
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