Il Nevada è uno Stato strano. Un deserto sconfinato poco più piccolo dell’Italia (il Nevada sono 286.367 km2 e l’Italia 301.338) in cui vivono meno di tre milioni di persone. All’inizio del secolo XX era lo Stato meno popolato di tutta l’Unione nordamericana e il suo successivo incremento demografico è dovuto soprattutto a due ragioni: la più antica è quel suo proverbiale permissivismo che attira avventurieri di ogni tipo, la più giovane è la forte immigrazione di latinos.
Quanto al permissivismo, il Nevada è lo Stato dove sorge Las Vegas. Il gioco d’azzardo è perfettamente legale, la prostituzione pure (regolamentata e tassata come qualsiasi altra attività produttiva tranne che nelle contee di Clark e di Washoe, la prima ‒ ed è alquanto ironico ‒ essendo quella che ospita Las Vegas) e le licenze di matrimonio ‒ il cinema ce lo ha insegnato, pur spesso ridicolizzandolo ‒ si ottengono con una facilità e una rapidità pari solo a quelle con cui si ottengono i divorzi. I cattolici nel Nevada sono la maggioranza religiosa relativa, ma il Nevada ha uno dei più bassi tassi di praticanti di tutti gli Stati Uniti.
Quanto agl’immigrati, eccolo qui uno dei nervi scoperti su cui Donald Trump sta puntando elettoralmente tutto. Sono tantissimi, si calcola il 28% della popolazione. Ovvio che cresca anche il numero di coloro che reputano l’immigrazione la causa di tutti i guai economici del Paese.
Un’altra anomalia del Nevada è l’enorme, netta separazione tra ricchi e poveri. In un Paese dove in una notte si può dilapidare una fortuna al tavolo da gioco, numerosi sono i ricconi che si possono concedere l’ennesimo vizio, numerosi sono i poveracci che tentano la fortuna e ci rimettono tutto, numerosi sono i “nuovi poveri” che, emigrati per ragioni economiche, non sono riusciti a sfondare.
In uno Stato così chi può dunque sorprendersi se il compunto figlio di un predicatore protestante, Ted Cruz, e il devoto cattolico fedele al magistero della Chiesa, Marco Rubio, non mobilitano folle oceaniche di supporter e di voti?
E infatti le primarie del Partito Repubblicano, svoltesi il 23 febbraio, le ha vinte Trump con il 45,9% dei voti, puntando tutto su dollari e rabbia (contro gl’immigrati), mentre quelle del Partito Democratico, svoltesi il 20 febbraio, le ha vinte sì Hillary Clinton, ma con un Bernie Sanders, socialista orgoglioso di dirlo, che ha ricuperato moltissimo puntando tutto su una retorica da “lotta di classe” american style. I “ricchi” Repubblicani hanno votato per Trump e i “diseredati” per Sanders. Ancora una volta, i veri mattatori sono loro, Trump da un lato e Sanders dall’altro. Oltre ai risultati numerici occorre infatti valutare sempre bene il significato culturale di certe affermazioni politiche.
Il che adesso vuol dire che tra i Repubblicani l’uomo da esorcizzare è Trump, giacché il suo populismo sta castigando quel conservatorismo cui è ormai pressoché improntato tutto il partito; mentre tra i Democratici l’uomo da tenere a bada è Sanders anche se arriva secondo, poiché in questo modo rischia di spingere il partito a fare quanto, soprattutto in campagna elettorale, di certo non vuole fare: mostrarsi estremista.
Dire però che Trump è l’uomo che i Repubblicani debbono esorcizzare non significa dire, come qualche analista già perentoriamente dice [linkare a: http://edition.cnn.com/2016/02/24/opinions/trump-will-be-republican-nominee-robbins/index.html%5D, che Trump ha oramai in tasca la nomination presidenziale. Ce l’avrà di certo presto solo se i conservatori che in questo momento gli si oppongono in ordine sparso non troveranno un capitano.
La prima notizia che l’ennesimo successo di Trump ha oscurato è infatti che in Nevada secondo è arrivato Rubio con il 23,9% dei voti: Rubio che in Iowa sembrava già finito, Rubio che sembrava non essere mai partito, Rubio che invece c’è e non poco. Solo poche settimane fa nessuno scommetteva su di lui contro Ted Cruz, in Nevada giunto terzo con il 21,4%, e invece Rubio sta battendo ripetutamente Cruz.
La seconda notizia che l’ennesimo successo di Trump ha oscurato è che anche il Nevada dimostra che Rubio e Cruz (45,3) messi assieme eguagliano e magari potrebbero sperare di superare Trump (45,9%), soprattutto se su di loro convergessero i voti andati in Nevada agli altri candidati (Ben Carson 4,8% e John Kasich 3,6%).
L’utilità di elezioni primarie vere come quelle che da sempre si svolgono negli Stati Uniti è che sono uno straordinario laboratorio politico con l’aggiunta dell’estrema concretezza.
Concretamente, sin qui i conservatori hanno visto fin dove possono arrivare, quali risultati possono raggiungere, quali speranze possono accarezzare. Hanno visto cosa succede se si presentano divisi all’elettorato e hanno visto cosa succede se i messaggi forti all’elettorato li si lascia al solo Trump. Ora che la fase di rodaggio è terminata, debbono fare un salto di qualità. Jeb Bush, ritirandosi dalla corsa dopo il voto in South Carolina del 20 febbraio, ha già fatto egregiamente la propria parte, convogliando i propri supporter e i propri donatori su Rubio. Il 1° marzo cade il cosiddetto “Supermartedì”; i Repubblicani voteranno in molti Stati, alcuni davvero importanti: Alabama, Alaska, Arkansas, Colorado, Georgia, Massachusetts, Minnesota, North Dakota, Oklahoma, Tennessee, Texas, Vermont, Virginia, e Wyoming. Pensare dopo a come battere Trump potrebbe essere molto, molto rischioso.
Marco Respinti
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