Sul retro del Gran Sigillo degli Stati Uniti d’America (lo stemma) e anche sul retro della banconota da un dollaro statunitense compare il simbolo della piramide tronca sormontata dall’occhio nel triangolo. Nonostante si continui ad affermare il contrario, non si tratta affatto di un simbolo massonico, anche se nella massoneria dei secoli XVIII e XIX, che è affascinata da tutto quanto riguarda l’Egitto, si trovano talora simboli simili. La specifica piramide usata nel simbolo americano è tratta dalla “Pyramidographia”, un volume pubblicato nel 1646 a Londra da John Greaves (1602-1652) dopo un viaggio in Egitto. L’occhio nel triangolo è presentato dal segretario del Congresso americano, Charles Thomson (1729-1824) ‒ che tra l’altro non è mai stato massone ‒, nel suo discorso del 1792 che precede il voto con cui il Congresso adotta ufficialmente appunto il Sigillo, come un simbolo cristiano, l’“occhio della Provvidenza” trinitaria che presiede ai destini degli Stati Uniti. Come tale, il simbolo si ritrova nell’iconografia cristiana non solo a prescindere ma anche ben prima del suo uso in alcune fonti massoniche. Di quell’occhio nel triangolo sono infatti colme le chiese cattoliche.
Nemmeno il motto che compare sotto la piramide, «Novus Ordo Seclorum», è massonico, ma virgiliano. È un riferimento alla famosa profezia della quarta Egloga di Publio Virgilio Marone (79-19 a.C.), quella del puer iniziatore di nuova stirpe nata da una Vergine (paiono parole di san Luigi Maria Grignion de Montfort [1673-1716]) il quale pone fine all’era dell’oracolo di Cuma (il paganesimo), il puer che rinnova interamente la storia. È da brivido rileggere la profezia virgiliana alla luce del Veni Sante Spiritus là dove esso dice «et renovabis faciem terrae» (Veni, Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium, et tui amoris in eis ignem accende/ V. Emitte Spiritum tuum et creabuntur;/ R. Et renovabis faciem terrae). Una traduzione di quel passo virgiliano suona così: «È giunta l’ultima era dell’oracolo di Cuma, nasce di nuovo il grande ordine dei secoli. Già ritorna la Vergine, ritornano i regni di Saturno, già una nuova stirpe scende dall’alto del cielo. E tu, casta Favina, sii propizia al Bambino che oggi nasce. Sotto il tuo consolato, Pollione, proprio sotto di te, nascerà l’onore delle genti […] sotto di te, se ancora durano i segni del nostro peccato, una volta cancellati, libereranno le terre dall’eterno dolore. E Lui avrà la vita degli dèi, vedrà eroi misti agli dèi e sarà visto fra loro e governerà il mondo pacificato dalle virtù del Padre […] e le caprette riporteranno a casa le mammelle piene di latte e gli agnelli non avranno paura dei grandi leoni e morirà il serpente e morirà l’erba ingannatrice per veleno». Il Gaio Asinio Pollione (76 a.C.-5 d.C) citato fu un uomo politico, letterato e oratore romano amico di Virgilio cui Virgilio dedica tre Egloghe tra cui proprio la quarta; la nascita di Cristo non avvenne durante il consolato di Pollione, ma con Pollione ancora in vita sì. Dà altro brivido, per essere un mito. Per questo Dante Alighieri (1265-1321) sceglie Virgilio come guida nell’Inferno e nel Purgatorio (nel Paradiso no, giustamente, perché Virgilio, tra l’altro per evidenti ragioni anagrafiche, non fu mai cristiano).
Essendo stato quel passo virgiliano considerato precursore e annunciatore del cristianesimo per tutto il Medioevo, tale e quale esso resta nella cultura britannica che giunge (pure in forme anche protestantizzate) negli Stati Uniti. Nel porlo sul Gran Sigillo, e dunque nel dollaro accanto alla frase/divisa «In God We Trust», gli statunitensi vogliono indicare il rinnovamento della storia portato dal cristianesimo (di cui si sentono ‒ assumendosene ovviamente la responsabilità culturale ‒ eredi e parte). Tant’è che quel motto, che compare nella parte inferiore del retro del Sigillo, è ideale continuazione di quello che compare nella parte alta del medesimo retro dello stemma e del dollaro: «Annuit cœptis», cioè “Approva la nostra impresa”, che è pure un altro importo virgiliano (Eneide, libro IX, riga 625). Viene da «Iuppiter omnipotens, audacibus adnue cœptis» ed è l’invocazione a Zeus, padre degli dèi, fatta da Ascanio affinché egli benedica e guidi la sua impresa, l’uccisione del nemico. È insomma una preghiera. Perché Virgilio, massimo poeta della romanitas, e l’Eneide, che è il canto della nascita religiosa di Roma, compaiono sul Gran Sigillo e sul dollaro degli Stati Uniti? Perché gli statunitensi si sentono ‒ sempre assumendosene ovviamente la responsabilità culturale ‒ eredi della romanità (si potrebbe citare una vastissima letteratura al proposito) religiosamente e cristianamente. Il numero, in caratteri latini, che compare alla base della piramide tronca, 1776, è l’anno dell’indipendenza degli Stati Uniti, a simboleggiare (questa la pretesa statunitense di cui gli Stati Uniti si assumono ancora la responsabilità culturale) l’inizio della fase appunto statunitense del rinnovamento cristiano.
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