Erano le idi di giugno del 46 a.C. e Cicerone scrisse all’amato Varrone: «Se possiedi un giardino e una biblioteca, hai tutto ciò che ti serve». La civiltà occidentale è praticamente tutta qui: coltivatori e coloni. Per questo i suoi guardiani al tramonto hanno sempre difeso dai molti Hyksos sia i campi sia i libri. Oggi gli splendidi perdenti, gl’irregolari e i briganti che formano l’ultima legione straniera a custodia del limes hanno un alfiere d’eccezione in un tale che da mezzo secolo raccoglie il frumento in una piccola farm del Kentucky (Lane’s Landing, poco più di 500 metri quadrati), il 5 agosto compirà 80 anni e in 11 lustri (dopo la laurea in Inglese all’Università del Kentucky di Lexington nel 1957) ha pubblicato 15 libri di romanzi e novelle, 31 di saggistica, 27 di poesia e una pletora di articoli e introduzioni a testi altrui. Il suo nome è Wendell Berry, aruspice del giardino e della biblioteca occidentali, e resisterne il fascino è impossibile. In italiano il poco che c’è lo si deve a un ambientalista cattolico e sui generis come Giannozzo Pucci, ma ora arriva finalmente Jayber Crow (Lindau, Torino, 24 euro), 500 pagine di narrativa uscite originariamente nel 2000.
Per tre decenni il barbiere di Port William, borgo rurale ovviamente nel Kentucky, vede sfilare quel campionario di umanità varia che passa in tutte le botteghe dei friseur in ogni angolo del mondo. Sembra che da lui, Jayber Crow, la gente ci vada per confessarsi più che per tosarsi. E lui ascolta, ricorda, racconta. La Grande Storia del mondo di fuori incornicia le mille vicende di una comunità umana diversa e uguale alla nostra, ripetendo il topos dei Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer. Ma la vicenda-quadro che contiene le vite degli altri, in Chaucer come in Berry, non è una scusa: è il senso dato al cammino dalla meta. Nei Canterbury Tales un pellegrinaggio sula tomba di san Tommaso Becket, in Jayber Crow il viaggio in fondo all’uomo (e forse è la stessa cosa). Le vite sono così solo apparentemente quelle degli altri. Nel palcoscenico neoshakespeariano di questo Kentucky ai confini del mondo e al centro del cuore, Jayber parla di uomini e di cose affinché Berry possa parlare di sé. E così, senza esporci alla vergogna, noi lettori della “società aperta” possiamo provare a riscoprirci confrontandoci con il “piccolo mondo antico”.
Berry è irritante. Nessuna critica riesce a schedarlo. Abituata a etichettare solo per consumare, non sa spiegarne l’anti-industrialismo radicale, la lotta all’“economia totale” e l’anarchismo antistatalista fatto di “Dio, patria e famiglia”, natura non negoziabile delle cose e uomini impastati (come nella Genesi) di quella stessa terra che dissodano.
Berry è antipatico. La sua religiosità non istituzionale ma cristiana, la sua fede contadina che preferisce l’orto alle chiese e la sua teologia pseudo-panteista che distingue il Creatore dalle creature spaesano quelli che leggono i libri di preghiere come il bugiardino degli antibiotici. Però sono i cristiani conservatori, cattolici e protestanti, ad amarlo di più. Un po’ amish e un po’ Omo Selvatico di Giovanni Papini e Domenico Giuliotti (e prima di Giambattista Vico e Leonardo da’ Vinci), Berry riecheggia William Faulkner, ricorda il filosofo-contadino Gustave Thibon, da noi potrebbe musicarlo Davide Van De Sfroos e gli “agrari sudisti” amici di Ezra Pound e T.S. Eliot ne sono lo specchio. Per questi ultimi è stata creata l’espressione “modernismo reazionario”: Berry è un “progressista tradizionalista”. Stesso destino di un altro beniamino della Sinistra solo perché la Sinistra di lui non ha mai capito un’acca: Christopher Lasch.
È il dramma della modernità in cerca d’autore la chiave per comprendere i “guastatori” così: la quadruplice rottura che l’uomo soffre verso Dio, verso sé, verso gli altri e verso l’ambiente, inseguendo una riconciliazione che è anzitutto penitenza (ci si è concentrato, en passant, tutto il trentennale magistero di san Giovanni Paolo II) per ritrovare il legame autentico (religio) che arresta la deriva. In Berry compagnia, matrimonio e sessualità sono costanti. Unione. Anche in Jayber Crow, reali e paradossali, sogno e tormento. In inglese l’agricoltura di Berry si dice husbandry, le nozze fra l’uomo fecondatore (husband, marito) e la terra generatrice. Siamo abituati a pensare che è “di destra” contare i dividendi alla Scrooge e “di sinistra” suonare la chitarra alla Luna, ma Wendell Berry spaia tutto. «Lavoro i campi per gli dèi immortali», scriveva Cicerone nel De senectute.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato
con il titolo Difendere la tradizione americana con una fattoria e una biblioteca
in Libero [Libero quotidiano], anno XLIX, n. 204, Milano 29-08-2014, p. 27
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