Osservate lo yuan e capirete subito la crisi economica della Cina. Tutte le banconote della Repubblica popolare cinese, di qualunque taglio, sfoggiano orgogliose l’effige di Mao Zedong (1893-1976), carnefice, comunista. Come comunista è ancora e sempre il governo cinese, la mentalità della sua classe dirigente, la struttura intera del Paese. La Cina è infatti ferma al suo tragico passato di pianificazione e di morte, e il crollo attuale della sua borsa ne è la conseguenza diretta.
In Cina il mercato non c’è, la libertà d’intrapresa non c’è, il rule of law non c’è. C’è ancora la persecuzione, c’è la repressione, c’è lo statalismo. Il partito-governo-Stato comunista controlla tutto, compreso l’apparente superamento del vecchio collettivismo marxista-leninista. Perché la Cina resta ancora l’unico esempio storico di perestrojka riuscita. Si perdonerà la pusillanimità dell’autocitazione, ma non è la prima volta che lo scrivo: la prima volta l’ho scritto nel libro Gli artigli del dragone. Crimini, violazione dei diritti umani e cultura di morte nella Cina del Terzo millennio (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2008).
La perestrojka lanciata in Unione Sovietica da Mikhail S. Gorbacëv nel 1987 fu l’estremo tentativo di salvare il comunismo dalla disfatta totale, cambiando qualche carta da parati e risolvendosi a liberalizzare quel poco che non si poteva più non liberalizzare allo scopo di finanziare la rifondazione. In russo perestrojka significa infatti “ricostruzione”, non certo “smantellamento” come si è invece sempre voluto dire. Sette lugubri decenni di lutti, di economia schiavista e di costosa esportazione della rivoluzione nel mondo avevano infatti ridotto Mosca sul lastrico. E così, come già Lenin (1870-1924) nel ai tempi della Nuova politica economica (NEP) che un po’ dovette “aprire” per fronteggiare i disastri economici dell’ascesa al potere e delle Guerra civile (1918-1921), si cercò di rimpinguare le casse dello Stato cercando fondi nell’unico luogo dove abbondavano: nell’esecrato sistema capitalista occidentale, unico in grado di evitare il collasso del sistema. Ma a Gorbacëv andò male: si mosse tardi, goffamente e non riuscì a reggere le briglie della bestia.
La Cina intanto assisteva impassibile al soffocamento dell’URSS sotto i suoi debiti (nel 1989 Gorbacëv cedeva alla piazza e Pechino la piazza la schiacciava a Tienanmen). Ha sempre fatto così la Cina: ha mandato avanti i sovietici e poi ha sfruttato i loro errori. A Pechino, infatti, la perestrojka ha funzionato, e senza nemmeno cambiare la carta da parati.
Il suo artefice è stato Deng Xiaoping (1904-1997), che senza rinunciare al maoismo (il massacratore di Tienanmen è lui) ha lanciato il “nuovo corso” con lo slogan: «Arricchirsi è glorioso». Ispirandosi infatti proprio alla NEP leniniana, Deng ha rimpiazzato la vecchia lotta di classe (anche perché le classi erano già da tempo azzerate) con un paneconomicismo il cui il denaro unico dominatore è matrice di ogni giudizio, valore e principio. Sì, questa economia uccide (direbbe Papa Francesco) e non ha nulla a che fare con il capitalismo in cui la libertà economica è frutto del genio dell’uomo e strumento della sua intrapresa.
Questo fanatismo solo diversamente comunista ha permesso alla nuova Cina di veleggiare per due decenni abbondanti sulla cresta di un’onda in costante crescita. Ma, come si sa, le onde sono prodotte dal vento. In sostanza sono aria. Gonfiano l’acqua, ma sotto cova l’abisso vuoto. E non sembra finché la costa, reale, dura, solida, rompe l’illusione.
La borsa cinese di oggi è una bolla di scivoloso sapone che scoppia. L’economia cinese è cresciuta a lungo carpendo soldi a chi soldi da spendere li aveva avendoli prima accumulati grazie a un virtuoso sistema capitalista. La proverbiale competitività dei prodotti cinesi era solo la somma tra violazione degli standard, merci fraudolente e sfruttamento della schiavitù nei numerosissimi campi di concentramento del Paese. Infatti la crescita economica cinese è tutta solo esportazione, vale a dire soccorso esterno, cioè perestrojka riuscita. Il mercato interno è praticamente inesistente, ovvero nel Paese il mercato non c’è. Il partito-governo-Stato controlla ogni cosa, comprese le aree di libertà condizionata che servono da vetrina. Le cose così durano finché durano. Adesso il vento è calato e il grande vuoto sotto l’onda cinese si vede tutto. Il dramma è che l’Occidente, dopo averne comperato abbondanti quote per non avere ancora una volta saputo e voluto mettere fine al comunismo, pagherà pure i costi della perestrojka pechinese. Servisse almeno ha far esplodere politicamente il Paese…
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 27-08-2015
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