I cattolici contro Donald Trump, e quelli a favore

Trump storeUniversità di Houston, Texas, uno degli scacchieri chiave di oggi 1° marzo, il “Supermartedì” in cui i Repubblicani votano in 14 Stati assieme. Giovedì sera 25 febbraio si è svolto qui il decimo dibattito televisivo tra gli aspiranti alla nomimation presidenziale del Grand Old Party (GOP, l’altro nome dei Repubblicani) e qui Donald Trump ha subito l’offensiva, disgiunta ma sincronica, di Marco Rubio e di Ted Cruz. Per Brian Burch, fondatore e presidente di “Catholic Vote”, è una conferma: Trump è debole e il suo successo lo dove all’incapacità dei suoi rivali di unirsi finalmente in un progetto comune. E per di più il populismo di Trump non ha nulla a che vedere con il conservatorismo, pur variegato, degli altri Repubblicani in lizza che i cattolici non possono che preferire.

Nato nel 2008 a Chicago, “Catholic Vote” è un advocacy group dalle idee chiare. Portare i cattolici alle urne invece che lasciarli a ingrossare le fila dell’astensionismo e farli votare candidati rispettosi dei “princìpi non negoziabili” stabiliti dal magistero della Chiesa: difesa della vita, della famiglia naturale, della libertà religiosa e di quella di educazione. Potrebbero sembrare semplici beghe da confessionale, ma gli strateghi delle campagne elettorali scuotono il capo, soprattutto quelli del GOP. Con quasi 70 milioni persone, poco meno di un quarto della popolazione, i cattolici rimangono infatti la confessione di maggioranza relativa del Paese; e se pure un gran numero di loro continua a restare uno zoccolo duro del Partito Democratico, un numero non meno importante è quello dei cattolici indecisi ma potenzialmente decisivi sul piano elettorale. Per questo “Catholic Vote” sta facendo di tutto per promuovere Rubio e Cruz contro Trump, sognando che o Rubio o Cruz si ritirino rafforzando l’altro.

L’idea del “chiunque tranne Trump” la spiega a Libero il padre gesuita Joseph Fessio. Classe 1941, addottoratosi in Teologia nell’Università tedesca di Ratisbona con l’allora professor Joseph Ratzinger, nel 1978 ha fondato a San Francisco l’Ignatius Press, una delle case editrici cattoliche più prestigiose di tutti gli Stati Uniti, oltre che famosa per fedeltà alla Chiesa e orientamento conservatore. «Pur non potendo votare», dice pare Fessio, «alcun Democratico che su vita e famiglia sottoscriva il programma del suo partito (aborto a richiesta e “matrimonio” omosessuale), non potrei mai votare nemmeno Trump». E perché questo anatema? «Anzitutto perché è impossibile sapere da che parte Trump stia davvero: ha cambiato mille opinioni e l’unica certezza è che Trump sta dalla parte di Trump. Secondo, perché non voglio che il mio Paese sia rappresentato da un tipo così; se l’“americano cattivo” esiste, quello è Trump». Il suo altalenare sulle questioni morali, e quel sospetto di opportunismo che aumenta a ogni suo intervento o strillo, è la debolezza di Trump di fronte ai cattolici. Anche se non tutti.

Patrick J. Buchanan
Patrick J. Buchanan

Patrick J. Buchanan, per esempio, la pensa all’opposto. Padre Fessio lo definisce un buon cattolico e un gran conservatore con una cultura politica immensa. Vero. Giornalista di razza, autore di un libro al vetriolo dietro l’altro, Buchanan è stato consigliere di Richard Nixon, Gerald Ford e Ronald Reagan. Nel 1992 e nel 1996 ha corso le primarie nel Partito Repubblicano e nel 2000 è stato il candidato presidenziale del Reform Party del miliardario Ross Perot. La domenica mattina lo si può incontrare a St. Mary Mother of God, la chiesa nei pressi di Union Station, a Washington, dopo la liturgia antica in latino. Buchanan è convinto che il Partito Repubblicano sia una pagliacciata, e lo dice da tempo. Una masnada di guerrafondai, di uomini assetati di potere, di gente interessata solo al dio denaro. Da quando si gettò in politica, Buchanan si sente il campione dei MARs, un acronimo coniato dal sociologo Donald I. Warren e impugnato dal politologo Samuel T. Francis che significa “Middle American Radicals”. Ovvero il ceto medio espropriato e arrabbiato. A 77 anni Buchanan, che ancora non ha deciso di riporre la penna, vede nella ricetta Trump di nazionalismo più populismo la rivincita dei MARs ingannati dal “sistema”, buggerati dai partiti e depauperati da una politica che premia gli stranieri.

Comunque sia, la sfida è arrivata al dunque. Il “Supermartedì” è l’ultima spiaggia per convincere l’elettorato Repubblicano che la medicina Trump è peggio della malattia: vedrà nascere il tandem Rubio e Cruz (uno in corsa con il concorso dell’altro), oppure sarà la tomba di entrambi.

Marco Respinti

Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Il muro cattolico contro Donald
in Libero [Libero quotidiano], anno LI, n. 60, Milano 01-03-2016, p. 15

Una replica a “I cattolici contro Donald Trump, e quelli a favore”

  1. Avatar Appello dei conservatori cattolici a non votare Donald Trump |

    […] hanno dichiarato guerra a Donald J. Trump. Per primo ha rotto il ghiaccio, imperiosamente, Catholic Vote, l’advocacy group fondato a Chicago nel 2008 da Brian Burch per convincere i cattolici a eleggere […]

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