Non si vedono mai veglie contro la pena di morte in Cina, Iran, Pakistan o Arabia Saudita ma solo appelli contro le sentenze capitali comminate negli Stati Uniti; non si vedono mai bandiere della pace penzolare dai balconi quando la Russia azzanna i suoi vicini o il cielo d’Israele si oscura di razzi jihadisti, perché le guerre cattive sono solo quelle americane; e non abbiamo visto gli europei in piazza per solidarietà e indignazione dopo la strage di Orlando.
Davanti al Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano si sono radunati l’altro ieri sera dei peones: tanto di cappello, ma poca cosa rispetto alle folle oceaniche richiamate dalle stragi terroristiche in Europa. E la fiaccolata di lunedì sera a Roma è stata una manifestazione “di settore”: perché quelli onorati da Gay Street sono stati gli LGBT, non i cittadini americani abbattuti in Florida. Come se davanti a ogni atto terroristico si dovessero suddividere le vittime in parrocchie di, che so, vegani, podisti o collezionisti di francobolli. Le vittime del Pulse sono infatti americani, anzitutto americani, colpiti perché americani. Nell’ottica perversa dell’attentatore erano americani degenerati, ma proprio in quell’ottica perversa “americani” e “degenerati” è un’endiadi, gay o no che siano.
Tra le vittime dell’Undici Settembre ci può essere stato anche qualche omosessuale. Lo stesso tra le vittime del Bataclan. I terroristi hanno ammazzato tutti senza domandarne gli orientamenti sessuali. Erano cani infedeli e basta. Per questo il titolo de l’Unità di ieri è ipocrita e infingardo: «Siamo tutti gay». Io no. Ho detestato le vignette di Charlie Hebdo e detesto l’omosessualità, ma piango gli occidentali ammazzati a Parigi e a Orlando. Il giornale fondato da Antonio Gramsci invece ghettizza i morti ammazzati del Pulse facendone una mera funzione sessuale dei loro attributi, come fanno gli zootecnici con le bestie d’allevamento, per evitate di dire la parolaccia: americani.
È il vizietto dell’Europa gauche-caviar: discriminare tra vittime e vittime. I lutti americani lo sono sempre un po’ meno perché gli americani sono brutti, sporchi e cattivi, e anche quando sono “de sinistra” non sono all’altezza.
Dopo l’Undici Settembre, quando gli Stati Uniti di capitan Bush Jr. si gettarono sull’Afghanistan dei talebani in una guerra sacrosanta su cui nessun americano, nemmeno il più isolazionista, ebbe nulla da ridire, una guerra benedetta che decapitò il vertice di al Qaeda tanto che altri Undici Settembre non ve ne sono stati, l’Europa antioccidentale delle anime belle fece “no” col ditino. Il cancelliere socialdemocratico tedesco Gerhard Schröder e soprattutto il premier gollista francese Jacques Chirac guidarono il fronte del dissenso per uno e un solo motivo: l’astio antiamericano, infondato e idiota. Testimoni che si trovavano negli Stati Uniti in quei giorni ci ricordano che per le strade del “Paese dei liberi” c’era gente che per nobile disprezzo rovesciava a terra coppe di costoso e profumato champagne, alla malora. Sì Chirac, Chirac lui-même: l’antiamericano d’ispirazione “tradizionalista” grosso modo guénoniana fiero di dire: «Ho un principio semplice in politica estera. Guardo quello che fanno gli americani e faccio il contrario. È allora che sono sicuro di avere ragione». O, come glossa un suo collaboratore, «l’anti-americanismo inteso come rifiuto dell’Occidente […] fa parte del nocciolo duro delle […] convinzioni» di un uomo che (come gli stesso riferisce) tenne ad avere la prima esperienza sessuale in modo “non occidentale” ovvero in un bordello della casbah di Algeri (sta tutto in Chirac d’Arabie. Les mirage d’une politique française, libro di Christophe Boltanski ed Eric Aeschimann, ed edito a Parigi da Grasset nel 2006)
I morti di Orlando insomma non sono americani, e per gli ennesimi morti americani non scende in piazza nessuno. Nessuno si ricorda nemmeno di manifestazioni europee per la strage californiana di San Bernardino del 2 dicembre 2015 allorché una coppia etero, pakistano lui e discendente di pakistani lei, freddò in nome dell’ISIS 14 persone e ne ferì altre 24 in un centro sociale per disabili. Nessuno ha scritto: “Siamo tutti disabili”, ma quel giorno gli americani si sono sentito più americani, una cosa che l’Europa vecchia (che è il contrario della vecchia Europa) non riuscirà mai a capire.
Il giorno dopo l’ecatombe delle Twin Towers il sindaco Rudolph Giuliani fu l’anima di una città e di un Paese intero, là ritto tra le macerie come un condottiero. Non c’era Dem o GOP, non c’era Destra o Sinistra, non c’era etero od omo, non c’erano bianco, nero, mulatto o giallo, ma solo morti americani e americani vivi. Per un attimo soltanto sì, ma fu un attimo eterno. E a nessun venne in mente di chiedere conto a Rudy il sindaco di quel suo debole per i vestiti da sciantosa con cui ama fare la Drag Queen su palchi e palcoscenici.
Marco Respinti
Versione completa e originale dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 15-06-2016
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