Si fa presto a dire satanismo, ma proprio per questo molto spesso non si fa bene. A spiegarlo con dovizia di particolari ma soprattutto una ricerca monumentale, e forse unica, alle spalle è il sociologo delle religioni Massimo Introvigne in quella che per molti versi è l’opera scientifica di una vita, Satanism: A Social History, più di 650 pagine pubblicate dal prestigioso editore Brill di Leida, nei Paesi Bassi.
Tutto è iniziato nel 1994 con Indagine sul satanismo. Satanisti e anti-satanisti dal Seicento ai nostri giorni (Mondadori, Milano), «[…] riveduto per l’edizione francese del 1997», Enquête sur le satanisme. Satanistes et anti-satanistes du XVIIe siècle à nos jours (Dervy, Parigi), e dunque «[…] ampiamente riscritto per la seconda edizione italiana del 2010», I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo (Sugarco, Milano) ‒ tradotto anche in polacco nel 2014 ‒, di cui però Satanism: A Social History non è una semplice traduzione, quantunque ne includa delle parti, ma un ennesimo rifacimento e ampliamento. Se dunque dell’argomento Indagine sul satanismo del 1994 era il primo manuale storico in lingua italiana, Satanism: A Social History del 2016 ne è una panoramica esaustiva di naturale portata internazionale.
Due sono infatti gli errori principali in cui incappa chi, anche in buona fede, approccia il tema “un tanto al chilo”.
Il primo è quello di confondere, e sostanzialmente di trattare come sinonimi, sia tra loro sia rispetto al satanismo vero e proprio, realtà diverse quali l’esoterismo e l’occultismo. Nella “voce” Occultismo ed esoterismo dell’Enciclopedia del Novecento edita dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana ‒ la “Treccani” ‒, pubblicata nel quarto dei cinque volumi di cui si compone l’Appendice VII, del 2007, Introvigne spiega che «[…] l’esoterismo è una teoria e l’occultismo una pratica», ovvero «[…] forme di manifestazione moderna (entrambi i termini compaiono solo nel 19° sec.) di una realtà molto antica: il pensiero magico», laddove per “magia” s’intende, seguendo il paradigma classico proposto dall’antropologo e storico romeno delle religioni Mircea Eliade (1907-1986) ‒ pure di recente rilavorato e problematizzato ‒, una «[…] esperienza del potere […] dove il rapporto con il sacro non manca mai di un certo carattere “utilitario”» distinta della religione (nonostante “zone grigie” e casi limite) intesa come «[…] esperienza del divino che si manifesta e che si ascolta con una certa gratuità». Il satanismo può essere cioè occultista (ne esistono anche di altro tipo, per esempio eminente quello razionalista), ma non tutto l’occultismo è di per sé satanista.
Il secondo errore procede direttamente da questo svarione tanto contenutistico quanto metodologico in realtà perché si basa su definizioni “allegre” del fenomeno o, meglio, vere e proprie non-definizioni. Se con “satanismo”, infatti, s’intende genericamente tutto quanto ha a un di presso a che fare con l’occulto, si finisce per fare come chi, per esempio, chiamasse genericamente “orientali” le religioni asiatiche facendo di ogni erba buddista, induista, taoista, shintoista, giainista o sikh un solo ‒ evidentemente ingeneroso e ingiusto, oltre che maldestramente sbagliato e scorretto ‒ fascio. Il rischio insito in questo tipo di pressapochismo è del resto molto grave e non solo in sede scientifica: perché se tutto è indistintamente “satanismo”, finisce che nulla lo è per davvero e che il satanista autentico non lo si riesce più dapprima a individuare, poi a inchiodare ‒ qui andiamo volutamente oltre l’esclusivo piano scientifico ‒ alle sue responsabilità teologiche e morali, prim’ancora che a quelle, quando fosse il caso ‒ comunque raro, documenta la letteratura specialistica ‒, eventualmente penali.
Introvigne resta da decenni legato alla consegna opposta, vale a dire la necessità di definire con chiarezza l’oggetto allo studio per evitare qualsiasi generalizzazione indebita, e soprattutto alla definizione rigorosa di ciò che il satanismo è: il culto del Satana o del Lucifero biblici praticato mediante rituali o liturgie da gruppi dotati almeno di un minimo di organizzazione e di gerarchia. Vi sono in teoria differenze fra “satanisti” (adorazione del male in quanto tale) e “luciferiani” (adorazione di un personaggio ritenuto buono, ma “espropriato” dal Dio giudeo-cristiano), ma sono in realtà questioni di lana caprina ‒ o caprona, visto l’ambito… ‒ che «[…] complicano inutilmente il tema», scrive Introvigne nell’Introduzione, anche perché, di per sé, «[…] pochissimi satanisti o luciferiani vogliono concretamente glorificare il male»: lo fanno soltanto alcune «[…] frange della musica Extreme Metal», laddove invece la maggior parte dei satanisti adora Satana come «[…] presenza positiva nella storia umana». E proprio questo è il bandolo della matassa.
Perché il satanismo è il capovolgimento speculare della morale del cristianesimo, anche se non sempre in modo esatto della sua teologia, dove ciò che corrompe e danna viene invece inteso come liberatorio e appagante ‒ e ovviamente viceversa ‒ in un colossale rovesciamento mistificatorio. Solo che non ogni rovesciamento della morale cristiana è, sul piano storico e sociologico, satanismo. Sul piano teologico, si può, e talora si deve, ritenere satanisti tutti i gruppi che rifiutano e odiano Dio ‒ e a ben guardare tutte le filosofie che a Dio vogliono sostituire l’uomo ‒, ma sul piano scientifico occorre tenere ben presente che i satanisti sono coloro che cercano il Diavolo, ma che non è detto lo trovino. Il Diavolo è senza dubbio antico, mentre il satanismo è un fenomeno di gruppo e moderno. La lucidità della distinzione consente di combattere sempre e comunque il Diavolo, ma di evitare d’immaginarsi assediati dai satanisti che, come ha detto altrove Introvigne, sono «perdenti senza onore e senza idee, con pochi seguaci, non potenti principi delle tenebre ma ‒ molto letteralmente, e nel senso peggiore del termine – poveri diavoli». Dopo Satanism: A Social History scuse non ce ne sono più.
Marco Respinti
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