La chiesa del politicamente corretto ha canonizzato Nelson Mandela (1918-2013) già da vivo, puntando tutto sulla memoria corta del conformismo dominante; ma, si sa, le bugie hanno le gambe corte. A strappare indignati l’aureola speciosa che cinge la testa del leader sudafricano sono Giuseppe Brienza, Roberto Cavallo e Omar Ebrahime nel volume Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica. Ombre e luci su una storia tutta da scrivere (D’Ettoris, Crotone, pp.140, €12,90), prefato da Rino Cammilleri.
Liberato nel 1990 dopo 26 anni e mezzo di carcere, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1993 ed eletto nel 1994 presidente del nuovo Sudafrica post-apartheid, Mandela detto “Madiba” aveva infatti un pelo sullo stomaco lungo così. In carcere ci finì per terrorismo, legato com’era al Partito Comunista Sudafricano, bombarolo, e al suo leader, bianco, Yossel Mashel “Joe” Slovo. Presidente dell’African National Congress e fondatore del suo braccio armato, Mandela teorizzò la lotta di classe armata scrivendo cosucce tipo Come essere un buon comunista. I neri, infatti, li difendeva solo se erano rossi, e la lotta all’apartheid era un mero pretesto: «Il bianco», dichiarò a La Stampa il 23 agosto 1985, «deve essere completamente vinto e spazzato dalla faccia della terra prima di realizzare il mondo comunista». Attorno ebbe sempre un codazzo di estremisti, fra cui la prima moglie Winnie (ripudiata dopo la scarcerazione) che la giornalista Laurell Boyers (erede delle battaglie di Mandela) ricorda «come una volgare criminale», dedita solo a «una sequela di atrocità».
Da libero Mandela ha tifato per Saddam Hussein, stringendo amicizia con Yasser Arafat, Fidel Castro, Muhammar Gheddafi e Robert Mugabe. La nuova costituzione da lui varata nel 1996 estende come non mai l’aborto a richiesta, e fa del Sudafrica il primo e sinora l’unico Paese ad avere legalizzato le “nozze” gay.
E quando scoppiò truce la peste dell’aids, Mandela guardò altrove. Il primo caso registrato nel Paese è del 1982, e per Mandela e soci è sempre stato facile incolpare del cronico ritardo nel farvi fronte i segregazionisti incuranti dei neri, ma le realtà è ben diversa. L’aids s’impennò infatti proprio nel Sudafrica post-apartheid, quando la nuova libertà trasformò il Paese in un vero e proprio bordello a cielo aperto, e le grandi città divennero le capitali dello stupro soprattutto perché fra i neri si diffuse la credenza che il violentare una vergine li avrebbe guariti dal male. Il buon Mandela, allora, tetragono alfiere dell’antioccidentalismo, gran nemico degli organismi sovranazionali e torvo culture della teoria del complotto, accusò la CIA di cospirare con le case farmaceutiche per propagare l’idea che l’HIV fosse la causa dell’AIDS e spingere così la gente a farsi schiava dei costosi farmaci antiretrovirali mentre i suoi concittadini (fra cui uno dei suoi figli, nel 2005) morivano come mosche.
No, la faccia vera di Mandela non è quel santino che ancora gira come una madonna pellegrina.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il tittolo
Il lato oscuro del santificato Mandela, teorico delal violenza e amico dei tiranni
in Libero [Libero quotidiano], anno XLIX, n. 101, Milano 29-04-2014, p. 33
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