Con la riconquista di Dabiq, ieri, l’ISIS non perde un pezzo del suo califfato, ma il centro ideale di una delle sue armi più temute: la propaganda. Non a caso l’ISIS ha chiamato Dabiq la propria rivista a quattro colori in lingua inglese diffusa in PDF su Internet.
L’ISIS occupava Dabiq dal 2014 e Dabiq per l’ISIS è sempre stato il segno del destino, il fato ineluttabile del trionfo di Allah. Qui, infatti, secondo un hadith (un racconto sulla vita di Maometto), si sarebbe dovuta svolgere la battaglia finale tra Bene e Male, lo scontro ultimo tra musulmani e cristiani (secondo le fonti arabe i “Romani”, ovvero quelli che sono stati chiamati “Romei”, cioè i cristiani bizantini), l’Armageddon islamico. Dabiq è cioè una bandiera, un faro illuminante, il canto epico capace di lanciare in battaglia schiere di miliziani pronti a immolarsi per cacciare all’inferno i nemici, di arruolarne di nuovi ogni giorno, di trasformare persino degli occidentali in foreign fighters. Dabiq è stata insomma la «roccaforte morale» dell’ISIS, come dice al Corriere della Sera Martino Diez, direttore scientifico della Fondazione Internazionale Oasis di Venezia Mestre, spiegando con precisione la profezia. Peraltro, come si evince dalla descrizione dell’esperto, l’idealismo dell’ISIS è in realtà prosaico. Di hadith apocalittici come quello riguardante Dabiq ve ne sono infatti altri, addirittura centinaia, e concernono altre località come per esempio le importantissime Mecca e Medina. Ma l’ISIS ha scelto di parlare solo di Dabiq perché Dabiq la controllava, tanto per i miliziani votati al martirio va bene lo stesso; per Dabiq essi muoiono ugualmente anche se l’Armageddon islamico è solo un mito pop, seriale come una litografia di Andy Warhol, che può succedere qui, o là, o lì, etc. L’atmosfera apocalittica, che l’ISIS ha ereditato direttamente dalla sua matrice al-Qaeda, è infatti funzionale solo a mantenere tonico il tutto. Ma è proprio per questo che la liberazione di Dabiq adesso vale mille vittorie.
Essendo l’islam una religione militare per natura, esso è di fatto teologia in armi. La sua storia è quella di una conquista che non si può arrestare. Allah è grande perché vince in battaglia. Se invece però l’islam perde come perde a Dabiq, luogo di un Armageddon prossimo venturo, allora tutta la sua teologia armata scricchiola. La perdita di Dabiq è dunque la confutazione dell’Allah akhbar, un momento strategicamente decisivo.
La liberazione della cittadina ci mostra però anche una seconda verità.
La Coalizione anti-ISIS a regia statunitense combatte il terrorismo e lo vince, la Russia di Vladimir Putin no; massacra solo i civili assieme al regime siriano. Dabiq in Siria è stata liberata da ribelli anti-Assad e da effettivi turchi. Proprio in queste ore è partita anche l’offensiva su Mosul, dove irakeni, milizie sciite, forze turche e peshmerga curdi coperti dalle aviazioni francese e statunitense cercano di chiudere la partita con il neocaliffato nero. Ad Aleppo, invece, il regime siriano e le forze armate russe bombardano da settimane la popolazione civile senza che da un lato nessuno dei molti, troppi fan occidentali di Putin pronunci una sillaba e dall’altro i terroristi subiscano smacchi significativi.
Certo, a Dabiq e a Mosul stanno andando in scena alleanze strane, sghembe, piene di contraddizioni. La Turchia cerca di tenere i piedi in troppe scarpe per tentare di sedersi comunque al tavolo dei vincitori. Le milizie sciite filoraniane potrebbero essere il prossimo problema e i curdi il prossimo bagno di sangue, visto che il regime di Recep Tayyip Erdoğan li vorrebbe tutti sottoterra. E soprattutto gli americani di Barack Obama sono i responsabili prima di quel vuoto di potere in Irak che ha permesso all’ISIS di nascere e di prosperare, poi di quell’incapacità in politica estera che ha permesso all’ISIS di fare praticamente ciò che ha voluto sino a oggi. Ma quando da questa parte finalmente prevale lo spirito giusto, quello che nemmeno tutti gli Obama e gli Erdoğan del mondo riusciranno mai a distruggere completamente perché è più forte e più vero, allora il terrorismo viene combattuto sul serio e addirittura vinto riuscendo a portare “in quota NATO” persino soggetti diciamo dubbi come Ankara, gli sciiti e magari persino i curdi comunisti del PKK. A vincere qui è infatti un’idea più forte di certi governanti imbelli e imbarazzanti, è l’idea occidentale che libera Dabiq e fa la cosa giusta a Mosul ben racchiusa in un vecchio ma sempre verde libro di uno scienziato della politica danese-statunitense che adora l’italiano e Giovannino Guareschi, David Gress: From Plato to NATO: The Idea of the West and Its Opponents (Free Press, New York 2004). Ad Aleppo, invece, gli eurasisti si sono scordati di combattere l’ISIS.
Marco Respinti
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