Non si parla d’altro, il Palazzo è in subbuglio, Laura Boldrini friccica, Matteo Renzi sta rivedendo in fretta l’agenda. Il 21 luglio la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha schiaffeggiato pubblicamente l’Italia perché l’Italia, dice la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, viola l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in quanto non riconosce giuridicamente i “matrimoni” LGBT e quindi deve fare subito ammenda.
Come s’intitola quell’art. 8? S’intitola Diritto al rispetto della vita privata e familiare. Cosa dice l’art. 8? Dice: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Dov’è il riconoscimento giuridico del “matrimonio” LGBT? Non c’è. Nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non c’è il riconoscimento giuridico del “matrimonio” LGBT. Per sostenere il contrario bisognerebbe scovare tra le righe dell’art. 8 un’affermazione che non c’è e poi imporla con i gendarmi agli Stati membri e ai loro cittadini, ovvero che il “matrimonio” LGBT è «una misura […] democratica […] necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui». Probabilmente è infatti vero proprio il contrario.
E allora cosa dice l’art. 8? Dice che il privato dei cittadini europei è sacrosanto e che come tale va sempre tutelato gelosamente. Da cosa? Dai soprusi, dagli arbitri, dalle ingerenze. Di chi? Di chi ne ha il potere. Chi? Lo Stato, gli Stati. Ed è talmente così che l’art. 8 prevede persino una “procedura d’urgenza”: cioè una «ingerenza» dell’«autorità pubblica» secondo modalità «prevista dalla legge». Agghiacciante, certo: ma l’art. 8 dice incontrovertibilmente che la sfera privata è così intoccabile che addirittura lo Stato può intervenire positivamente per difenderla… da se stesso contro se stesso… Un paradosso, ovviamente discutibilissimo, ma è lampante che nell’art. 8 nulla! autorizza lo Stato, in alcun modo, a violare la vita privata e familiare dei cittadini europei.
L’art. 8 è cioè un “muro di separazione tra Stato e famiglia” che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo istituisce e difende da ogni assalto, basandoci tutta la propria giurisprudenza atta a tutela i cittadini europei e il loro delicatissimo privato. In Europa la tutela della vita privata e familiare dalle ingerenze di uno qualsiasi degli Stati membri dell’Unione Europea poggia cioè sulla granitica certezza del diritto espresso dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani e sostenuta a spada tratta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Infrangere la separazione tra Stato e famiglia che la Carta istituisce e il Tribunale difende è una violazione dei diritti umani dei cittadini europei consumata in diretta televisiva a eterna memoria futura.
Nell’art. 8 Il “matrimonio” LGBT non c’è, non c’entra, non rientra. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che oggi invoca quell’art. 8 per dare ragione a 6 italiani omosessuali che hanno fatto ricorso per vedersi riconoscere giuridicamente dall’Italia il proprio “matrimonio” sbaglia di grosso. Il Tribunale stravolge il senso dell’art. 8, distrugge la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La quale non è affatto stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 per consegnare carta bianca allo Stato così che esso possa fare i giorni pari e i dispari pure carne di porco della famiglia, ma per difendere la famiglia dallo Stato stesso, riconoscendo che la famiglia è la prima impresa sociale dell’uomo imprenditore, che essa rientra nella sfera della proprietà privata inalienabile giacché diritto umano e che proprio per questo svolge una insostituibile funzione sociale.
C’è un analogo e un procedente dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. È il Primo Emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti, ratificato, come tutto il “Bill of Rights”, nel 1791: «Il Congresso non promulgherà leggi che istituiscano una religione di Stato, o che ne proibiscano la libera professione, o che riducano la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di rivolgere petizioni al governo per la riparazione di torti». Lo Stato sta fuori dalla religione, dalla sua pratica pubblica e dalla libertà di espressione esattamente come sta fuori dalla famiglia. Il “muro di separazione” tra Stato e intangibilità della persona nei suoi primari diritti umani, nelle sue libertà fondamentali, nelle sue intraprese private con funzione sociali esiste, e Dio lo benedica, lo Stato s’inchini (paghiamo noi). Serve a proteggere zone di sovranità reale dalla rapacità dello Stato-caterpillar.
Se il governo italiano avesse gli attributi, sbatterebbe la sentenza del 21 luglio in faccia alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo stamani stesso in nome della più assoluta laicità della cosa pubblica, dell’irrevocabile terzietà che lo Stato deve mantenere sempre in questioni che non lo riguardano giacché lo precedono ontologicamente, logicamente e cronologicamente, e la pianterebbe di correre a cambiarsi il pannolone ogni volta che un eurocrate raglia gettando alle ortiche la certezza del diritto e lo Stato di diritto inventandosi diritti farlocchi cui basta persino uno come John Locke per rispondere. Vita, libertà, proprietà, diceva il filosofo inglese, sono i diritti naturali che attengono alla persona: il “matrimonio” LGBT non c’è.
Marco Respinti
testo inedito
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