Il gesuita statunitense John Courtnay Murray, che ebbe un ruolo fondamentale nella stesura della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, descrive la conquista progressiva da parte del Magistero di quel linguaggio nuovo, “libertà religiosa”, come la reazione con cui una Chiesa sempre più minoranza afferma il diritto inalienabile dell’uomo di sottrarsi allo statalismo. In soldoni, dice Murray, la realpolitik ha spinto il Magistero a uno sviluppo concettuale che, senza mutare la dottrina, risponde meglio all’oggi (una Chiesa non più egemone, ma al massimo tollerata e spesso pure perseguitata).
Una però delle cose più curiose di questa esegesi è che tra le pezze d’appoggio citate dalla Dignitatis humanae vi è l’enciclica Firmissimam constantiam (1937), terza e ultima “benedizione” di Papa Pio XI al Messico cattolico che tra il 1926 e il 1929 era sceso in guerra contro il governo di quel Paese «infeudato totalmente alla Massoneria» (così il Pontefice disse a Benito Mussolini l’11 febbraio 1932). Con essa il Magistero rivendicava una sfera di non interferenza statale a salvaguardia dei cattolici messicani superstiti e indeboliti dopo il bagno di sangue. Curioso il fatto lo è perché la “Cristiada”, come è stata chiamata l’epopea militare dei Cristeros messicani (il loro nome viene dal grido con cui si lanciavano in battaglia, «¡Viva Cristo Rey!»), sta da sempre nella barra dei preferiti anche di chi contesta il documento conciliare.
Novanta anni dopo l’inizio dell’insurrezione dei Cristeros, a ricordare che il Magistero conciliare sulla libertà religiosa si fonda (anche) sull’eroismo controrivoluzionario del Messico martire è il monumentale Pio XI e la Cristiada. Fede, guerra e diplomazia in Messico (1926-1929) (Morcelliana) di Paolo Valvo, ricercatore in Storia contemporanea nella facoltà di Scienza della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ovvero oltre 500 pagine di rigore metodologico e documentale (come sottolinea Francesco Margiotta Broglio nella Presentazione), costruite attingendo soprattutto a novità custodite negli archivi vaticani (la sezione dedicata al pontificato di Pio XI è stata aperta nel 2006), per orientarsi nella complessa rete di relazioni internazionali con cui all’epoca la Santa Sede gestì una situazione delicatissima.
Pio XI non era certo un transigente. Non lesinò il sostegno né ai cattolici perseguitati né, di fatto, ai Cristeros combattenti, e non fece mancare nemmeno l’invettiva al regime cristianofobo, ispirato a una sorta di socialismo nazionale, del despota Plutarco Elías Calles. Eppure non trascurò la via diplomatica. Anzi, dopo tre anni di distruzioni e lutti, nel giugno 1929 la Chiesa messicana, ispirata dal Vaticano, firmò un accordo con il governo che per i Cristeros significò la capitolazione.
Lo scontro armato era iniziato quando, il 1° agosto 1926, come gesto di protesta estrema contro la pervicacia del governo Calles nell’applicare le precedentemente disattese clausole vessatorie contenute nella Costituzione del 1917, il clero messicano era entrato letteralmente in sciopero sospendendo la celebrazione del culto divino. Per tre anni la prima preoccupazione del Pontefice era stata quella di uscire da quell’anomalia. Quando la constatazione dell’impossibilità di vincere sul piano militare rese necessario cambiare strategia per assicurare un bene maggiore ai cattolici, la Chiesa scese a patti. Discutibile? Discutibile.
Ma come prima la realtà delle cose aveva portato la Santa Sede a benedire la “Cristiada”, così ora la realtà delle cose le imponeva di fermarsi. È antico (almeno) quanto san Tommaso d’Aquino il precetto secondo cui una guerra è cattolicamente giusta e legittima se ha concrete possibilità di successo e se nel mentre si ricercano anche altre soluzioni. Certo, est modus in rebus e non sempre la traduzione storica di princìpi chiari sul piano teorico avviene senza inciampi, ma il dramma umano che investì il Pontefice e la Chiesa messicana in quel frangente rivive adesso nella minuziosa ricerca di Valvo. Che non è affatto un’operazione “archeologica”, ma la disanima scrupolosa dei mille demoni che aggrediscono la coscienza quando, compiendo un’azione giusta, ci si trova a provocare inevitabilmente anche un danno.
