Le primarie del Partito Repubblicano svoltesi il 20 febbraio nel South Carolina (quelle del Partito Democratico si svolgeranno il 29 febbraio) hanno decretato la vittoria, grosso modo prevedibile, di Donald Trump con il 32,5 dei consensi e un notevole secondo posto di Marco Rubio con il 22,5%. Dato più volte per già finito, Rubio si ostina infatti a sorprendere. In South Carolina, l’appoggio garantitogli dal governatore Nikki Haley, di origini indiana (dell’India), conservatrice e beniamina dei “Tea Party”, è stato infatti decisivo.
Ora, il secondo posto di Rubio è nella sostanza praticamente identico al terzo posto di Ted Cruz, che ha raccolto il 22,3% dei voti, ma fa più effetto perché Rubio non è mai stato considerato un favorito e perché Cruz, dopo la vittoria iniziale in Iowa il 1° febbraio, sta “perdendo”.
Ma è il dato veramente importante, che rischia di sfuggire, è il quadro generale. Quello che dopo il voto in Iowa e in New Hampshire (9 febbraio) ha trovato conferma sabato in South Carolina: nelle primarie Repubblicane i conservatori hanno la maggioranza schiacciante. Ma se la litigano. E per questo ne approfitta Trump.
Cruz e Rubio messi assieme hanno infatti avuto l’ampia maggioranza dei voti nei due Stati dove l’elettorato Repubblicano è più conservatore (Iowa e South Carolina), battuti (in questa somma teorica) da Trump solo nel New Hampshire dove l’elettorato anche Repubblicano è in media più liberal: qui il voto anti-Trump ha preferito un moderato come John Kasich a conservatori riconoscibili come Cruz e Rubio.
La tabella sinottica dei risultati delle primarie Repubblicane sin qui svolte lo dimostra nitidamente (in rosso i risultati dei vinci di ciascuna primaria):
Ted Cruz |
Marco Rubio |
Cruz+Rubio |
John Kasich |
Donald Trump |
|
Iowa |
27,6% |
23,1% |
50,7% |
1,9% |
24,3% |
New Hampshire |
11,7% |
10,6% |
22,3% |
15,8% |
35,3% |
South Carolina |
22,3% |
22,5% |
44,8% |
7,6% |
32,5% |
Unire idealmente i voti di Cruz e di Rubio è peraltro possibile perché i loro elettorati sono molti simili. Si tratta di elettori conservatori, molto diversi da quelli populisti, “arrabbiati” e un po’ “grillini” che scelgono invece Trump.
Conservatori il protestante Cruz e il cattolico Rubio lo sono identicamente sui “princìpi non negoziabili”. La differenza principale, e forse unica, tra loro è la questione dell’immigrazione: Cruz è per la “tolleranza zero” nei confronti degl’illegali (non molto diversamente da Trump) mentre Rubio, più possibilista, auspica una profonda riforma delle leggi sull’immigrazione. Per questo la conciliazione fra i loro elettorati non è facile ma è sempre per questo che, divisi, i conservatori Cruz e Rubio soccombono davanti al populista Trump.
La questione dell’immigrazione non deve dunque ingannare: sarebbe infatti assolutamente falso definire Cruz un buon conservatore perché a favore della linea dura e Rubio solo un moderato perché a favore di una politica più morbida. Se infatti Cruz ripropone una ricetta sinora classica della Destra nordamericana, Rubio incarna l’idea di una politica che, con grande realismo, chiama i Repubblicani a una riflessione matura.
Al di là del problema, certamente spinoso, dei clandestini e della criminalità organizzata che spesso si maschera dietro di loro, la Destra americana non può infatti snobbare la questione delle minoranze etniche. L’elettorato bianco si assottiglia sempre di più, la società statunitense è sempre più multietnica e, piaccia o no, se i Repubblicani non vogliono finire per diventare il partito “di bianchi”, ovvero, in prospettiva, una minoranza sempre più piccola, debbono elaborare strategie serie nei confronti del voto etnico. Se non lo faranno, il Partito Democratico continuerà a sconfiggerli per lungo tempo. Oggi come oggi Rubio è il Repubblicano che più e meglio degli altri sta provando ad affrontare il tema: può non avere ancora trovato la chiave giusta, ma non ha sbagliato mira. E non è meno conservatore di chi predica invece la linea dura, dato che il suo messaggio è quello di una “evangelizzazione conservatrice verso le minoranze etniche”.
Certo, Cruz e Rubio non sono gli unici candidati conservatori scesi in campo quest’anno nel Partito Repubblicano. Ci sono stati anche Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas e pastore battista, e il senatore del Kentucky Rand Paul: il primo gradito alla Destra religiosa protestante, il secondo ai fautori libertarian dello Stato più minimo che si possa immaginare. Ma, per un motivo o per l’altro, quest’anno hanno convinto meno e sono già usciti di scena; del resto né uno né l’altro (nonostante Rand sia giovane e abbia ancora carte da giocare sul proscenio nazionale) sono percepiti come candidati nuovi. E nuovo negli Stati Uniti è un candidato che non ha già perso un confronto elettorale per la nomination presidenziale come invece appunto Huckabee e Rand hanno già fatto. Con Cruz e Rubio, cioè, la Destra punta a uomini che nel carniere non abbiano già sconfitte.
Quando a Jeb Buh, uscito di scena dopo il voto in South Carolina, non è mai entrato in corsa. Buon conservatore, cattolico, semplicemente non ha (ancora?) la caratura necessaria a spuntarla.
I Democratici hanno invece svolto le primarie in Nevada (qui i Repubblicani voteranno il 23 febbraio) e la vittoria di Hillary Clinton, questa volta non di misura, sta forse (forse) ristabilendo la “normalità”, ovvero accompagnando lentamente all’uscita il socialista Bernie Sanders, già clamorosamente vincitore in New Hampshire, non senza però imporre un prezzo alto. Con il pungolo dell’estremista Sanders, la Clinton sarà infatti costretta a spostare sempre più a sinistra la propria proposta politica e quindi a complicarsi le cose con l’elettorato liberal “centrista” e i tycoon.
Marco Respinti
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