Era nell’aria, ovvio che ci saremmo arrivati. Mohamed Khemiri, 41enne che viene dalla Tunisia ma risiede in provincia di Caserta, ha giurato fedeltà (sgrammaticata) allo Stato islamico (su Facebook), ha invitato a uccidere Barack Obama, ha applaudito agli attentatori di Tel Aviv, si è dilettato di dietrologie complottiste sull’eccidio di Charlie Hebdo, ma in carcere ci è finito perché spacciava documenti falsi mica per terrorismo (come invece avrebbe voluto la procura di Napoli). Il giudice Alessandra Ferrigno sostiene infatti che si tratti sì di una pericolosissima condivisione ideologica, ma che per configurare un reato ci voglia ben altro. Balle da democratici coi piedi di argilla.
La libertà di opinione è sacrosanta e solo i dispotismi la conculcano. Uno può sostenere le idee che vuole (persino che il comunismo sia bello o che le camere a gas naziste non siano mai esistite) e nessuna legge può essere votata per costringerlo a stare zitto, ma il limite invalicabile è duplice. Il primo è la decenza, e quella la insegna la mamma sin da piccoli. Il secondo è la notitia criminis, è quella la fermano le forze dell’ordine. Un bel film di fantascienza, tratto da uno scritto di quel geniaccio sbalestrato che era Philip K. Dick, Minority Report, ipotizza un mondo in cui la solita macchina so-tutto riesce a individuare i delinquenti un secondo prima che commettano un omicidio così che la polizia possa arrestarli prima della flagranza. Ovviamente finisce tuto in vacca, com’è giusto che finiscano gli abusi di questo tipo. Ma la vicenda del tunisino Khemiri è diversa. Nessuno torce un capello né a lui né ai suoi intoccabili diritti umani processandone le intenzioni: ma è lui che promette obbedienza sino alla morte a un’organizzazione terroristica di fanatici criminale sanguinari, responsabili di un vero e proprio genocidio (quello dei cristiani mediorientali) e di mille altri scempi contro l’umanità. È lui che invita chi può a uccidere il capo dello Stato più potente del mondo. È sempre lui che batte la mani a gente che le mani ce le ha grondanti di sangue. Fatti, non opinioni. La libertà delle prime, quelle che siano, non comprende i secondi, quelli che siano. Cosa ci vuole di più per convincere un giudice che si tratta di terrorismo islamista, o comunque di appoggio, fiancheggiamento, sostengo al terrorismo islamista? Quando, secondo un giudice, scatta la differenza tra il sostegno ideologico al terrorismo (che per il giudice non è reato) e la complicità (che per il giudice reato lo è)? Ha bisogno, il signore giudice, anzi signora, della canna fumante in mano a Khemiri, ovvero di un cadavere innocente ancora caldo, per chiamare il 113? E dunque, quanti altri innocenti dovranno ancora morire prima che i giudici e i Paesi democratici dal ventre molle si sveglino e prendano i terroristi islamisti per il bavero prima, e non dopo, che questi ammazzino gratuitamente la gente per le strade di casa nostra?
Era nell’aria, ovvio che ci saremmo arrivati: non tutti i terroristi sono uguali, non tutti gl’intenti criminali sono gli stessi. Ma questo solo perché siamo degl’impotenti che per paura di chiamare le cose con il proprio nome inventiamo iperboli assurde e parabole inutili. Buonisti che non offendere la sensibilità di qualche malvivente, sputano tranquillamente sui morti di oggi, di ieri e pure quelli di domani che i vari Khemiri prima o poi mieteranno solo perché un giudice, o una giudicessa, si è messo a discettare di lana caprina a proposito di un tizio che in un mondo normale starebbe già spaccando pietre alla Caienna invece che difendere la giustizia per i cittadini-elettori-contribuenti che hanno diritto alla normalità quotidiana.
La differenza tra i proclami d’intenti di Khemiri, che va fermato prima che sia tardi, e la libertà di espressione, che va garantita persino a chi farnetica fino a delinquenza contraria, la fa, do you remember?, il nefando caso Calabresi, cadavere annunciato sulle pagine di giornale tra le spallucce generalizzate dell’universo mondo.
Marco Respinti
Versione completa e originale dell’articolo pubblicato con il titolo
Spiegate ai giudici che inneggiare alla jihad è reato
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 09-08-2016
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