Vent’anni fa, il 29 aprile 1994, scompariva a 75 anni Russell Kirk, il padre della rinascita del pensiero conservatore che, dalla metà del secolo XX, ha segnato indelebilmente gli Stati Uniti d’America.
Nato nel 1918 a Plymouth, vicino a Detroit, in una famiglia di remote origini scozzesi e di netta impronta puritana, allievo, amico e biografo del poeta T.S. Eliot, di formazione letteraria e storica, Kirk sale alla ribalta nel 1953, pubblicando The Conservative Mind: From Burke to Santayana ‒ poi ampliato in From Burke to Eliot ‒, la “bibbia” del conservatorismo. Al tempo “conservatore” era pressoché una parolaccia, ma Kirk cambiò davvero il corso degli eventi. Stilando una genealogia del tutto originale ma altamente significativa dell’identità culturale nordamericana, lo studioso propone infatti un viaggio lungo due secoli alla riscoperta degli “spiriti magni” che, sulle due sponde dell’Atlantico, hanno reso feconda l’eredità intellettuale del pensatore angloirlandese Edmund Burke (17129-1797). Vale a dire la prima e seminale opposizione netta e cosciente al mondo delle ideologie nato dalla Rivoluzione Francese (1789-1799).
Grazie a Kirk esplode dunque una vera e propria “Burke Renaissance”, che resta ancora il tratto distintivo dell’autentico conservatorismo “tradizionalista” americano, incentrato sul concetto di “libertà ordinata” e sulla difesa del diritto naturale, e quindi rielaborato in una strategia anti-ideologica da opporre al “pensiero unico” dapprima comunista, poi liberal, infine relativista.
Così, mentre negli USA si sviluppa un movimento di popolo alternativo al pensiero progressista dominante capace d’influenzare sempre più anche la politica, e questo a partire dalle elezioni presidenziali del 1964 che il senatore Barry Goldwater (1909-1998) perse trasformando però in maniera incontrovertibile il Partito Repubblicano in una formazione di destra, Kirk non smette di approfondirne filosofica del conservatorismo. Anzitutto, Kirk rovescia su se stessa l’idea corrente sulla “rivoluzione americana”, scoppiata in realtà per conservare e non per sovvertire, riscoprendo il diplomatico Friedrich von Gentz (1764-1832) (prussiano di nascita, asburgico di vocazione) e ponendolo virtuosamente la riflessione accanto al pensiero dei Padri fondatori degli USA (molto citati e poco compresi). Poi, senza mai operare sconti indebiti o negazionismi ipocriti, contribuisce a lenire le ferite lasciate dalla Guerra Civile (1861-1865) ricuperando il pensiero politico dell’aristocrazia “sudista” rappresentata da John Randolph di Roanoke (1773-1833) e da John C. Calhoun (1782-1850). Quindi, rilanciando le meditazioni del cattolico Orestes A. Brownson (1803-1876) sulla natura originaria della nazione americana, segna la rotta per comprendere finalmente sul serio gli Stati Uniti, ossia il Paese più invadente ma meno davvero conosciuto del mondo. E con Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo (1974), tradotto in italiano nel 1996, aggancia gli USA all’Occidente di matrice greca, romana, giudeo-cristiana e medioevale.
Convertitosi al cattolicesimo nel 1964, sposatosi nello stesso anno e padre di quattro figlie, consigliere informale di un paio di presidente americani, Kirk primeggia al fianco di pensatori come Eric Voegelin, Christopher Dawson e C.S. Lewis. Si sentiva un cavaliere, e nel villaggio di Mecosta fra i boschi del Michigan dove ha speso tutta la vita (450 anime all’ultimo censimento) era contagioso. Impegnato a “riscoprire” una tradizione (ma anche a seminare conifere, pagaiare lungo ruscelli, raccontare leggende a lume di candela fra sherry e sigari) ha generato la comunità umana protagonista dell’autobiografia The Sword of Imagination: Memoirs of a Half-Century of Literary Conflict (1995). Si sentiva come Elrond Mezzelfo ne Il Signore degli Anelli, castellano dell’ultima resistenza al male. Alcune delle più belle ghost-story del Novecento sono sue. Un solo uomo non può cambiare la coscienza di una nazione; Russell Kirk c’è andato vicino.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo
Elogio del politologo Russell Kirk, il cavaliere che riscoprì Burke e rese orgogliosi i conservatori,
in Libero [Libero quotidiano], anno XLIX, n. 104, 03-05-2014, p. 31
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