Complice l’anticiclone Caronte che ci fa boccheggiare, ci riversiamo tutti sulle spiagge. Complice le tasse, le gabelle e i balzelli che ci fan boccheggiare, un’occhiata alle spiagge libere la diamo tutti. Però “libere” un corno, sono spiagge “pubbliche”, che quando uno si sdraia lo fa tra i mozziconi di sigarette, il guano dei gabbiani, le cannucce smozzicate, i bicchierini di plastica rotti, i resti oramai inservibili degli attrezzi da pesca e un numero assortito di altre schifezze varie. Lì a fianco sorge invece, bello, splendente, lindo, lo stabilimento “privato”, dove tutto è nettato con olio di gomito come per le grandi occasioni, l’ambiente sembra un giardino e i servizi sono da urlo. Ecco, la spiaggia è come la scuola, è una scuola di vita.
La spiaggia-scuola cosiddetta “pubblica” è in realtà la spiaggia statale, ed è uno schifo perché 1) lo Stato non muove un dito per tenerla pulita ed 2) essendo “pubblica” la gente diseducata alla proprietà e deresponsabilizzata rispetto alla libertà ‒ e ignorante del fatto che “statale” voglia dire pagata con le tasse ‒ si sente autorizzata a sputarci sopra appena si cava le infradito.
Invece la spiaggia-scuola cosiddetta “privata” è in verità un servizio pubblico di cui qualcuno si prende responsabilmente cura rendendolo un posto migliore (pulito, controllato, gestito) proprio perché, impegnandoci dei soldi, dei soldi vuole guadagnare. È pubblica, infatti, perché chiunque può andarci anche se è gestita da un privato, basta che paghi. Del resto il villeggiante paga con le tasse pure la lercia spiaggia statale, ma siccome lo Stato i soldi glieli sfila a rate e col sorriso mentre lui si imbesuisce alla tivù il villeggiante pensa sia aggratis. La differenza è che in un caso si paga per la pulizia, nell’altro per la sporcizia. Perché uno dovrebbe essere contento di pagare per la lordura proprio non si capisce, sarà colpa di Caronte.
Morale estiva: il servizio pubblico lo fornisce sempre meglio il privato perché ci mette la faccia e c’impiega del denaro; il servizio offerto dallo Stato è penoso come sempre, e se vuoi qualcosa di buono ti riduci a pagarlo (com’è giusto sia), anzi a ripagarlo (com’è ingiusta sia: le tasse le paghi lo stesso anche se nella spiaggia lercia del demanio non ci vai preferendo pagare quella pulita di Giobatta Parodi); epperò se lo Stato lo zampino lo tenesse in tasca, la concorrenza sarebbe maggiore e i prezzi probabilmente mediamente minori.
Non è finita. Lo Stato, che tiene le spiagge demaniali uno schifo con la complicità dei cittadini diseducati al rispetto della proprietà, affitta le coste ai privati lucrandoci. Se però si parla di privatizzare le spiagge, scoppia lo scandalo. Non altrettanto invece se lo Stato tiene le coste come delle latrine mungendo i privati che vogliono farne un lavoro buono e pubblico (per tutti), giustamente guadagnandoci onde rientrare dei propri investimenti. Invece l’investimento dello Stato che ci tassa pur tenendo le spiagge in modo indecoroso qual è?
In più ci sono gli enigmatici ambientalisti, che si oppongo alla vendita delle coste. Enigmatici lo sono perché non si capisce come facciano a preferire le discariche gestite dallo Stato agli stabilimenti mantenuti dai privati che valorizzano i luoghi e che tengono puliti gli spazi… Cosa c’è di naturale e di ecologico nelle cartacce sulla sabbia che nessuno raccoglie? Provate invece a tirare una lattina vuota in mare dalla battigia di uno stabilimento balneare col bagnino che vi guarda… Paura degli ecomostri? A quelli ci pensa sempre il mercato. Chi infatti preferirebbe pagare per fare le vacanze in un posto orrendo piuttosto che pagare (magari anche meno) per battere Caronte in un posto bello? E se un tale così esistesse, sarebbero pur sempre affari suoi: noi continuiamo a frequentare posti belli, facendo qualche sacrificio per premiare il privato che quel buon servizio ci fornisce con le pigioni che versiamo.
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 24-07-2015
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