Dal 1926 al 1929 il Messico brucia. Il presidente della repubblica, generale Plutarco Elías Calles (1877-1945), ha spinto sino in fondo l’acceleratore della persecuzione religiosa portando al culmine la politica laicista già insita, anzi sancita dalla Costituzione del 1917, ma che i governi precedenti non avevano avuto il coraggio di esacerbare.
La popolazione cattolica, esasperata, stremata, decide di ribellarsi e imbraccia le armi al grido di «Viva Cristo Re!», scatenando la “nuova Vandea” dei cristeros. In questo clima rovente e assurdo, nel 1926 una vedova di 64 anni, figlia di una famiglia benestante ma non certo ricca, madre di 9 figli, famosa per la struggente devozione all’Eucarestia sin da quando era solo una bambina, si appresta a ricevere gli esercizi spirituali da mons. Luis María Martínez y Rodríguez (1881-1956), vescovo ausiliario di Morelia, suo direttore spirituale dall’anno precedente. È la prima volta, e così sarà fino al giorno della di lei morte. Si chiama Conceptión Cabrera de Armida (1862-1937), nota a tutti come “Conchita’”. È una delle grandi mistiche cattoliche del Novecento, dichiarata venerabile nel 20 dicembre 1999 da san Giovanni Paolo II (1920-2005). I suoi scritti ammontano a circa 60mila pagine redatte a mano per un totale di circa 200 volumi, grosso modo quanto, in vita, ha scritto san Tommaso d’Aquino, ma questo non ne ha affatto impedito la rapida e capillare circolazione avvenuta anche grazie alla rete garantita dalle Opere della Croce, ovvero le cinque istituzioni da lei fondate: l’Apostolato della Croce rivolto a tutti i fedeli (1895), le Religiose della Croce del Sacro Cuore di Gesù dedite alla vita contemplativa (1897); l’Alleanza dell’Amore per coloro che ricercano la santificazione nello spirito della Croce (1909); l’Unione o Lega Apostolica per i sacerdoti diocesani (1912); e i Missionari dello Spirito Santo (1914). Tutte attive ancora oggi.
Quegli esercizi spirituali del 1926, dati da mons. Martínez dal 16 al 25 luglio, compongono oggi un libriccino piccolo e ricchissimo, Amare lo Spirito Santo. Esercizi spirituali 1926, edito da Città Nuova di Roma (pp. 90) nella collana “meditazioni”, a cura di suor Clara Eugenia Labarthe, messicana, delle Religiose della Croce del Sacro Cuore di Gesù cabreriane. La quale ha curato anche il precedente volumetto della venerabile “Conchita”, Nell’intimità del cuore di Gesù. Esercizi spirituali 1929 (Città Nuova, Roma 2007). Ebbene, il 18 luglio 1926, al secondo giorno di esercizi, “Conchita” ode la Vergine Maria parlarle direttamente della tragedia del Messico perseguitato a causa della vera fede e lei − «per ubbidienza», puntualizza dolce e caritatevole suor Clara nell’introduzione ad Amare lo Spirito Santo −, mette debitamente per iscritto: «Gesù vuole spazzare via tutta la sporcizia e accrescere le virtù nei cuori dei suoi [dei sacerdoti]. Verranno giorni peggiori, ma il frutto sarà ottimo, nella Chiesa e nei cuori. Dio non permette nulla che non sia per la sua gloria; e anche se gli uomini non lo comprendono, egli è glorificato in tutto». Perché «queste persecuzioni puliscono e depurano. Il Messico ha molto da espiare, anche nella sua Chiesa, ma la religione e la fede trionferanno». E ancora, sempre più precisamente: «Guarda, figlia, – mi disse Gesù – [voglio] che tutti i cuori siano puri, che tutti i Miei si uniscano a Maria, per fare da contrappeso a tanta cattiveria. In questo modo il mio Cuore oltraggiato sarà consolato.
