Non avrai altro dio al di fuori di Xi Jinping. È questa la politica del leader neo-post-comunista cinese, che alle famiglie della regione autonoma nord-occidentale dello Xinjiang impone di pregare un suo ritratto al posto di Gesù, la Madonna, i santi, Allah o Budda, tutti impostori che drogano la mente e fomentano la sedizione. Figurarsi che c’è persino chi identifica il drago rosso del libro dell’Apocalisse con il Partito Comunista Cinese, cioè la Chiesa di Dio Onnipotente, il più vasto nuovo movimento religioso cinese di origine cristiana (Pechino ne calcola i fedeli in 4 milioni), che proprio per questo è represso con particolare violenza e ingiuriato mediante fake news ad alzo zero benché in realtà sia un movimento del tutto pacifico.
L’“autodivinizzazione” di Xi Jinping è del resto il vero volto della Cina oggi. Da quando, l’11 marzo, l’Assemblea del Popolo ha abolito (2.958 voti favorevoli, due contrari e tre astensioni) il limite del doppio mandato presidenziale, il “caro leader” non ha più argini. È l’uomo-partito-Stato a vita e pure oltre, visto che da gennaio “Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era” integra, fra il materialista e l’apocalittico, la Costituzione del Paese al fianco dei pensieri di Karl Marx, di Mao Zedong (l’unico ad avere già fatto quel che Xi sta rifacendo) e di Deng Xiaoping (che però è stato “glorificato” solo da morto).
Le testimonianze dallo Xinjiang, raccolte dalla testata specializzata Bitter Winter, pubblicata in sette lingue, riferiscono dettagli significativi. Xi teme la concorrenza di Dio, e per questo soppesa con cura le mosse. Tra il 20 e il 24 agosto si è per esempio celebrata la festa islamica di Eid al Adha, che ricorda la richiesta fatta da Dio ad Abramo di sacrificargli il figlio salvo poi fermarlo all’ultimo (per molti musulmani quel figlio sarebbe Ismaele, nato dalla schiava Agar e progenitore degli arabi, mentre la Scrittura giudeo-cristiana lo identifica con Isacco). Per i musulmani, che nello Xinjiang abbondano e che il regime perseguita aspramente, l’Eid al Adha è il sigillo dell’ubbidienza totale (islām) dell’uomo a Dio, il centro stesso della fede. Proprio per questo Xi Jinping ha ordinato ai musulmani di essere pregato in quella data al posto di Allah. Perché esige ubbidienza totale divina. Siccome i musulmani (uiguri, kazaki o di etnia hui) resistono, per loro si spalancano le porte dei campi di “rieducazione”, un milione su un milione e mezzo di internati complessivi. Pechino dice di averli smantellati tempo fa. In realtà nel 2013 ha smantellato i campi di “rieducazione attraverso il lavoro”, ma solo per sostituirli con campi di concentramento nuovi e peggiori dediti alla “deprogrammazione” psico-fisica. E dato però che l’opinione pubblica mondiale glieli rinfaccia, e che di per sé la legge non li prevedeva, Xi Jinping ha pensato bene di legalizzarli retrospettivamente con un decreto emanato il 10 ottobre. Ne ha parlato anche The Guardian giovedì scorso, dando voce a James Leibold, studioso delle politiche etniche cinesi nell’Università La Trobe di Melbourne, in Australia.
La nuova lotta di Xi Jinping a tutte religioni fuorché il culto di se stesso è peraltro certificata dalla Normativa sugli affari religiosi, entrata in vigore il 1° febbraio. Una dichiarazione di guerra, cioè, contro ogni fede e gruppo religioso, compresi paradossalmente quelli “ufficiali” filogovernativi: il Movimento patriottico protestante cinese delle Tre Autonomie, l’Associazione patriottica cattolica cinese, l’Associazione buddista cinese, l’Associazione islamica cinese e l’Associazione taoista. E chi non si piega finisce nell’elenco degli xie jiao, una vecchia dizione dell’epoca Ming riesumata ad hoc in salsa rossa per creare quelle liste di proscrizione che sono semplicemente il lasciapassare verso la tortura e spesso la morte per chi non rivolge preci quotidiane al despota. Senza distinzioni. Si chiama egualitarismo ed è un vanto del comunismo.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il titolo
Islamici cinesi costretti a pregare il dio Partito
in Libero [Libero quotidiano], anno LIII, n. 286, Milano 17-19-2018, p. 11
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