I Repubblicani in cerca della nomination presidenziale stanno scommettendo grosso sul 15 marzo, quando il voto del North Carolina assegnerà 72 delegati con legge proporzionale, ma Florida, Illinois, Missouri, Isole Marianne Settentrionali e Ohio ne allocherà in un solo colpo 295 con il criterio “chi vince prende tutto”.
Nel frattempo però l’esercito anti Donald Trump ha fatto passi in avanti, infliggendo al miliardario newyorkese qualche smacco. Sabato 12 Ted Cruz si è aggiudicato 9 delegati in Wyoming e, con più del 66% dei consensi, ha superato abbondantemente la metà dei consensi, proprio come aveva fatto Marco Rubio a Porto Rico il 6 marzo conquistando più del 71%, ma come invece Trump non è mai riuscito a fare (il risultato migliore del tycoon resta il 49% nel Massachusetts il 1° marzo). In più in Wyoming Trump è arrivato solo terzo con uno scarsissimo 7% (e un solo delegato), parecchio distante dal secondo classificato, Rubio, che ha ottenuto il 20% (e però anch’egli un solo delegato).
Un altro terzo posto Trump lo ha subito poi nel Distretto di Columbia, il fazzoletto di terra dove sorge la capitale federale Washington, sconfitto da Rubio con più del 37% dei voti (10 delegati), nonché da John Kasich con il 35,5% (9 delegati). Trump ha ottenuto il 14% e peggio ha fatto solo Cruz con il 12% (nessun delegato a entrambi). Ancora al terzo posto Trump (6,4%) è arrivato giovedì 10 nelle Isole vergini americane, battuto da Cruz (quasi 12%), da Rubio (quasi 10%) e persino da Ben Carson (6,6%) nel frattempo ritiratosi dalla corsa. Sempre il 12 Cruz ha vinto un altro delegato nell’isola di Guam, nel Pacifico.
Ma quello che catalizza l’attenzione dei media adesso è il moltiplicarsi dei tafferugli ai comizi di Trump, una cosa che negli Stati Uniti non si vedeva sin dai turbolenti Sixties della contestazione. Sabato è stata una giornata di fuoco. Un suo comizio previsto a Chicago è stato annullato per precauzione viste le minacce della vigilia. Poi a Kansas City, in Missouri, la polizia è entrata in azione fermando con lo spray al peperoncino l’assalto di un gruppo di facinorosi. Quindi all’aeroporto internazionale di Vandalia, in Ohio, un sobborgo di Dayton, un tale, Thomas Dimassimo, si è avventato sul palco bloccato in tempo dagli agenti del servizio segreto. E anche a Cleveland, sempre in Ohio, si sono verificati altri disordini. A ogni evento legato al magnate, insomma, la tensione resta palpabile. Come a Bloomington, cittadina universitaria dell’Illinois, dove Trump ha parlato domenica in un piccolo aeroporto, il Synergy Flight Center, in un clima di allerta generale.
Del resto Trump sembra fatto apposta per attirare i guai, guai che se non se li cerca direttamente lui sono loro che gli vanno immancabilmente incontro. La questione dell’endorsement pronunciato nei suoi confronti dall’ex deputato della Louisiana David Duke, già membro del Klu Klux Klan, un sostegno prima da Trump rifiutato poi forse mezzo accettato a denti stretti, non si è ancora sopita che un altro fulmine dello stesso tenore si è abbattuto sul “re del mattone”. Ben Carson, il neurochirurgo pediatrico in pensione, che della lotta all’aborto aveva fatto il leit motiv della sua campagna elettorale, si è appena ritirato dalle primarie decidendo di sostenere Trump. Ma a sostenere la candidatura di Carson era stato, tra gli altri, nientemeno che il “Mago Imperiale Nazionale” del KKK (che vuole restare anonimo), che nel nero Carson ha visto un americano tutto di un pezzo degno di essere sostenuto.
Marco Respinti
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