«Gridino al Padre, che vuole perdonare ma gli mancano vittime, come ti ho detto. Si faccia regnare lo Spirito Santo, antagonista di Satana. Solamente lui può trasformare ciò che è materiale in spirituale e in puro ciò che non lo è a gloria della Trinità. Che i vescovi soffrano ma con fede e con speranza; è giusto che il capo soffra per le membra imputridite, slogate e malate (forse io non ho espiato ed espio ogni giorno e in ogni momento le mancanze dei miei figli?). Ma loro [i vescovi] saranno premiati e incoronati in sovrabbondanza».
Nelle note suo Clara richiama opportunamente due episodi “dimenticati” del Messico cattolico e perseguitato. Anzitutto la città di Silao, a sud-est nella pianura alla base del Cubilete, dove, sulla cima di una montagna, si erge una statua colossale di Cristo Re; quindi quel 14 novembre del 1921 in cui «un tale, facendo finta di porre un mazzo di fiori ai piedi della venerata immagine di S. María di Guadalupe, fece scoppiare una bomba che causò grandi danni all’altare, ma miracolosamente risparmiò l’Immagine, della quale neanche il vetro che la copriva si spezzò. Le vetrate della chiesa si frantumarono e anche parte dell’altare, il crocifisso che stava su di esso rimase curvato. La notizia dell’attentato e del miracolo provocò in tutto il Messico una esplosione di rabbia contro il colpevole e di riconoscenza a Maria».
La storia dei cristeros e della loro fede non comune, così come quella del governo messicano e della sua empietà con pochi eguali, non è spiegabile soltanto attraverso categorie umane. Il soprannaturalismo gratuito è un peccato uguale e contrario al materialismo gretto, ma chi l’ha detto che la storia non si può scrivere tenendo costantemente presente, alla scuola della venerabile “Conchita”, l’indispensabilità di «amare lo Spirito Santo»?
Finalmente l’attesa è finita. Cristiada, l’oramai famosissimo film sull’epopea dei cristeros messicani, approderà anche nelle sale cinematografiche italiane. Accadrà nel mese di ottobre. Il merito è tutto della Dominus Production, la casa di distribuzione cinematografica fondata e diretta a Milano/Firenze da Federica Picchi che ne ha acquisito i diritti di doppiaggio e distribuzione nel nostro Paese. Al sito Internet www.dominusproduction.com è già possibile prenotare la proiezione del film nei cinema italiani, così come il DVD o la visione in streaming che saranno disponibili a partire dal gennaio 2015.
Un giallo finito bene
Quello di Cristiada è stato a lungo un po’ un giallo. Tutto ha avuto inizio tra il 2010 e il 2011, quando la pellicola fu realizzata come coproduzione messicano-statunitense (il film è girato in Messico ma in lingua inglese) sulla base degli studi condotti dalla principale autorità scientifica in materia, lo storico franco-messicano Jean Meyer Barth. È peraltro opportuno ricordare qui che il figlio di questi, Matías Meyer – nato nel 1979 a Perpignano, in Francia –, ha realizzato nel 2011 un altro capolavoro di 90 minuti, Los últimos cristeros, che si basa sul romanzo Rescoldo. Los últimos cristeros. Opera del 1961 dello scrittore Antonio Estrada Muñoz (1927-1968) – egli stesso figlio di un comandante cristero dello Stato federato di Durango all’ora della seconda, “disperata” ribellione, dal 1934 al 1941, il colonnello Florencio Estrada, caduto in combattimento nel 1936 –, il romanzo è stato recentemente, nel 2010, ripubblicato a Madrid dalle Ediciones Encuentro, arricchito da una introduzione dello stesso Meyer figlio e curato da Angel Arias Urrutia, specialista dell’Universidad San Pablo nella capitale spagnola.
