Russell Kirk (1918-1994) è il padre della rinascita del conservatorismo statunitense a metà del secolo XX. Pochi hanno fatto tanto come lui per liberare il concetto stesso di “conservatorismo” dalle incrostazioni e dalle sedimentazioni che, quando egli rimise in circolo il concetto, purgato, avevano ingiallito il significato, affievolito l’appeal e talora pervertito il senso di un pensiero nato nobilmente sotto il segno di Edmund Burke (1729-1797) e della sua prima, magistrale, critica al pensiero illuminista e rivoluzionario che con la Rivoluzione Francese spaccava la storia dell’Occidente e la geografia della Magna Europa in due metà irriconciliabili.
Per Kirk, il conservatorismo è infatti essenzialmente il contrario stesso della mentalità ideologica, del potere ideocratico e della “società di pensiero”. E soprattutto è una forma mentis, un atteggiamento dello spirito, un’antropologia culturale.
Un primo assaggio di quel che il conservatorismo è per Kirk lo offre Frank J. Shakespeare Jr., newyorkese, cattolico, nato nel 1925, esperto di comunicazione e media, ma soprattutto ambasciatore degli Stati Uniti presso la santa Sede dal 1986 al 1989, il secondo ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede da che il presidente Ronald Reagan (1911-2004) aprì formalmente per la prima volta, nel 2004, la rappresentanza ufficiale di Washington oltre il Tevere. Shakespeare, infatti, ha firmato l’Epilogo alla seconda edizione di una delle opere fondamentali di Kirk, Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo (trad. it. a mia cura, Mondadori, Milano 1996 ‒ uscita in prima edizione nel 1974 con il titolo The Roots of American Order ‒ offrendo un inquadramento del conservatorismo kirkiano ancora utile per inquadrare alcuni scenari d’Oltreoceano sfuggendo alla maledizione del “mordi e fuggi” che, sull’altare della news e dell’aggiornamento a ogni costo”, smarrisce per strada chiavi di volta invece imprescindibili.
«I rivoluzionari sono ancora fra di noi, anche se le loro strategie sono oggi più sottili», scrive Shakespeare. Infatti, prosegue il diplomatico,
nonostante la spaventosa carneficina provocata dall’ideologia marxista-leninista e dallo statalismo sfrenato che essa scatenò, gli intellettuali di sinistra delle nostre università hanno continuato la loro marcia gramsciana attraverso le istituzioni culturali. La minaccia ideologica più recente è il multiculturalismo, un attacco mal dissimulato al pensiero e alle idee occidentali. La nuova ideologia, del tutto estranea alla nostra storia comune, ha messo profonde radici non solo negli ambiti accademici, ma anche nei mezzi di comunicazione e nella cultura popolare. […]
Su molti punti Russell Kirk dissente dalla concezione convenzionale della storia intellettuale dell’America. Scostandosi dall’opinione prevalente, è meno disposto, per esempio, a far credito a Locke e a Hobbes delle basi su cui si fonda questo edificio intellettuale, mentre rivaluta i contributi ebraici e cristiani. Giudica la guerra d’Indipendenza americana come l’affermarsi di un ordine già esistente, e non come il rovesciamento di un ordine costituito, frutto di una spinta rivoluzionaria. Diversamente da molti intellettuali, le sue simpatie non vanno all’egualitarismo e alla democrazia maggioritaria, ma alla democrazia limitata; ed egli mostra come la lenta maturazione del gentiluomo americano abbia condotto all’insistenza sui limiti da porre al governo democratico per evitare che si trasformi in governo della “plebaglia”.
Che dire dell’epoca attuale? Il nostro ordine, dalle origini tanto antiche, corre il pericolo di incrinarsi? Kirk ci ricorda che «la storia della maggior parte delle società è una registrazione di sforzi dolorosi, di brevi successi (quando ci sono) e poi di decadenza e di rovina». Non abbiamo alcuna garanzia del fatto che l’America sia stata designata dalla Provvidenza per tenere alta la tradizione attraverso i secoli. Per conservare la nostra condizione non abbiamo bisogno di un’altra rivoluzione, ma di un rinvigorimento della tradizione. Dobbiamo astenerci dal gettarci freneticamente nelle nuove mode intellettuali e politiche ed evitare l’ideologia ‒ che per Kirk corrisponde all’essere servi di dogmi politici e di idee astratte, non fondati sull’esperienza storica ‒ per abbracciare la filosofia e la storia intellettuale. Dobbiamo respingere l’utopismo millenaristico, quella forza insidiosa che da tempo immemorabile tenta l’uomo spingendolo a scambiare ciò che è giusto e buono con un futuro incerto e sradicato. Faremmo meglio insomma a prenderci un po’ di tempo (sempre che ci riesca di trovarlo, fra elezioni e mezzi di comunicazione che alimentano la frenesia generale) per lasciarci ammaestrare dalla saggezza delle epoche storiche (1).
Marco Respinti
Versione originale annotata ell’articolo pubblicato
con il medesimo titolo sul sito Comunità Ambrosiana di Alleanza Cattolica in Milano,
nella rubrica USA.. e non getta.
NOTE
(1) RUSSELL KIRK [Russell Amos Kirk, 1918-1994], Le radici dell’ordine americano. La tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo [trad. it. di The Roots of American Order, 1. ed, 1974], a cura di marco Respinti, Mondadori, Milano 1996.
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