Un evento fuori dal comune, la sconfitta totale di Barack Obama. Il Congresso federale (com’è nei suoi poteri costituzionali) ha ricusato ieri il veto (com’è nei poteri costituzionali del presidente) che la Casa Bianca ha posto sulla legge denominata Justice Against Sponsors of Terrorism Act (JASTA), la quale, contemplando un’eccezione in caso di terrorismo al principio dell’immunità sovrana, permetterà agli Stati Uniti di processare un altro Paese nei propri tribunali. Ovvero l’Arabia Saudita per l’Undici Settembre.
La bocciatura di Obama è totale e bipartisan. Per ribaltare il veto presidenziale a una legge approvata dal Congresso occorrono i due terzi dei voti parlamentari in entrambe le aule, e già questo è parecchio complesso. Ma in più il voto di ieri ha espresso un consenso granitico: la Camera ha infatti approvato la ricusazione del veto con 338 voti a favore e 74 contrari, mentre il Senato (che si è espresso prima) con 97 voti a favore e un solo contrario. Anche un numero enorme di parlamentari del Partito Democratico ha cioè voltato le spalle al presidente in carica. In otto anni di presidenza, a Obama non era mai accaduto che il Congresso trovasse i numeri per fermarlo così. Adesso che l’Amministrazione Obama è agli sgoccioli, ora che si vota su una misura di tanto evidente buon senso e giustizia, il presidente uscente ci perde la faccia, l’autorevolezza, il carisma, il legato.
Sul terrorismo, cioè, la pratica Obama è già bell’e che archiviata. Gli Stati Uniti hanno voltato pagina e fanno da sé. Praticamente nessuno se la sente insomma di seguire Obama in quest’avventura surreale e folle che nega giustizia ai cittadini americani semplicemente per non disturbare il ricco, potente e influente manovratore saudita.
Certo, complicità ufficiali del governo saudita con gli attentati delle Torri gemelle e del Pentagono, e del campo fuori Shanksville, Pennsylvania, non ne sono state dimostrate. Epperò è un fatto che 15 dei 19 attentatori ufficialmente identificati come gli autori di quelle stragi fossero cittadini sauditi. Ma soprattutto ci sono quelle famose “28 pagine” che imbarazzano. Sono parte di un documento ben più ampio, 800 pagine, che è frutto del lavoro dell’inchiesta denominata “Joint Inquiry into Intelligence Community Activities Before and After the Terrorist Attacks of September 11” istituita congiuntamente dalla Commissione scelta sui servizi di sicurezza del Senato e dalla Commissione scelta permanente sui servizi di sicurezza della Camera dei deputati nel 2002 (iniziò i lavori in febbraio e li rese noti in dicembre). A lungo secretate (sono l’unica parte del citato monumentale rapporto sottoposto a censura), quelle “28 pagine” sono pubbliche dal 15 luglio: documentano l’assistenza e l’appoggio economico dato agli attentatori da effettivi legati al governo saudita; tra essi, ufficiali dei servizi, personale diplomatico e membri della famiglia reale.
Perché Obama, che pure ha acconsentito a rendere pubblico il dossier, si è opposto così tenacemente al JASTA? Non lo sappiamo, Obama non ha telefonato a l’intraprendente per confidarcelo. Ma a un di presso è probabilissimo che tra l’altro c’entrino anche i 117 miliardi di dollari (ufficiali) di debito pubblico statunitense che Riad possiede e il fatto che, dopo la cessazione, nel 1973, della convertibilità del dollaro statunitense in oro, la moneta statunitense sia stata agganciata al petrolio. Non che il Congresso non ne sia cosciente, ma evidentemente ha deciso di cambiare completamente strategia. L’era Obama è già insomma alle spalle e gli Stati Uniti stanno tornando a chiamare amici gli amici, nemici i nemici.
Marco Respinti
Versione completa e originale dell’articolo pubblicato con il titolo
Obama è finito, l’America no
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord, Milano 29-09-2016
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