«Kume tunngun ta niemun», cioè “La pace sia con voi”, ha detto ieri Papa Francesco in lingua Mapudungun incontrando un gruppo di indios Mapuche nell’aerodromo di Maquehue, l’aeroporto militare di Temeuco, in Cile, e denunciando chi di loro o per loro incendia chiese e scuole per reclamare le terre di quella regione centromeridionale del Paese che i Conquistadores chiamarono Araucanía. Non a caso sono descritti come il popolo che da allora non ha mai seppellito l’ascia di guerra. Forse.
Appena finito di resistere agl’invasori incas, che usavano schiavizzare le popolazioni assoggettate, i Mapuche si scontrarono con gli spagnoli. Era il 1541. Un secolo dopo, nel 1641, il Trattato di Quillín sancì l’indipendenza del territorio indio. Fu il nuovo Stato cileno, indipendente dal 1818, a modificare progressivamente lo scenario. Dapprima, nel 1825, ribadì l’intangibilità dei Mapuche con il Trattato di Tapihue; poi, tra i primi anni 1860 e il 1881, cambiò politica inglobando progressivamente tutta l’Araucanía. Però, secondo lo scrittore argentino-iberico Horacio Vázquez Rial (1947-2012), ex trotzkysta convertitosi al conservatorismo, si trattò di una occupazione soprattutto simbolica. La colonizzazione avvenne più tardi, nel secolo XX, quando il governo concesse ad alcuni volontari terre da coltivare. Ma anche qui i conti non tornano. Né i Mapuche avevano idea di cosa fosse la proprietà privata delle terre, né vi furono proteste. Il loro irredentismo aggressivo è infatti un’ideologia assai più recente, oggi tutt’uno con l’antioccidentalismo più scontato e ostaggio della lotta armata comunista.
Come documentava già un anno fa il quotidiano statunitense The Washington Times, uno dei grandi sponsor dell’indipendentismo Mapuche è infatti l’organizzazione terrorista basca ETA e antichi sono i legami tra indios cileni e guerriglia rossa delle FARC colombiane, le quali si sono pure preoccupate del loro addestramento militare. Del resto, da due decenni gli attentati incendiari sono il blasone della Coordinadora Arauco-Malleco, l’organizzazione comunista guidata da Héctor Llaitul, ora in carcere, l’indio Mapuche che si è fatto le ossa combattendo il regime di Augusto Pinochet.
Curioso però. Perché nel febbraio 1989 i Consejos Regionales dei territori Mapuche hanno insignito Pinochet del titolo di «Ulmen Futa Lonco», cioè Capo Supremo, Condottiero e Guida, «per essersi prodigato sin dall’inizio del proprio mandato presidenziale affinché il Popolo Mapuche ricuperasse la propria dignità ricevendo i benefici sociali e la proprietà della sua terra negatagli dalla storia». Tra il 1979 e il 1990, infatti, l’applicazione dell’articolo 25 del decreto legge 2.568, firmato da Pinochet nella città di Villarrica, in Araucanía, prima trasferì a 2.639 indios la proprietà di 51 aziende agricole per un totale di 113.342,07 ettari, quindi altri 69.984 titoli di proprietà privata.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato
con il titolo Ai Mapuche piaceva Pinochet ma Bergoglio non gli va giù
in Libero [Libero quotidiano], anno LIII, n. 17, Milano 18-1-2018, p. 8
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