A 120 dalla nascita, Giulio Cesare Andrea Evola (1898-1974), in arte prima Jules e poi Julius, diventa fiction nei 18 racconti dell’antologia di sapore calvinista (nel senso di Italo Calvino) Il Barone immaginario, curata da Gianfranco De Turris, segretario della Fondazione Julius Evola, per i tipi della milanese Mursia (284 pagg., 19 euro). Firmano nomi affermati e altri meno della “narraltiva”, il narrar alternativo ai quattro scrittori prezzemolini di cui vivono le major italiane e il monocolore televisivo: Adriano Monti-Buzzetti, Max Gobbo, Marco Cimmino, Mario Farneti, Mario Bernardi Guardi, Manlio Triggiani, Errico Passaro, Dalmazio Frau, Alberto Henriet, Giulio Leoni, Marcello de Angelis, Mariano Bizzarri, Augusto Grandi, Andrea Scarabelli, Antonio Tentori, Enrico Rulli e Marco Rossi, tutti autori di racconti originali, a cui si aggiunge il conte Vincenzo Fani Ciotti, alias il poeta e giornalista “Volt”, futurista e fascista, con Le parole che uccidono del 1920.
L’operazione è facile ‒dopo che qualcuno l’ha pensata. Un intellettuale vero, da alcuni osannato come un dio e da altri odiato come un diavolo, fa il verso a se stesso trasformandosi in soggetto letterario. Un po’ (se gli evoliani non si offendono) come Essere John Malkovich, il film diretto nel 1999 da Spike Jonze in cui la grande maschera di Hollywood interpreta se stesso. Per farlo bisogna essere grandi e avere quel senso dell’ironia che rende tali. Sarebbe comodo, infatti, liquidare l’operazione De Turris come l’ennesimo “culto serale” che gli adepti tributano al “filosofo maledetto”, un vate pubblicato e ripubblicato, antologizzato, compendiato, spezzettato in decaloghi pronti all’uso, e poi citato e persino plagiato, spiegato, glossato, intrepretato, giustificato a ogni salto di essere, dagli esordi dadaisti al tradizionalismo perennialista, dall’“inviolabile” Rivolta contro il mondo moderno al saggetto Psicologia criminale ebraica.
Al contrario, è un esperimento ben riuscito che segna l’ingresso di Evola fra i grandi editori non “di settore”. Ben riuscito poiché drammaticamente sdrammatizza. Prende cioè il “toro sacro” per le corna e lo scompone restituendolo trasfigurato. E così l’ariosofo della via italica agli dèi (almeno di una sua corrente), l’antisemita spiritualista che l’Ahnenerbe nazista teneva d’occhio (è l’oggetto degli studi di Nicola Cospito), il mago del Gruppo di Ur, il sodale del massone Arturo Reghini, il neopagano che è riuscito ‒ almeno in qualche fase ‒ a concepirsi cattolico senza essere cristiano si fa protagonista da copione, magari buono per una traslazione televisiva. A volte pure macchietta (come nell’iniziale affettatamente maiuscola del titolo nobiliare che fa da titolo all’antologia), ma ci sta perfettamente.
Il Barone immaginario nasce quando «mi sono reso conto che il livello di quanto detto su Julius Evola aveva raggiunto e superato il livello di guardia (e della sopportazione)», scrive De Turris nell’introduzione, lenta nell’avvio un po’ bilioso da vestale ferita nell’orgoglio ma poi godibilissimamente colta e più che illuminante. In questi racconti, Evola incontra i grandi della cultura, della politica e dell’esoterismo del suo tempo, scambia con i quidam de populo e si trova faccia a faccia con alieni, dèi iperborei e i Grandi Antichi di Howard Phillips Lovecraft, più una mummia egizia. I temi tipici della sua riflessione, masticata e digerita da generazioni e rigenerazioni di studiosi e iniziati, da libri, periodici e fanzine, sono evocati un po’ tutti nei 18 racconti: le arti figurative, le meditazioni dalle vette montane, l’orientalismo (compreso l’orientalismo occidentalizzato), il simbolismo, l’immancabile antiamericanismo, la mistica monarchica, il tramonto dell’Occidente e l’incognita oltre la morte.
Mozzafiato la chiusa, affidata all’estro di Rossi che immagina Evola all’Inferno dialogante con René Guénon (1886-1951), l’esoterista islamico suo maestro, in un calco del Dialogue aux enfers entre Machiavel & Montesquieu di Maurice Joly (1829-1878), pubblicato a Bruxelles nel 1864 e modello per la creazione a tavolino della “bibbia” dell’antisemitismo, I Protocolli dei Savi di Sion. I due si domandano cosa ancora voglia da loro, anche lì, Lui, l’Angelo della Guerra, ora che il Kali-Yuga ha giustiziato anche l’ultima speranza, Vladimir Putin. Berranno dalle acque del fiume Lete e sarà solo oblio. Dimenticare è l’unica via per tornare, appuntamento chissà dove, chissà quando.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in Libero [Libero quotidiano], anno LIII, n. 136, Milano 19-05-2018, p. 24
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