Ma torniamo a Cristiada. L’impresa ha avuto un costo, pare, di almeno 12 milioni di dollari americani. Diretto dallo statunitense Dean Wright (già responsabile degli effetti speciali de Il Signore degli Anelli e de Le cronache di Narnia) e prodotto dalla Dos Corazones Film diretta a Los Angeles da Juan Pablo Barroso, è interpretato da veri fuoriclasse quali Andy García (l’attore di origine cubana noto per non essere esattamente un estimatore di quel comunismo che gli ha distrutto la patria e costretto la famiglia all’esilio degli Stati Uniti), l’avvenente ex modella statunitense Eva Longoria, il cattolicissimo messicano Eduardo Verástegui e l’intramontabile irlandese Peter O’Toole. E la colonna sonora, avvincente e suggestiva è di James Horner, una specie di Ennio Morricone d’Oltreatlantico che non sbaglia mai un colpo.
Eppure, nonostante un cast eccezionale come questo, e una serie davvero promettente di premesse che annunciavano un successo sicuro anche al botteghino, il film si è bloccato. Mancava clamorosamente qualcuno che si assumesse il compito di distribuirlo nelle sale. E così Cristiada si è trasformato in una specie di spettro da racconto del brivido: tutti ne parlavano, se ne avvertiva qua e là la presenza, qualcuno giurava persino di averlo veduto con i propri occhi, ma tutto restava costantemente sospeso fra verità e leggenda. Così, dopo qualche tempo, su Internet è comparso un “timido” trailer, con alcuni spezzoni del girato. E l’attesa, di fronte a quelle poche ma coinvolgenti immagini, è cresciuta a dismisura.
Ci sono comunque voluti altri lunghi mesi prima che il lungometraggio uscisse da quel suo strano limbo ed entrasse trionfalmente nei teatri del Messico il 20 marzo 2012 e poi degli Stati Uniti il 1° giugno successivo, grazie rispettivamente a 20th Century Fox e ad Arc Entertainment, per poi divenire facilmente acquistabile da tutti in formato DVD. Eppure ancora una volta il pubblico italiano (e in genere quello europeo) è rimasto a bocca asciutta, frenato dalle barriere linguistiche a tratti e per molti davvero insormontabili. Per questo hanno cominciato a diffondersi sul web versioni adattate alla bell’e meglio, sottotitolate e diffuse privatamente attraverso circuiti sostanzialmente amicali. Da ottobre, invece, il film lo potremo finalmente vedere davvero tutti anche in Italia.
Storie verissime
La trama è nota. Durante la rivolta detta dei cristeros (i “cristi-re”, come li canzonavano i sanguinari avversari per via di quel loro uso di combattere e di morire al grido di «¡Viva Cristo Rey!»), allorché tra il 1926 e il 1929 la popolazione cattolica del Messico cercò di scrollarsi definitivamente di dosso il gioco laicista di un governo nazional-social-massonico stabilito attraverso la Costituzione del 1917 e in quel momento incarnato dal despota Plutarco Elías Calles (1877-1945) che li perseguitava con asprezza, un giovane 13enne, José (interpretato da Mauricio Kuri), finisce per affezionarsi a un sacerdote, padre Christopher (Peter O’Toole), finché i governativi non lo uccidono. Quando l’intera popolazione messicana insorge per difendere i preti e i religiosi vessati senza motivo e con raffinata cattiveria, il giovane José decide, con alcuni amichetti, di unirsi alle schiere dei “soldati di Cristo”. Intanto Calles ha concluso un vantaggioso accordo con i suoi vicini “nemici-amici” di sempre, gli Stati Uniti, barattando petrolio per armi: le stesse armi con cui, mentre Washington gira il capo dall’altra parte, il governo messicano reprime spietato gl’insorti. Anche José muore tra i patimenti dopo essersi rifiutato di abiurare la fede in Dio. E alla fine i Federales hanno la meglio, soffocando per sempre la rivolta nel sangue.
