La vicenda delle quattro banche regionali fallite (Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti) è prima tragica perché un pensionato ci ha rimesso la vita, poi grottesca. Nel minuetto di questi giorni è tutto un rimpallo di accuse, semidiffamazioni e sgarbi, ma alcune questioni sono evidentissime. La prima è che le obbligazioni subordinate non quotate (quelle che non si possono agilmente rivendere se non a chi te le ha vendute in prima battuta) possono contenere veleni e quelle in oggetto i veleni (anche se non certificati) li contenevano. La seconda è che se le banche fanno il mestiere, il loro mestiere lo fanno anche i cittadini; e che se le banche fanno bene a fare il loro mestiere, idem dicasi per i cittadini. Quando cioè consigliano ai cittadini degl’investimenti, le banche non lo fanno per perderci, ma per guadagnarci. Lo stesso fanno i cittadini quando investono. I consigli d’investimento delle banche mirano cioè a orientare i cittadini investitori verso qualcosa che renda, e questo è il motivo per cui i cittadini investitori cercano il loro consiglio. Ciò però non assicura che i consigli d’investimento dati dalle banche producano poi davvero gl’introiti sperati; nel caso in oggetto non l’hanno fatto. Di chi è la colpa? Dell’investimento stesso, che è sempre per definizione un rischio che i cittadini sempre si assumono. Investendo si possono cercare tutte le garanzie possibili, ma alle garanzie possibili c’è un limite. E logica (oltre che mercato) vuole che più è alto il numero delle garanzie, più è ridotto il margine del guadagno prospettato dall’investimento.
La terza questione è che ognuno è responsabile delle proprie scelte. Ma la quarta è che la terza non sembra valere sempre per tutti allo stesso modo. Per essere pienamente responsabile delle proprie scelte, una persona dev’essere in condizioni di scegliere sul serio. Per farlo, occorre trasparenza, informazione e persino formazione. Se uno cioè crede di sapere ma non sa, la sua scelta non è libera. Chi l’ha incatenata? Molte volte è lo stesso interessato a farlo, diverse altre sono gli altri soggetti coinvolti nell’azione. Esempio: se a tizio viene fornita una informazione falsa, la sua scelta non è affatto libera. Chi stabilisce la verità di una informazione? Difficile dirlo al 100% perché chi froda ne sa sempre una più del diavolo, però un ragionevole livello lo si può raggiungere. Gli organismi di controllo esistono per questo: nel caso in oggetto, sono la Consob e la Banca d’Italia. Se non sorvegliano, che ci stanno a fare? Meglio smantellarle.
La quinta considerazione è che bisogna verificare davvero se Consob e Banca d’Italia hanno svolto bene il proprie dovere, ma questo non è appannaggio del giornalista di turno, del politicante in cerca di riflettori o del talk-show di prima serata. Se lo Stato ha una qualche legittimità, è questo il momento si sfoderarla. Verifichi e accerti se c’è stato del dolo. La sesta questione si capisce meglio immaginando che il testé citato dolo non vi sia. Colpa allora del cittadino investitore che ha voluto la bicicletta e che adesso deve pedalarsela anche se è caduta la catena? No. Perché anche se dolo non vi fosse da parte di chi l’investimento l’ha consigliato e da parte di chi doveva controllare, sfido chiunque a dire che i cittadini investitori ora sul lastrico siano stati pienamente responsabili del proprio disastro essendosi assunti il rischio a ragion veduta. È invece vero il contrario. Nessuno di loro conosceva sino in fondo il rischio. Tant’è che ci sono cascati tutti. Tant’è che nessun addetto ai lavori o professionista del settore ci è cascato. Quei cittadini risparmiatori sono stati dei fessi? No, hanno semplicemente fatto ancora una volta ciò che da millenni l’uomo intraprendete fa facendo girare l’economia: si sono fidati. Senza la fiducia, non c’è economia libera. Allora sono stati frodati? Parole grosse che qui non pronunciamo. Basta infatti dire che se per capire fino in fondo i consigli di una banca uno deve laurearsi tre volte in discipline specifiche allora significa che c’è del marcio e non in Danimarca. Gl’illeciti eventuali li accertasse la magistratura, noi ci limitiamo però a dire che si tratta di marcio morale intollerabile anche se non penalmente rilevante. La responsabilità è sempre personale, ma la circonvenzione d’incapace è un abuso etico prima ancora che un reato. No, non sto offendendo i cittadini investitori oggi sul lastrico; sto parlando di me. Io sono un vero incapace facile da turlupinare di fronte al black speech di clausole bancarie, regolamenti finanziari, paludi burocratiche e trappole fiscali, ma rivendico il mio sacrosanto diritto a sbagliare con le mie sole mani pretendendo di essere sempre informato prima di tutto. È quella cosa fuori moda che si chiama morale, ma è la base irrinunciabile del capitalismo.
Tocca ora all’ultima questione, la settima, numero perfetto. Per quanto detto sin ora, non è affatto immorale, liberticida e statalista affermare che i cittadini investitori ora sul lastrico vadano in qualche modo riprotetti. Un sistema sano non è quello che non sbaglia mai, ma quello che possiede in sé le capacità di riformarsi. La causa del male patito dai cittadini investitori ora sul lastrico è la loro incapacità di scegliere liberamente. Sempre a monte di qualsiasi rilevanza penale, la morale impone allora che se qualcuno ha sbagliato ostacolando la libertà di quelle persone, quel qualcuno ora si attrezzi per porre rimedio. Per questo il sistema bancario italiano conosce ora il paracadute di quel fondo che è stato istituto apposta: non è un fondo salvabanche, ma l’inizio di una riparazione morale per avere militato la libertà altrui. Un fondo costituito dalle banche stesse con denari propri. Niente intervento dello Stato, cioè. Si chiama responsabilità sociale del capitalismo. Gl’irresponsabili sociali sono infatti sempre storicamente stati i dirigisti, i collettivisti e i socialisti che lasciano i conti da pagare agli altri. A patto di non confondere, per carità, banche con capitalismo, questo “fondo morale” è l’assunzione di responsabilità da parte dell’intero sistema bancario per avere in qualche modo ostacolato la libertà di scelta dei cittadini risparmiatori oggi sul lastrico. Una cosa buona e giusta. Per questo l’eurocrazia di Bruxelles la combatte come fosse il diavolo, vestendo improbabili panni falsamente liberisti solo per rifarsi la verginità nel giudicare quel “fondo morale” una ingerenza statalista. Il “fondo morale” è fatto dalle banche con i soldi delle banche. Sono soldi privati, è un intervento privato a elevato impatto pubblico e ad alto tasso di beneficio sociale, cosa caspita vuole l’Unione Sovietica, oops Europea? Perché la cosa più agghiacciante di queste ore è la spudoratezza con cui Bruxelles cambia le carte in tavola, contrabbanda le parole e mette mano in casa e in tasca nostra.
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il titolo
Se Bruxelles pure sul crac banche fa la furba
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 14-12-2015
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