A cinque giorni dall’Election Day Hillary Clinton incassa l’endorsement di un altro giornalone, The Economist, che la definisce la «speranza migliore» bollando Donald J. Trump come «orribilmente inadatto a essere il capo di Stato della nazione a cui il resto del mondo democratico guarda per la leadership, il comandante supremo delle forze armate più potenti del mondo e la persona che controlla il deterrente nucleare americano». Nessuna novità, insomma: è esattamente come la pensano, senza farne mistero, la grande stampa da The New York Times a The Atlantic, il fior fiore dell’attuale Amministrazione da Barack Obama (moglie Michelle compresa) al suo vice Joe Biden che si affannano su e giù per il Paese, il jet-set di Hollywood con rarissime eccezioni, le pop-star che moltiplicano i concerti per Hillary (Cher, Katy Perry, Stevie Wonder, Jennifer Lopez) e pure l’oramai famosa bocca larga di Louise Ciccone in arte Madonna. Con tutto questo spiegamento di forze, il fatto che nel sondaggio effettuato ieri da The New York Times e CBS la Clinton sia in vantaggio di soli tre punti su Trump (45% a 42%) è già una sconfitta, anche perché la differenza che li separa è uguale al margine tecnico di errore del rilevamento.
Anzi, Warbur dà Trump al 40% e la Clinton al 39% in New Hampshire e la Keevoon Global Research calcola che il 49% degli ebrei americani che vivono in Israele (85% dei quali ultraortodossi) ha già scelto Trump con l’early voting (il voto anticipato per posta) contro il 44% (di cui il 75% sono laici) indirizzatosi alla Clinton. Stando poi all’“ultima ora” di Rasmussen, Trump avrebbe addirittura oltre la metà dei voti di chi ha già deciso come votare.
Ma dopo che l’FBI ha riaperto le indagini sull’“emailgate” lo spettro è un altro: il pareggio. Stante che il presidente non lo eleggono i cittadini in massa ma gli americani Stato per Stato, è Stato per Stato che si deve vincere. Ogni Stato assegna un certo numero di voti elettorali pari a quello dei deputati che manda alla Camera federale proporzionalmente ai propri abitanti, più altri due fissi quanti sono i senatori che gli Stati mandano pariteticamente a Washington. Quest’anno sono 538 in tutto; per vincere ne bastano 270. Possibile, ancorché improbabile, è che Trump e Hillary ne conquistino 269 a testa. Per questo l’attenzione è concentrata sugli Stati che potrebbero fare la differenza: North Carolina, Florida, Arizona, New Hampshire, Nevada e Utah, oltre a swing state tradizionali come Ohio, Pennsylvania e un po’ anche Michigan.
Ora, nello Utah dei mormoni, non vista (alle nostre latitudini) ma inesorabile, sta montando l’alternativa Evan McMullin. Classe 1976, mormone, ex operativo della CIA impegnato nell’antiterrorismo, un prosieguo negl’investimenti bancari alla Goldman Sachs, membro del Council on Foreign Relations, già funzionario dei Repubblicani alla Camera federale, McMullin ha deciso di candidarsi da indipendente alla Casa Bianca l’8 agosto. Il suo orientamento è superconservatore e il suo gradimento nei sondaggi nello Utah è cresciuto sino all’attuale 30% circa dopo che l’establishment mormone ha dato il ben servito a Trump per il famoso video “sessista” del 2005. Dirottando i voti altrimenti di Trump (nessun mormone conservatore voterà mai per la Clinton), McMullin finirà per far vincere Hillary, ma in realtà il suo calcolo è tutt’altro. Spera infatti di trasformare i 6 voti elettorali dello Utah nel bandolo della matassa e gli sarà possibile farlo qualora, prima del voto dello Utah, né Trump né Clinton abbiano raggiunto quota 270. A quel punto il conservatorismo mormone potrebbe vantarsi di avere bloccato l’elezione del nuovo presidente. Cosa succederebbe in quel caso? In base al XII Emendamento (1804) alla Costituzione, spetterebbe alla Camera federale designare il presidente (votando Stato per Stato ognuno con un voto) e al Senato il vicepresidente. Oggi il Congresso è a maggioranza Repubblicana in entrambe le Camere. Trump vincerebbe, la Destra gioirebbe e la coscienza dei mormoni sarebbe salva. Ma pure potrebbe vantarsi di essere decisiva.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
La Casa Bianca ostaggio dei mormoni
in Libero [Libero quotidiano], anno LI, n. 305, Milano 04-11-2016, p. 15
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