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«Kullervo figlio di Kalervo è forse il meno piacevole degli eroi di Tolkien: rozzo, lunatico, scontroso e vendicativo, oltre che fisicamente poco attraente. Eppure questi elementi conferiscono maggiore realismo al personaggio, rendendolo per assurdo seducente, nonostante tutti i difetti o, forse, proprio in virtù di essi». È così che la curatrice Verlyn Flieger, statunitense, una delle massime esperte del tema, introduce La storia di Kullervo di J.R.R. Tolkien (1892-1973), un racconto e alcuni saggi critici sull’epica che sono l’ennesima perla ritrovata nella miniera di bozze e inediti dello scrittore e filologo inglese che Bompiani pubblica in italiano nella traduzione di Luca Manini (pagg. 248, euro 19,00).
Del testo si sa da più di 30 anni grazie all’epistolario dello stesso Tolkien (La realtà in trasparenza, trad. it., Bompiani, Milano 2001) e a J.R.R. Tolkien. La biografia (trad. it., Fanucci, Roma 2002) di Humphrey Carpenter (1946-2005). Nel 2010 l’edizione critica della Flieger è stata pubblicata su Tolkien Studies: An Annual Scholarly Review, edito dalla West Virginia University Press di Morgantown sotto la direzione di luminari quali Douglas A. Anderson, Michael D.C. Drout e la stessa Flieger, e quindi stampata in volume da HarperCollins nel 2015.
Il racconto fu composto tra il 1912 e il 1916 da un Tolkien giovanissimo, ancora studente di Lingue germaniche nell’Exeter College dell’Università di Oxford. Da poco, dal 1911, aveva approcciato anche il finlandese, lingua poi funzionale a uno dei suoi colpi di genio maggiori: la creazione di una grammatica elfica completa. E proprio dall’amore per il finlandese nacque il suo Kullervo, giacché di Kullervo ce n’è infatti un altro, nel Kalevala, il poema epico nazionale finlandese composto da Elias Lönnrot (1802-1884).
Filologo, medico e botanico con la passione per le saghe, sulla base di antichi poemi e di carmi popolari della tradizione linguistica balto-finnica della Carelia (una lingua oggi parlata da uno sparuto gruppo di persone), Lönnrot ricreò a metà Ottocento un intero ciclo mitico per restituire alla sua patria una memoria a lungo dispersa. Tolkien ne fu singolarmente colpito tanto da mettere mano a un “calco”, scritto quando ancora la Terra di Mezzo e i suoi personaggi immortalati ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli Anelli non erano ancora nemmeno abbozzati.
Lönnrot è infatti il modello artistico e culturale di Tolkien. Come lui, Tolkien accarezzò a lungo l’idea di comporre una intera nuova mitologia per la propria patria, l’Inghilterra, giudicata povera in confronto alle grandi epiche greche, latine, celtiche e scandinave. La colossale storia delle Tre Ere della Terra di Mezzo, dalla creazione dell’universo da parte di Ilúvatar ai tempi ultimi della battaglia al Nero Cancello di Mordor, avrebbero dovuto essere questo, ma Tolkien accantonò il progetto per impossibilità fisica. Aveva ragione. Il mito autentico è il prodotto di un popolo e di una storia, non di un individuo solo. Il limite del Kalevala di Lönnrot è questo e Tolkien se ne rese conto, superando il collega finlandese specie per umiltà; eppure il germe di quell’impresa meravigliosa resta sempre sottotraccia in tutta la narrativa tolkieniana. E sgorga appunto dal deforme, sfortunato Kullervo.
Sia il Kullervo di Lönnrot sia quello di Tolkien sono lontani dall’oleografia un po’ di plastica del supereroe. Il personaggio è ossianico e la scena tragica. Ci sono il male e la catastrofe, ma ne La storia di Kullervo ci sono anche più Tolkien, anche biografico, e più Terra di Mezzo che forse in qualsiasi altra narrazione dello scrittore inglese. Il Tolkien vero, però, non quello dei gadget e della cultura di massa. Il Tolkien per cui la vita è milizia, il Tolkien che sa che tutto andrà male tranne l’esito finale, il Tolkien non pessimista ma dal crudo realismo.
