Jacques Hamel, 86 anni, parroco cattolico di Saint-Étienne-du-Rouvray, 58 anni di sacerdozio, sgozzato come un animale mentre celebrava l’Eucarestia. È un martire. Ci arriva persino L’Huffington Post. È stato infatti abbattuto in odium fidei. La Chiesa farà il suo corso, avrà i suoi tempi, ma il parroco di questo paesino normanno è certamente martire. I suoi tagliagole lo hanno ammazzato per il gesto supremo che stava compiendo, per il santo sacrificio dell’altare che stava amministrando contemporaneamente a mille altri sacerdoti in mille altri luoghi della Terra, per le parole della consacrazione che stava pronunciando, per l’abito che portava, per il ministero che viveva, per la fede che professava indipendentemente dalla fedeltà con cui lo faceva.
Don Jacques era infatti un peccatore come tutti i cristiani, e per questo era cristiano. Ai suoi assassini non è interessato un fico secco di come la pensasse sulla pace e sulle armi, sull’ecumenismo e sull’Amoris laetitia, sul Concilio Ecumenico Vaticano II e su Papa Francesco, sulle menate borghesucce con cui si trastullano i “tradizionalisti” e sullo sfascio totale che auspicano i progressisti. A loro è bastata l’unica cosa che fa di un cattolico un cattolico, e che per ciò stesso fa un cattolico diverso da tutti gli altri: la fede in Gesù Cristo.
La fede è un dono: non si acquista al discount, e per questo è un mistero. Non dipende dalla bravura di chi la professa, dalla sua abilità, dalla sua capacità, dalla sua intelligenza, dalle sue idee politiche. È il tocco grazioso di Dio. L’uomo a essa deve corrispondere, ma la fede non ha graduatorie, tessere a punti, albi delle figurine. È un dato oggettivo: chi ne è inondato e sovrabbondato la può tradire mille volte al giorno, ma la fede resta sempre se stessa. Non un parere, un “secondo me”, un calcolo, ma una iniziativa gratuita di Dio. Proprio per questo la fede di don Jacques è un dato oggettivo e non dipende dalle capacità di don Jacques. La fede cattolica, ovviamente, perché per tutto il resto quanto detto non vale. Per tutto il resto conta solo l’intelligenza, la bravura, la coerenza, l’apparenza, tutte cose di cui Dio, che è cattolico, non sa però che farsene.
Don Jacques è martire di questa fede cattolica perché la fede cattolica di don Jacques è più grande di don Jacques stesso. È proprio perché, fosse anche in un nanosecondo lontano e dimenticato, a don Jacques un giorno questa verità si è mostrata in tutta la sua evidenza che don Jacques è un martire. I suoi assassini hanno voluto colpire infatti non la bravura, la capacità, l’intelligenza e la coerenza di don Jacques, ma colui che, nonostante il peccato di don Jacques, vive in lui: Cristo.
È la prima volta che accade. È accaduto migliaia, milioni di volte nella storia, ma è la prima volta che in Europa un uomo viene ammazzato per la fede di cui è portatore (e non per un simbolo politico, economico, militare, e nemmeno culturale) nel corso di quest’ultima, estrema fase della quarta guerra mondiale. Quarta guerra mondiale. Quando Norman Podhoretz, 86 anni quanti ne aveva don Jacques, uno dei padrini del movimento neoconservatore statunitense, coniò l’espressione, e ci titolò un libro dodici anni fa (La quarta guerra mondiale. Come è cominciata, che cosa significa e perché dobbiamo vincerla, trad. it., Lindau, Torino 2004), la gente rise. Molti non hanno ancora smesso, ma il risultato si vede.
Se la Terza guerra mondiale era stata quella cosiddetta “fredda” contro l’impero del male comunista, la quarta è quella iniziata l’Undici Settembre contro l’asse del male islamista e il suo upgrade degli ultimi tre anni circa. È la medesima guerra, ma siccome è stata combattuta solo un po’ e poi si è smesso di farlo dileggiando chi lo aveva fatto (le “guerre di Bush”, e anche di BBB, Bush, Blair, Berlusconi), quella guerra è andata oltre.
L’Undici Settembre la guerra iniziò con al-Qaeda che mediante colpi eclatanti mirava a sollevare le masse arabo-islamiche per rovesciare i governi “laici” e “moderati” dei Paesi a maggioranza musulmana e ripristinare il califfato. Gli occidentali, gli ebrei e i cristiani erano ostacoli che la grande insurrezione avrebbe travolto. Poi quella strategia ha involontariamente generato un franchising: gruppi, gruppetti e cani più o meno sciolti che hanno preso ad agire ispirati e motivati da al-Qaeda ma autonomamente. Per un po’ questa è stata la forza stessa di al-Qaeda, poi la cosa si è trasformata in un guaio d’immagine, visto che, come sempre, c’è chi vuole strafare. Abu Mus’ab al-Zarqawi, uomo forte di al-Qaeda in Iraq, un vero macellaio, ha finito per scontentare lo stesso Osama bin Laden che forse lo ha persino venduto agli americani che lo hanno ucciso nel corso di un bombardamento e dalle sue ceneri sono nati Abu Omar al-Baghdadi e l’ISIS. È la stessa Quarta guerra mondiale, ma oggi gli allievi superano i maestri; e mentre al-Qaeda più o meno declina, l’ISIS, anche per la teatralità delle sue azioni, cresce grazie all’insurrezionalismo degl’irregolari, il coté islamista del relativismo che ammorba il nostro mondo e ci rende incapaci di reagire. Non più un solo fronte, ma cento assieme; non un solo obiettivo, ma mille; non un esercito, ma una lucida follia dove c’è posto per tutti.
Farebbero ridere, se la situazione non fosse drammatica, i funambolismi dei commentatori che evitano di aggettivare “islamico” e dei cronisti che infilano “sedicente” in ogni buco disponibile. Ancora peggio è l’ultima moda di voler far passare i terroristi per degli “squilibrati” o persino degl’idioti, appaiata dalle cautele inutili di chi aspetta a prescindere onde appurare se ci siano legami tra attentatori e Daesh. Finché l’Occidente farà così, subirà soltanto.
I collegamenti tra i terroristi attivi in Europa e il califfato ci sono, non ci sono, chi lo sa e soprattutto è lo stesso. Né ai terroristi attivi in Europa né al califfato importa minimamente. Chiunque si riconosca nella battaglia del califfato è automaticamente del califfato, non ci vogliono iscrizioni, tessere, quote annuali. È il claim pubblicitario più efficace di tutta questa Quarta guerra mondiale. Nessuna concertazione, basta colpire invocando l’ISIS e l’ISIS benedirà a posteriori. Il confine tra il lupo solitario squilibrato e il terrorista lucido appartiene a un mondo che non c’è più. Oggi l’upgrade della Quarta guerra mondiale ha fatto della follia la lucidità. Prima lo capiremo, prima smetteremo di attardarci a cercare reti e ramificazioni probabilmente inesistenti per concentrarci su quella setta delle ombre che è ovunque, e soprattutto già tra noi. Don Jacques Hamel priez pour nous.
Marco Respinti
Versione completa e originale dell’articolo pubblicato con il titolo
Il primo martire cristiano della jihad in Europa
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 26-07-2016
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