C’era una volta il marxismo e c’era una volta la sua scalata gramsciana alle istituzioni culturali: avendo il secondo vinto, il primo si è dissolto in un pensiero-melassa in cui tutto è disorientamento e il semplice buon senso appare apologia della reazione. Così accade costantemente al filosofo inglese Roger Scruton, autore ora di un libriccino aureo e dal titolo magnetico, La tradizione e il sacro (pp. 98, euro 10), con cui Vita e Pensiero (la casa editrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore) raccoglie sei sui saggi brevi precedentemente apparsi sull’omonima storica rivista bimestrale. Perché, conservatore senza mai chiederne scusa, Scruton si ostina a interrogarsi su «cosa ci tiene insieme e per quale intento fondamentale». Ma soprattutto perché la sua «risposta è chiara. Noi apparteniamo a una cultura, a una civiltà, a una religione e a uno stile di vita». Possiamo cambiarli, certo, e infatti oggi si cambia identità come si cambia camicia; ma questo finirà per distruggerci.
Se cercassimo un’etichetta per catalogarlo, quella di “filosofo identitario” sarebbe perfetta per Scruton, per il quale «le leggi, la fede, le istituzioni e la cultura cui apparteniamo non sono soltanto quanto di meglio abbiamo, ma sono anche incomparabilmente superiori all’ideologia sanguinaria dei fanatici che ci stanno minacciando». Mira agl’islamisti, certo, ma anche ai “nuovi atei”, ai sacerdoti del politicamente corretto, agli scientisti e ai nichilisti dell’arte nata morta, dell’economia senz’anima, della politica senza cuore. A tutti ricorda che «l’insicurezza e il disordine delle società occidentali provengono alla tensione in cui le persone vengono mantenute quando non possono collegare la loro coscienza interiore del trascendente alle forme esterne della religione rituale». Le persone si allontanano dunque dalla religione organizzata come da qualsiasi altra organizzazione. «Ma gli atei che danzano vicino alla bara delle vecchie religioni non convinceranno mai le persone a vivere come se ciò che c’è dentro il feretro sia qualcosa di morto. Dio è volato via, ma non è morto. Sta aspettando il momento buono, sta attendendo che Gli facciamo posto. Così, almeno, leggo il crescente fervore verso la religione e la nostalgia per quello che abbiamo perso, quando le assemblee religiose chiudono le Bibbie e i libri degli inni sacri, si sciolgono in gruppetti e vanno a casa in silenzio».
Oggi però l’avversario principe è l’islam, privo del senso “greco” di libertà politica, della peculiarità della metafisica ebraico-cristiana nonché dell’ironia e dell’autocritica. Niente vignette sull’islam, per carità; Scruton parla di ben altro. Per esempio del «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» di Gesù contro la lapidazione della adultere prescritta dalla shari’a. O del fatto che «fa parte della nostra “natura” permettere a qualcuno di argomentare contro quanto di volta in volta affermiamo per illustrare le nostre tesi», insomma che solo nella società occidentale plasmata dal cristianesimo ci si può prendere la libertà persino di essere atei senza pagarne il prezzo con la vita.
Scruton sogna del resto una “nuova Europa antica” alla Edmund Burke (1729-1797), il padre del conservatorismo, «nella quale le comunità locali provvedevano da sé al proprio aiuto, all’intrattenimento, alle associazioni, scuole e circoli serali, è ora cosa passata». E il cerchio lo chiude nientemeno con TS. Eliot (1888-1965) e con quella sua conversione al cristianesimo che fu sì adesione alla dottrina cristiana, ma pure riappropriazione cosciente di un’appartenenza identitaria in cui «egli congiunse le sue fatiche poetiche con il lavoro perpetuo» della (sua) Chiesa. E con questo il pensiero scrutoniano si fa profezia e missione: «Il nostro compito», sentenzia il filosofo inglese, «è riscoprire il mondo che ci ha resi come siamo, vedere noi stessi come parte di qualcosa di più grande, la cui sopravvivenza dipende da noi – e che può ancora vivere in noi».
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Così Scruton difende l’identità occidentale
in Libero [Libero quotidiano], anno L, n. 201, Milano 23-08-2015, p. 25
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