La storia di Túrin Turambar cantata ne Il Silmarillion, rinarrata più volte nel complesso incompiuto di The History of Middle-earth e infine ripresa ne I figli di Húrin portato a compimento dal figlio Christopher (trad. it. Bompiani, 2007) ha qui le radici. Ma il Túrin che nasce dalla mente di Tolkien, osserva la Flieger, non è più il Kullervo del Kalevala, bensì l’appropriazione debita che ne ha fatto Tolkien. Tolkien era così: della storia e della letteratura s’impadroniva, convinto che le cose come sono andate una volta siano solo il punto di partenza per un cammino molto più lungo. Il viaggio vero è entrarci per viverle. La vita, oltre che milizia, è pellegrinaggio, e nulla è già scritto una volta per tutte. A partire da Kullervo, Tolkien supera fatalismo e rassegnazione. La speranza ritorna. Umberto Eco (1932-2016) ha confessato di sognare l’impossibile: scrivere un giallo in cui l’assassino è il lettore. Tolkien lo ha fatto. Ha scritto un mondo in cui i protagonisti siamo noi lettori ogni volta che viviamo, sperando, le sue pagine.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Il deforme eroe del “Kalevala” alle radici della Terra di Mezzo
in Libero [Libero quotidiano], anno LI, n. 77, Milano 18-03-2016, p. 27
L’Anno Santo della misericordia, indetto da Papa Francesco a 50 anni dalla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II (1963-1965), è un giubileo straordinario ed è il 30° della storia della Chiesa Cattolica. O dovrebbe esserlo, visto che il calcolo esatto degli Anni Santi è diverso da autore ad autore a seconda che si considerino o meno i giubilei straordinari e speciali.
Quelli straordinari sono gli Anni Santi che i Pontefici indicono oltre il consueto calendario dei giubilei: per esempio quelli con cui Papa Pio XI (1857-1939) nel 1933 e Papa san Giovanni Paolo II nel 1983 vollero celebrare l’anniversario della Redenzione, ma anche il Grande Giubileo del 2000 con cui il Pontefice polacco ha sancito l’inizio dell’epoca della «nuova evangelizzazione». Speciali sono invece stati l’Anno Mariano (7 giungo 1997-15 agosto 1988), indetto da Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) in preparazione del Grande Giubileo dell’anno 2000, e l’Anno Paolino (28 giugno 2008-29 giugno 2009), proclamato da Papa Benedetto XVI per il bimillenario della nascita di san Paolo di Tarso (5/10-64/67), la cui nascita è stata fissata simbolicamente dalla Chiesa all’anno 8. In più, ci sono pure i giubilei indetti ma non celebrati (quello del 1800 impedito dal cataclisma napoleonico e quello del 1850 fermato dai marasmi della Repubblica Romana neogiacobina) o quelli sottotono (quello del 1875 che la Roma appena scippata ai Papi dai Risorgimentali smorzò praticamente del tutto).
Di per sé, infatti, gli Anni Santi si susseguono con ritmo regolare. Il primo fu quello proclamato nel 1300 da Papa Bonifacio VIII (1235-1303), che fissò la cadenza in cento anni. Nel 1343, però, la bolla Unigenitus Dei Filius di Papa Clemente VI (1291-1352) ‒ Pontefice “avignonese” ‒ dimezzò l’intervallo, indicendo il secondo giubileo della storia per il 1350. Papa Urbano VI (1318?-1389) ridusse ulteriormente la cadenza a 33 anni in onore degli anni della vita terrena di Gesù; lo fece nel 1389 con la bolla Salvator noster unigenitus, ma a quel punto i 33 anni dal giubileo precedente erano già trascorsi e così, in via eccezionale, il nuovo giubileo, il terzo, fu fissato al 1390 e celebrato da Papa Bonifacio IX (1350?1404). Preoccupati perché molte persone non potevano comunque godere di un giubileo nel corso della propria vita, l’intervallo fu abbassato ancora a 25 anni da Papa Nicolò V (1397-1455) e da Papa Paolo II (1417-1471) in occasione del sesto e del settimo Anno Santo.
La decisione presa da Papa Clemente VI nel 1343 di dimezzare il periodo stabilito originariamente da Papa Bonifacio VIII fu presa per allineare il giubileo cristiano al suo modello biblico originale, il giubileo ebraico. “Giubileo” deriva infatti dal termine ebraico yobel e significa “caprone” in riferimento al corno di montone in guisa di tromba con cui i sacerdoti del popolo eletto annunciavano l’inizio dell’anno eccezionale stabilito nel libro del Levitico ogni «[…] sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni» (25,8): «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia» (25, 10). Con tutta evidenza, lo schema ripropone del resto la logica dello Shabbat, il settimo giorno dedicato al Signore.
