Mentre per l’Inauguration Day di Donald J. Trump bisogna aspettare il 20 gennaio, martedì 3 si è insediato il nuovo Congresso, il 115°. Ed è un Congresso smaccatamente cristiano e conservatore, guidato dal riconfermato Paul Ryan, presidente cattolicissimo della Camera, quello che ieri ha proclamato ufficialmente Donald Trump il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Dopo la conta dei voti del Collegio elettorale, il Congresso, riunito in seduta comune, ha certificato la sua elezione, senza colpi di scena. Un rapporto dell’istituto di statistica Pew Research Center accerta infatti che il 91% dei parlamentari americani si dichiara cristiano. Cifre impensabili altrove in Occidente, ma gli USA sono così dall’inizio, «One Nation Under God», e nessuno ha mai pensato che potesse non trattarsi del Dio dei cristiani.
La cronaca aiuta a capire il dato odierno. Quando l’8 novembre Trump ha sbaragliato Hillary Clinton, gli americani hanno votato pure per l’intera Camera dei deputati e per un terzo del Senato premiando non Repubblicani qualsiasi, ma quelli che, nel pieno dello scontro con lo stesso Trump, a Cleveland, in Ohio, il 18 luglio, approvavano, indipendentemente da Trump, il programma più “Dio, patria e famiglia” di sempre. È vero che l’8 novembre i Repubblicani hanno vinto perdendo 6 deputati e 2 senatori, ma i promossi hanno giurato su quel programma che lo scandalizzato The New York Times ha definito il «[…] più estremista a memoria d’uomo».
Il Pew Center punta però anche su altri due dati. Il primo è il calo dei cittadini che, al contrario dei parlamentari, si dichiarano cristiani. Il secondo è che la percentuale dei parlamentari cristiani di oggi è inferiore al 1961-1962.il primo periodo disponibile per questo tipo di rilevamenti. Ma mentre il primo dato è trascurabile (il Pew non è nuovo a imprecisioni), il secondo è interessante (la ricerca in un ambito definito, e non su un campione, è più precisa).
Nell’87° Congresso, eletto nel novembre 1960 ed entrato in carica nel gennaio successivo, a maggioranza Democratica, era il 95% dei parlamentari a definirsi cristiano. Una smentita dell’identità cristiana dei Repubblicani attuali? No. Allora infatti contava ancora l’american way of life che fa blasone non solo della libertà religiosa, primo dei diritti politici dei cittadini, ma che pure si vanta della ricaduta pubblica della fede. Gli anni Sessanta erano solo all’inizio e la controcultura (poi divenuta ideologia, relativismo e politicamente corretto) aveva soltanto iniziato ad aggredire le istituzioni. Mentre il Paese reale cominciava cioè a cambiare, il Paese istituzionale, fisiologicamente più lento, restava legato ai vecchi valori, Democratici compresi. In un tempo in cui quello Repubblicano non era ancora un partito di destra come oggi, molti Democratici, soprattutto nel Sud, erano conservatori e cristiani. Prova ne è che quando, nel 1964, il senatore Barry M. Goldwater puntò alla Casa Bianca da Repubblicano di destra, il suo primo nemico fu l’establishment progressista del suo stesso partito. Ma fu proprio quella sortita coraggiosa (“voce di uno che grida nel deserto”, la definì decenni dopo Patrick J. Buchanan) a imprimere la svolta che oggi fa dei Repubblicani una legione conservatrice e cristiana. Ovvero: i parlamentari che allora si dicevano cristiani per il 95% erano l’indice di una cultura più omogenea, il 91% di oggi sono spia di un mondo diviso ma più identitario. Per di più il Pew non tiene conto dei Democratici cattolici che contraddicono la fede (per esempio su aborto e “nozze” gay) come l’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi, il candidato vice di Hillary Clinton Tim Kaine, il Segretario di Stato John Kerry e il vicepresidente Joe Biden. Raffrontando numeri simili il Pew Center dice di no, ma la società americana è mutata. La matematica è un’opinione.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Al Congresso sono tutti cristiani, ma l’America non va più in chiesa
in Libero [Libero quotidiano], anno LII, n. 6, Milano 07-o1-2017, p. 10
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