Le primarie per la selezione dei candidati presidenziali del Partito Repubblicano e del Partito Democratico che l’8 novembre si sfideranno per la Casa Bianca sono decisamente anomale, ma lo sono soprattutto come effetto di un trend politico internazionale.
La novità più vistosa sono non solo la presenza di due outsider come il “re del mattone” Donald Trump tra i Repubblicani e il socialista Bernie Sanders tra i Democratici, ma i loro risultati elettorali. È infatti la prima volta che personaggi tanto inconsueti ottengono risultati tanto lusinghieri. Trump conta su un terzo costante (e a volte qualcosa di più) dei voti Repubblicani, mentre Sanders su poco meno della metà (seppur non espressa ovunque in modo omogeneo) dei suffragi Democratici.
Eppure, in teoria, alla vigilia dell’avvio delle primarie, né Trump né Sanders avevano da offrire garanzie di successo. Trump è totalmente esterno al circuito politico. Non ha curriculum parlamentare da esibire. Non ha mai dovuto rendere conto delle proprie scelte all’elettorato. E sin troppo ondivaghe sono state le sue prese di posizione e le sue frequentazioni politiche, oltre a certi crack finanziari che, ovvio, non giovano a chi sta puntando tutto sulla carta dell’imprenditore calato nella politica per salvarla in zona Cesarini. Quanto a Sanders, nessuno che negli Stati Uniti si sia dichiarato orgogliosamente socialista e nemico giurato di Wall Street ha mai fatto molta strada. L’onda che spinge oggi Trump e Sanders viene infatti da un mare molto più lontano, lo stesso che si sta agitando in tutti i Paesi europei. È la corrente dell’insoddisfazione verso la politica classica, della protesta contro i ceti dirigenti e i partiti di governo e opposizione, del trasversalismo populista che travolge le logiche di Centro, Destra e Sinistra più con la forza della contestazione che con la convinzione della soluzione.
Diversi quanto evidentemente sono, Trump e Sanders hanno infatti parecchio in comune. Il loro marchio è l’“anti-sistema” qualunque cosa il “sistema” sia, soprattutto perché per gli “anti-sistema” il “sistema” da combattere e da abbattere sono sempre e comunque “gli altri”. Volutamente generici al limite spesso del linguaggio “complottista”, opportunamente camaleontici quel che basta a stare sulla cresta, abili con le formule “pigliatutto” da televisione e comizio ma anzitutto quando serve indicare “il nemico” alla piazza (“la finanza”, “gl’immigrati”…), Trump e Sanders fanno man bassa di consensi tra quegli americani che, afflitti da problemi più che reali (lavoro, sicurezza, sanità, previdenza), non cercano soluzioni concrete (ché per quelle servono i tempi fisiologicamente più lunghi della negoziazione) ma consolazioni immediate: le conferme delle proprie paure da parte di un’“anti-politica” che in realtà è più che politica. Trump e Sanders non hanno ancora detto davvero cosa vogliano, ma ai loro elettorati basta che si lamentino come loro e più autorevolmente di loro, perché se lo dicono anche i politici (eccolo il cortocircuito più che politico della soi-disant “anti-politica”) allora è vero. E per essere eletti spesso basta solo capire qual è la lamentela giusta al momento giusto.
Accanto a Trump e a Sanders ci sono gli altri candidati: Marco Rubio, Ted Cruz, John Kasich, Ben Carson per i Repubblicani e i Hillary Clinton per i Democratici. Sono la politica tradizionale: la Destra e la Sinistra che si battono al Centro per prevalere con soluzioni l’una alternativa all’altra e governare in base a una visione del mondo da cui non sono esclusi (soprattutto negli Stati Uniti) i temi morali.
Rubio, Cruz, Kasich e Carson incarnano anime diverse di quell’orientamento conservatore che nell’ultimo quindicennio (non era così) ha “scalato” ed “espropriato” il Partito Repubblicano, ultimamente sull’onda del movimento (di protesta anch’esso, ma non “anti-politico”) dei “Tea Party”. È la filosofia del governo limitato, del libero mercato, della forte difesa nazionale, dei valori tradizionali. Hillary Clinton incarna invece la Sinistra liberal dell’interventismo statale, dell’assistenzialismo e del relativismo su aborto, “matrimonio” LGBT, fecondazione artificiale e così via.
La Clinton non potrà che prevalere su Sanders perché, in una corsa a due, il peso della macchina di partito (che si è già preventivamente schierato con lei contro lo sfidante “venuto dal nulla”) la favorirà, anche se con qualche costo (lo spostamento a sinistra della sua linea sotto il “ricatto” di Sanders).
Tra i Repubblicani finirà invece per vincere l’“anti-politica” di Trump se la politica dei suoi sfidanti non troverà una sintesi (i numeri ci sono) capace di metterlo al tappeto senza però frustrare le esigenze (comunque reali) dei suoi elettori. Solo così il conservatorismo dei Repubblicani potrà dimostrare che il populismo dei Trump non è una soluzione. In casa Repubblicana la partita resta comunque apertissima, e il traguardo è molto più della pur fondamentale poltrona della Casa Bianca.
Marco Respinti
DOVE PUNTA IL VOTO CATTOLICO
I cattolici americani sono una componente elettorale e una “massa critica” che ormai nessun partito può permettersi di snobare; nemmeno i Repubblicani, che, salvo alcuni momenti storici specifici, non sono mai stati votati in massa dai cattolici. E i cattolici americani sono in subbuglio perché anche i cattolici americani vivono in America, Paese agitato dalle medesime onde che stanno squassando gli schemi tradizionali di voto sia dei Repubblicani sai dei Democratici. Tira infatti un’aria da “autoconvocazione” che sta facendo saltare le catene di comando ma soprattutto i nervi agli apparati dei partiti e ai commentatori. Divisi su tutto, i cattolici di sinistra spesso preferiscono Bernie Sanders, a destra si stanno spaccando sullo scoglio Trump.
Austin Ruse ha fondato a New York, nel 1997, il Catholic Family and Human Rights Institute, una ong che contrasta la cultura abortista nel mondo monitorando quanto avviene nel palazzo delle Nazioni Unite. È un osservatore autorevole perché, oltre a essere un opinionista influente, ha, per l’attività che svolge, il polso sia delle élite sia della “base”.
«Trump può essere un veicolo imperfetto», dice Ruse a Il nostro tempo che lo ha intervistato, «ma negli Stati Uniti ha oggi un pubblico vastissimo formato da tutti coloro che a vario titolo sono profondamente insoddisfatti del Paese che siamo diventati». E i cattolici lo voteranno? «Difficilissimo dirlo. Ma personalmente trovo il suo pubblico molto più interessante di Trump stesso, e a quel pubblico qualcuno deve cominciare a rispondere. Per il Partito Repubblicano è più pericolosa la mancato risposta a quell’elettorato della nomination presidenziale a Trump». Ma se alla fine il candidato presidenziale Repubblicano fosse davvero Trump lei, Austin Ruse, lo voterebbe in novembre? «Sì, perché è meno probabile che, rispetto a una Hillary Clinton presidente, Trump ponga il veto sulle leggi anti-abortiste che varerà un eventuale Congresso a maggioranza antiabortista». In novembre, infatti, si voterà anche per rinnovare il Congresso. M.R.
Versioni complete e originali degli articoli pubblicati con i medesimi titoli
in il nostro tempo, anno 71, n. 9, Torino 06-03-2016, pp. 1 e 6
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