«La Chiesa di oggi deve chiedere scusa a tre categorie di persone: i divorziati, i preti sposati e gli omosessuali». No, non è mons. Krzysztof Charamsa, e nemmeno il suo “fidanzato” Eduard. È nientemeno don Alberto Maggi, scovato con il lanternino da la Repubblica? Don chi? Maggi, Alberto don Maggi: teologo, biblista, padre servita, direttore a Montefano, in provincia di Macerata, di un tal centro studi. Ah be’, allora… Don Maggi ha scritto una pletora di libri, tutti indispensabili in soggiorno, quando il tavolo balla. I suoi temi sono tanti, milioni di milioni, ovvero uno solo. Le scuse, degli altri. Bisognerebbe allungare il pallottoliere delle definizioni che lo identificano su Wikipedia aggiungendovi “scusista”. È infatti un mestiere anche quello: onorato, richiestissimo, talora ben pagato e non risente mai della crisi. È il riempigiorno di quelli che per professione chiedono alla Chiesa di chiedere scusa senza chiederne scusa. Ovviamente per nefandezze infami come (schiacciate il pulsante, l’elenco prestampato esce come lo scontrino del Pagobancomat) le crociate, l’Inquisizione, la caccia alle streghe, lo sterminio degl’indios… Seriamente: come si può pensare di domandare scusa di un fatto avvenuto 500, 700, 1000 anni fa? E poi a chi? Scappa da ridere. Soprattutto perché la metà (e già sono generoso) delle cose che crediamo di sapere sui “crimini” compiuti “dalla Chiesa” nel passato sono aria fritta (e in fretta arriviamo al ridicolo se ci aggiungiamo pure fanfaluche come le “donne senz’anima”, lo “ius primae noctis”, l’inesistente “paura dell’anno Mille”, “la “cintura di castità” che i crociati avrebbero imposto alle mogli quando partivano per l’Oltremare, i Templari filocatari e massoni o la “Papessa Giovanna” e l’annesso scranno pontificio bucato nella seduta per permettere di tastare i genitali ai Papi dopo di “lei” e così assicurarsi che fossero tutti maschi).
Ma c’è anche un motivo più serio per ridere. Il fatto che di quel che la Chiesa si doveva scusare la Chiesa già si è scusata. Meglio, ha chiesto perdono. All’unico meritevole, Dio, nel Giubilo dell’anno Duemila con Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005). La Chiesa chiese allora perdono di non essere sempre e in ogni occasione stata all’altezza di Cristo e del fatto che i cristiani (di ogni ordine e rango) a volte, magari anche spesso, non sono stati sufficientemente cristiani. Roba da confessionale, e “nuova” quanto la Divina Commedia. Poi fine. Il resto non è di competenza ecclesiastica.
Torniamo a don Maggi e al suo mantra. Mai come oggi la Chiesa “ospedale da campo” di Papa Francesco lavora di misericordia e di perdono con tutti senza essere ricambiata. Tutto si può dire della Chiesa tranne che non usi misericordia e compassione persino verso i nemici, i contestatori e coloro che ne contraddicono l’essenza. Figuriamoci i peccatori, che ha tutto l’interesse “statutario” e la voglia apostolica di salvare. Di che cosa dovrebbe dunque chiedere scusa la Chiesa alle tre categorie care a don Maggi, ovvero divorziati, preti sposati e omosessuali? Dovrebbe chiedere scusa delle scelte e delle decisioni di divorziati, preti sposati e omosessuali? La Chiesa non ammette il divorzio, impone il celibato ai sacerdoti e giudica peccato i rapporti omosessuali. Non è certo una novità. Liberissimi tutti di non essere d’accordo con la Chiesa su questo e su altro, ci mancherebbe; ma perché mai la Chiesa dovrebbe fermare per strada il primo che passa e chiedergli scusa di essere se stessa? Si può chiedere al Dalai Lama di essere un po’ meno buddista, rimproverare Susanna Camusso di essere sindacalista e apostrofare il ministro Maria Elena Boschi perché carina? Il più incallito dei laicisti può criticare, contestare e combattere la Chiesa quanto e quando vuole, ma l’unica cosa che non può fare è chiedere alla Chiesa di essere la non-Chiesa. È un gioco che piace a quella Sinistra che decide lei come dev’essere la Destra, ma ogni bel gioco dura poco.
Per questo ai don Maggi, ai mons. Charamsa e ai loro Eduard bisognerebbe chiedere una cosa: non scusa, ma semplicemente perché caspita nella Chiesa ci sono entrati. Convengo, la domanda è vasta. Fa parte di quel masochismo occidentale di cui parla lo scrittore francese Pascal Brucker denunziando la “tirannia della penitenza”, alias la “cultura del piagnisteo” additata più di 20 anni fa dal saggista australiano Robert Hughes (1938-2012). In filosofia si chiama nichilismo, e al lato pratico equivale a segare il ramo su cui si è seduti. Nei salotti dei benpensanti è di moda, e con la spintarella giusta riesci persino a farci un programmino in prima serata. Ma con un esercito così, l’Occidente è cotto. E infatti…
Post scriptum. E nella Chiesa Cattolica quali sarebbero i “preti sposati” di cui parla il don “scusista”?
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 07-10-2015
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