Sia il giubileo dell’Antico Testamento sia quello cristiano è un forte richiamo alla conversione e alla penitenza, esige la confessione e il perdono, e stabilisce precise condizioni per godere della grazia divina. Si tratta cioè di un momento solenne di riconciliazione con Dio.
All’epoca del Grande Giubileo del 2000 mezzo mondo si spellò le mani in applausi compiaciuti perché ‒ si disse ‒ la Chiesa aveva finalmente “chiesto perdono” di duemila anni di nefandezze, ma fu una bufala enorme. La Chiesa chiese perdono sì, ma a Dio e non al mondo. In secondo luogo, lo fece perché i cristiani a volte sono stati poco cristiani, non troppo. In ultimo, lo fece solennemente vista la data importante ma non diversamente da come lo fa a ogni Anno Santo.
Gli anni giubilari degli antichi ebrei prevedevano tra l’altro la restituzione delle terre confiscate ai loro proprietari originari, la remissione dei debiti, la liberazione degli schiavi e il riposo della terra coltivata. In realtà, il mondo ebraico non riuscì mai a celebrare davvero il giubileo e così è toccato ancora e sempre al cristianesimo il compito di soddisfare anche questa promessa altrimenti incompiuta. «Il Medioevo seppe colmare in modo creativo l’abisso fra l’utopia e la realtà, creando una modalità concreta di vivere l’anno santo o giubilare. Il primo anno santo fu un fenomeno spontaneo. Non nacque dall’alto, non fu un’invenzione della Curia romana, ma la risposta a una profonda domanda del Popolo di Dio». Lo scrive il padre lazzarista Luigi Mezzadri, storico della Chiesa, nell’introduzione al libro da lui curato, Giubilei e Anni Santi. Storia, significato e devozioni, ricordando che fu la spiritualità intensa dei cristiani “di base” a “spingere” la gerarchia a far fare “gli straordinari” alla misericordia divina.
Al medesimo senso concreto, persino materiale del rapporto che i medievali avevano con Dio si deve la ricchezza di simboli con cui gli Anni Santi richiamano ai credenti la realtà ultima del Cielo che già si pregusta però sulla Terra. Li illustra tutti mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, nel libro I segni del giubileo. Il pellegrinaggio, la città di Pietro e Paolo, la Porta Santa, la professione di fede, la carità, l’indulgenza, sottolineando l’importanza ma soprattutto la bellezza dei gesti che in queste occasioni il credente è chiamato a fare all’unisono con il Successore di Pietro, una vera occasione “d’appello” che il Cielo concede ai credenti per ricominciare daccapo una volta in più.
Lo stesso mons. Fisichella regala una straordinaria collezione di documenti nel volume Gli Anni Santi nella storia della Chiesa, versione aggiornata e aumentata de Gli Anni Santi attraverso le Bolle, uscito nel 1999. Si tratta della raccolta completa dei brevi pontifici con cui la Chiesa ha indetto i giubilei, testi essenziali e precisi d’invito alla festa organizzata dal Cielo sulla Terra. Certo, l’Anno Santo di Papa Francesco non lo si vive come il Cielo vuole lo si viva semplicemente irrobustendo la propria cultura storico-diplomatica; sicuramente non fa però male sapere qualcosa in più sul conto di questa enorme occasione che la Chiesa ancora una volta, e dobbiamo ringraziarLa, ci offre. Alla “mal parata” impareremmo che il cuore dell’Anno Santo, sempre, ordinario, straordinario o speciale che sia, è la misericordia: la misericordia che ancora una volta Dio concede all’uomo anche se l’uomo di per sé non se la merita. L’Anno Santo della misericordia 2015-2016 va cioè al cuore del concetto stesso di Anno Santo; l’Anno Santo di Papa Francesco è l’essenza del giubileo della Chiesa. Che grazia viverlo.
- Luigi Mezzadri, C.M. (a cura di), Giubilei e Anni Santi. Storia, significato e devozioni, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 2015.
- Mons. Rino Fisichella, I segni del giubileo. Il pellegrinaggio, la città di Pietro e Paolo, la Porta Santa, la professione di fede, la carità, l’indulgenza, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano 2015.
- Mons. Rino Fisichella, Gli Anni Santi nella storia della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015.
Marco Respinti
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