Il film, come si sa, è strettamente aderente al vero; oramai la storia della “Crociata messicana” è nota fortunatamente anche in Italia, attraverso serie opere di ricostruzione storiografica. Si sa bene anche dell’appoggio che la Chiesa diede agl’insorti e della recisa condanna che il Papa lanciò contro il governo omicida con diverse encicliche. Ebbene, anche i due eroi protagonisti del film sono personaggi realmente esistiti. Enrique Gorostieta y Velarde (1890-1929), interpretato sullo schermo da Andy García, è un ufficiale a riposo, ateo, che però finisce per entusiasmarsi alla causa dei ribelli, guidandoli in battaglia con maestria e abnegazione fino alla fine, fino a quando cioè cade anche lui martire per quanto “riluttante”. E il giovane volontario José altri non è se non José Sanchez Del Rio (1913-1928), martirizzato come narra la pellicola e per questo beatificato, con altri 12 compagni, da Papa Benedetto XVI il 20 novembre 2005, aggiungendosi in questo modo ai 25 martiri canonizzati il 21 maggio 200 da san Giovanni Paolo II e al padre gesuita Miguel Agustín Pro Juárez (1891-1927). Ma i caduti cattolici messicani, laici e consacrati, furono molti di più, una cifra calcolata tra i 70 e gli 85mila.
Speriamo sia solo l’inizio
Ora, questa straordinaria epopea è oggi appunto piuttosto nota al mondo cattolico, almeno nei suoi contorni generali; ma con tutta evidenza essa merita di essere conosciuta anche dagli altri, così che tutti conoscano sul serio il prezzo pagato dai testimoni della fede nel mondo moderno e inizino a comprendere davvero cos’ha significato difendere con generosità e a ogni costo la verità. Un film intrinsecamente bello e sicuramente appassionante per tutti come Cristiada non può dunque che contribuire sensibilmente a quest’opera doverosa, ed è per questo che la sua comparsa, alla fine, anche sui grandi schermi italiani va salutata con enorme soddisfazione.
Adesso sarebbe peraltro bello e importante che altre pellicole di valore e d’indubbia utilità potessero arrivare, debitamente doppiate, nelle nostre sale cinematografiche. Il pensiero va senz’altro almeno a Un Dios prohibido, con cui nel 2012 il regista spagnolo Pablo Moreno ha narrato la storia vera dei martiri claretiani di Barbastro, uccisi nel 1936 dagli anarco-comunisti durante la Guerra civile spagnola, e a Bajo un manto de estrellas, diretto sempre nel 2012 dallo spagnolo Óscar Parra de Carrizosa, dedicato al sacrificio compiuto in nome della fede, nel 1936, sempre durante quello scontro epocale, dai 19 domenicani del Convento de la Asunción de Calatrava di Almagro.
Ma intanto gli spettatori italiani possono trarre profitto e sana ricreazione con storie magari dure ma sempre colme di speranza autentica quali October Baby (2012, di Andrew e Jon Erwin) sulla storia vera di Gianna Jessen, sopravvisuta all’aborto salino; oppure 11 settembre 1683 (2012, di Renzo Martinelli) sulla battaglia di Vienna che salvò l’Europa cristiana dalle orde musulmane; o ancora There Be Dragons (2011, di Roland Joffe) su san Josemaría Escrivá de Balaguer ancorché occorra accontentarsi dei sottotitolo italiani presenti nei DVD spagnolo o inglese. E perché no Duns Scoto (2010, di Fernando Muraca) a difesa della verità dell’Immacolata Concezione; Fireproof (2008, di Alex Kendrick), la storia vera di come è possibile salvare un matrimonio in crisi tra gesti di grande altruismo; e Bella (2006, di Alejandro Gomez Monteverde), la pellicola contro l’aborto interpretata da Eduardo Verástegui, lo stesso di Cristiada, bello, aitante e devotissimo.
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