Che mondo è, mi domando, quello in cui, mentre si sconvolgono gli ordinamenti giuridici di un Paese dopo l’altro per inventarsi quella cosa che in natura non esiste (non in Chiesa, non nel Catechismo, non nel Vangelo, o meglio non originariamente lì), ovvero il “matrimonio” omosessuale, contemporaneamente si procede a ritmi altrettanto serrati per garantire a tutti non solo la possibilità di divorziare, ma di poterlo farlo più in fretta che mai?
Ovviamente, la risposta è il nostro mondo, quello sghimbescio, storto e assurdo in cui viviamo.
Si fa di tutto, cioè, per inventarsi la “matrimonializzazione” dell’unione affettiva e carnale tra persone appartenenti allo stesso sesso e contemporaneamente si persegue la sfasciabilità totale dell’unica unione affettiva e carnale davvero matrimonializzabile, quella tra persone di sesso diverso.
La parola “matrimonio” deriva infatti dal termine latino matrimonium, vale a dire da mater, “madre”, e da munus, “compito” inteso come “dovere”. Al matrimonium è inscindibilmente legato il patrimonium, derivato da pater e da munus, cioè il compito che spetta al padre. Quali sono i due compiti della mater e del pater? Quello della madre è il compito di dare vita i figli, quello del padre è il compito di sovvenire alle necessità di quei figli; insieme i tre soggetti, madre, padre e figli, formano un inscindibile legame di appartenenza che si tramanda nel tempo, la famiglia.
Padre e madre sono dunque i genitori dei figli, cioè li portano alla vita esercitando nei loro confronti funzioni diverse e complementari. “Complementari” significa che non sono un optional, ma che se una manca il cerchio non si chiude. Come si può allora pretendere di “matrimonializzare” una unione priva di questa sostanziale differenza anche sessuale? Perché i genitori (coloro che generano e nutrono i figli) sono 1) strutturalmente tra loro diversi, e non solo sessualmente; 2) strutturalmente complementari, e non solo sessualmente; 3) strutturalmente strumenti di vita; 4) artefici della famiglia come traditio di compiti e di doni ad altri, in primis ai figli.
Per questo, nell’ordine naturale delle cose, ogni elemento che alteri questa sequenza produce solo assetti menomati, zoppi e dannosi. Avere due “padri” o due “madri”, come vorrebbe impossibilmente la retorica LGBT, significa avere in “famiglia” sempre uno di troppo e sempre uno di meno: un generatore di troppo e nessun difensore, e viceversa. Parlare di “matrimonio” omosessuale è come dire “asino che vola”: lo si può verbalmente fare, ma la cosa non esiste.
Per ciò è a dire il meno curioso che questo nostro mondo che forca e biforca per forzare la natura a matrimonializzare ciò che intrinsecamente non è matrimonializzabile si dia al contempo tanta pena a rendere il matrimonio sempre più sfasciabile.
Se infatti l’uomo fosse pura logica (un po’ come il Dottor Spok di Star Trek, per intenderci), si comporterebbe in modo opposto. Vi sarebbero cioè i contrari al “matrimonio” omosessuale e i fautori della matrimonializzazione dell’unione omosessuale uniti nella battaglia contro il divorzio, cui si opporrebbero decisamente i divorzisti sia eterosessuali sia omosessuali decisi a cancellare ogni traccia della “gabbia” matrimoniale tanto etero quanto omo. E invece no. Oggi chi si batte contro il “matrimonio” omosessuale si schiera in buona percentuale anche contro il divorzio, mentre gli alfieri della “matrimonializzazione” dell’unione omosessuale sono sempre favorevolissimi anche al divorzio, e spesso pure viceversa.
No, mi obietterebbe a questo punto qualcuno: perché chi oggi vuole “matrimonializzare” le unioni omosessuali vuole così esprimere quel senso di libertà totale e di eguaglianza generale che viene perfettamente garantito anche dalla “divorziabilità” assoluta. Sofisma, replico io. Se io infatti mi batto per l’istituto matrimoniale, lo faccio perché a quel concetto attribuisco un valore da difendere dal divorzio. Se mi battessi per il “matrimonio” omosessuale, lo farei non certo per offrire al divorzio una vittima in più.
Ma tutto questo ha senso soltanto in un contesto in cui la ragione ha ancora la capacità di riconoscere l’essenza delle cose e dunque di agire secondo categorie certe di uniformità e difformità, uguaglianza e differenza, genere e specie, prima e dopo, causa ed effetto. Il nostro mondo sghimbescio, storto e assurdo pretende invece la “matrimonializzazione” dell’unione omosessuale per il mero gusto di poterla sfasciare attraverso il divorzio.
Marco Respinti
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.