Alla vigilia delle Convenzioni nazionali di partito ‒ dal 18 al 21 luglio quella Repubblicana, dal 25 al 28 luglio quella Democratica ‒ le differenze di programma tra Donald J. Trump e Hillary Clinton sono incolmabili. Ma soprattutto diversissime sono le loro posizioni rispetto alle sensibilità di una delle componenti più delicate e decisive dell’elettorato americano: il mondo cattolico.
I cattolici sono infatti ancora e sempre la maggioranza confessionale relativa degli Stati Uniti, e l’impatto della “posizione cattolica” sulla cosa pubblica resta comunque molto rilevante. Certo, l’unità politica dei cattolici statunitensi non è mai esistita (come nel resto del mondo è oggi solo un vago ricordo del passato) e questo ovviamente perché a monte di essa non è mai esistita un’unità culturale. Eppure per lungo tempo i cattolici si sono compattamente riconosciuti nel Partito Democratico, la “casa comune” delle minoranze, anche se ciò non ha sempre significato un voto esclusivamente Democratico. Ampie sacche di “dissenso” hanno fatto sentire la propria voce soprattutto negli anni della Guerra fredda quando l’anticomunismo dottrinale e politico tipico dei cattolici si è spesso trasformato in una diga contro le Sinistre (e poi nel 2004 quando tantissimi cattolici votarono George W. Bush Jr.). Ma il “mito” del primo presidente cattolico della storia statunitense, John F. Kennedy (1917-1963), ha avuto la sua innegabile efficacia e per molti versi ancora perdura, anche rinnovandosi (in modo di per sé spurio eppure reale) nel “mito” del primo presidente nero. Se il fatto è in sé molto curioso (Kennedy volle sempre distanziare credo religioso e attività di governo), esso diventa insormontabile davanti a Hillary Clinton.
Per i cattolici, infatti, l’ex First Lady non ha in serbo nulla. La sua politica spavaldamente (e minacciosamente) laicista è un problema. Lo stesso il favore con cui sostiene la causa abortista (anche nel caso limite e aberrante del partial-birth abortion, un vero e proprio infanticidio). E sebbene oggi la questione delle unioni omosessuali abbia decisamente lacerato anche i cattolici, l’aggressività con cui il mondo LGBT persegue i proprio obiettivi ha finito per ricompattare ampi strati della società americana catalizzando un nuovo “orgoglio cattolico” che della Clinton, pro gay, è nemico giurato. Il “mito” della prima donna presidente degli Stati Uniti, insomma, attacca poco.
Sul fronte opposto, nemmeno Trump ha le carte in regola per rivolgersi ai cattolici. Il suo attacco a Papa Francesco, sgangherato e insulso, è stato superato da mille altre sue rodomontate, ma non tutti i cattolici l’hanno dimenticato soprattutto perché significa che il milionario newyorkese prestato alla politica davvero non guarda in faccia ad alcuno, e questo sarebbe pericolosissimo qualora assumesse le redini nel Paese più importante del mondo. Per di più i suoi proclami studiatamente sempre sopra le righe sull’immigrazione sono il contrario stesso del pensiero cattolico in materia, ivi compreso quello della Destra cattolica che l’immigrazione (selvaggia, incontrollata, clandestina) la teme come il fuoco ma che pure sa bene che il trumpismo è solo altra benzina su quel fuoco. Opinion leader del conservatorismo cattolico come George Weigel (biografo di due pontefici), Robert P. George (punta di diamante del giusnaturalismo), Mary Ellen Bork (vedova del famoso giudice, convertito, Robert H. Bork), Robert Royal (direttore del Faith and Reason Institute di Washington) e decine di altri hanno già tempo preso posizione: Trump è letteralmente una sciagura. Altri, invece, come Austin Ruse (leader del Catholic Family and Human Rights Institute di New York e Washington), sono più possibilisti. Attraversata dal dubbio è una testata come The American Conservative, iperscettica per principio (da destra) del Partito Repubblicano e frequentata da molti cattolici, che alterna articoli pro e contro la candidatura del tycoon. Decisamente avversi sono invece l’influente quotidiano cattolico online Crisis, e pure National Review e The Weekly Standard (che addirittura accarezzano il sogno di un “terzo partito”), il prima un periodico cattolico in pectore, il secondo no ma seguitissimo anche da molti cattolici non di sinistra.
Dunque? Dunque fa testo la linea della lobby cattolica “Catholic Vote”, che giudica disastrosa l’ipotesi di una presidenza Trump, ma peggio la Clinton alla Casa Bianca. Decisi a battere Hillary a ogni costo, gli anti-Trump cattolici affermano dunque che “appoggeranno” Trump senza però “sostenerlo”. La politica pattina sul ghiaccio sottile della semantica
Totalmente contro Trump sono invece star del cattolicesimo liberal come il francescano del dissenso Richard Rohr; l’ex co-presidente dell’organizzazione “Catholics for Obama” nonché docente di Scienze politiche nell’Università Cattolica di Washington Steve Schenck; Marie Dennis, co-presidentessa di Pax Christi International; e Miguel H. Díaz, già ambasciatore in Vaticano di Obama e oggi docente alla Loyola University di Chicago. Pareri influenti che si trasformeranno in endorsement autorevoli per la Clinton? Probabilissimo.
Tutto da interpretare resta comunque l’atteggiamento dell’episcopato. Come è prassi, ma anche ovvio, nessun vescovo si è schierato, né lo farà. Mantenendo il massimo rispetto per entrambi i candidati, l’alto clero americano non manca però mai di mettere qualche puntino sulle “i”. All’elettorato cattolico spetterà, come sempre, il compito d’interpretarne gli aggettivi, persino gli avverbi, se non addirittura l’angolo del sorriso o l’incurvatura delle sopracciglia se vorrà cavarne indicazioni. Per certo, se l’episcopato discuterà, pur senza far nomi, solo d’immigrazione, il gioco sarà chiaro. Sempre ammesso che per le urne i cattolici americani aspettino ancora il placet dei vescovi…
Il web pullula del resto di sigle, reali o velleitarie, sempre contrapposte: “Catholics for Trump” o “Catholics for Hillary”. Grattando la superficie, e soprattutto i nickname, si ha però la sensazione o che si tratti di operazioni (senza seguito concreto) studiate a tavolino dagli strateghi dei due rivali, o che si tratti di nicchie per quanto ampie e generose (di post e di tweet). Sia come sia, è certo che l’8 novembre o a Trump o alla Clinton mancherà un tot di voti per vincere: in buona parte potrebbero essere voti cattolici.
Marco Respinti
Versione completa e originale dell’articolo pubblicato
con il titolo I catholics e la Casa Bianca
in il nostro tempo, anno 71, n. 28, Torino 17-07-2016, pp. 1 e 3
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