Sogno un mondo in cui i buoni abbiano le stesse palle di cattivi come Marco Pannella. Pannella, infatti, combatte da anni battaglie di pura avanguardia con un’acribia e una determinazione invidiabili; e, grazie alla sua chiesetta di spetsnaz in servizio permanente, riesce sempre, se non oggi certamente domani, a posizionare il boccino, a decidere l’argomento, a far credere a tutti di avere disperatamente bisogno di quel che decide lui, a vendere Radio Radicale come un servizio pubblico anche ai suoi avversari più lucidi, a intascare fantastilioni di contributi, a pilotare le maggioranze parlamentari essendo cronicamente minoranza (o addirittura stando fuori dall’emiciclo), a incantare i serpenti della democrazia come solo il migliore dei fachiri sa fare e soprattutto a imporre all’universo mondo i vizi ideologici della sua combriccola di pasdaran. Divorzio, aborto, eutanasia, distruzione degli embrioni umani, sesso libero, “gay è bello” e droga legale sono infatti tutti figli suoi, che siano già legge della repubblica o ancora solo proposta, o costume, pensiero, moda, foia e conato.
Prendiamo ora, allora, quella cosa che nel perfetto spirito nazista attuale viene chiamata “buona morte”, l’eutanasia, perché il principio nazista che questa frase sorridente come il teschio della cupa mietitrice cerca d’infilarci senza che ce ne accorgiamo là dove non batte il sole è che la morte ti fa bella se te la dai da te, oppure se ti aiuta il vicino di casa con buona pace di tutto il meretricio tipicamente pannelliano su “nonviolenza”, “pacifismo” e “gandhismo”, che io sono dio, che certa gente non merita (più) di vivere, che la sofferenza è uno sputo in un occhio. Sul tema, Radio Radicale pubblica una video-intervista a una donna affetta da sclerosi multipla uccisa (io ho il coraggio di scriverlo) il 4 settembre in una clinica Svizzera. La tecnica è da Nobel, lo dico con ammirazione sempre più profonda.
È una vita (absit inuria verbis) che la banda Radicale riesce (absit inuria verbis) a infinocchiarci. Prendono a caso un vero caso strappalacrime e con quell’uno ne colpiscono cento, rieducandoci tutti. Un marito pirla che picchia la moglie per sdoganare il divorzio. La diossina di Seveso per l’aborto. Un femminiello preso a fischi dai compagnucci per il Gay Pride. La zia Genoveffa che non può avere figli ma che così tanto li vuole avere per l’eterologa e i suoi devasti. Per la canna e l’ago ipodermico non trovo esempi di sotterfugi. E ora Damiana, che è andata a farsi ammazzare là dove il cioccolato è buono.
Il trucco sta nell’usare esempi veri, mica ipotetici; sofferenze vere, casi clinici e situazioni-limite per fare di ogni erba un fascio, fascisti!, e così trasformare la realtà in fantasia pura. Per normare un solo caso s’invoca una legge. Per regolarne qualcuno si conculca una maggioranza. È il più perfetto dei sofismi, il paralogismo più rotondo. Il maestro (loro) Voltaire si vantava di amare l’umanità detestando quel puzzone dell’uomo concreto che gli sedeva accanto; loro invece il singolo lo strumentalizzano per affossare l’umanità intera.

Marco Pannella
Ho detto legge. Io che sono contro l’eutanasia per ragioni metafisiche e fisiche, religiose e laiche (se mi provocate dico persino laiciste), economiche e sindacali (sindacali no, è uno scherzo) dico che sulla vita e sulla morte non si deve affatto legiferare. Mai. Rimango d’accordo con Platone quanto al fatto che ci sono (da prima ancora che l’uomo esista) un nucleo di princìpi primi indiscutibili (letteralmente), insindacabili (rieccoci) e non democratici, che l’uomo si ritrova inalienabilmente dentro di sé e per difendere i quali il genere umano si è dotato di un’arma sontuosa qual è nientemeno che la filosofia, quella politica compresa. La Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti resta infatti per il sottoscritto il miglior (per concisione, precisione e laicità religiosa) proclama platonico-tomista-cattolico dell’evo moderno, e il bello è chi l’ha scritta in fretta forse in una sola notte aveva ben altro in testa che Platone, san Tommaso d’Aquino e quella Chiesa Cattolica cui non apparteneva: life, liberty and the pursuit of happiness sono la “dotazione tecnica” (come si trattasse di una macchina di precisione o di un guerriero superaddestrato) che il Creator ha donato in modo unalienable a tutti gli uomini che proprio Egli ha created equal, la qualcosa essendo evidente a tutti e motivo dell’unica eguaglianza possibile, plausibile tra gli umani, figli del medesimo Padre. Per primo stando appunto il diritto alla vita. D’accordo dunque con Platone, affermo che non si deve né parlare, né dibattere, né votare di cose quali la sacralità laicissima della vita umana. Sono cioè per una sana e consapevole rinascita del tabù: come nelle società chiuse, come nelle culture arcaiche (non primitive, caspita!) di cui ci spiega Mircea Eliade, come nelle civiltà in cui la libertà è fare finalmente ciò che sul serio migliora l’uomo, e non il falso positivo di una schiavitù surrettizia appena superficialmente mascherata, e dove il vantaggio dell’individuo si esalta al massimo nel vincolo educativo che egli ha con il proprio clan. Niente legge, insomma, siamo filo-inglesi (di una volta).
Purtroppo però viviamo un tempo in cui anche gli anarchici sono giacobini e in cui tutti sbavano per le leggi, gli anarchici compresi. Anche se ormai dovrei esserci abituato, resto infatti sempre basito ogni volta che vedo un “libberale” invocare (come il più perfetto dei comunisti o dei nazisti) il poliziotto, il giudice e la tassa dello Stato per imporre agli altri le proprie voglie in fatto di divorzio, aborto, eutanasia, gay, eccettera. Ebbene: in questo mondo di manettari trasversali, se una legge sui miei sacrosanti tabù va a finire che bisogna farla, io dico, in piena e avvertita coscienza, che quella legge va fatta sempre e solo per difendere ciò che è giusto e buono in sé, non il contrario, anche se in quel giusto e in quel buono in sé chi li difende per via legislativa non ci crede (più) affatto. Un paradosso? Certo: perché la filosofia, diceva Platone, serve a difendere la verità intangibile che è un tabù sanissimo e perché Gilbert Keith Chesterton (faccio il tifo ché diventi santo subito) ne ha fatto uno strumento sublime di apologetica del buon senso.
Per le voci giusto e buono in sé, tornare al più presto a compulsare sempre Platone. Quanto all’evocato paradosso, si sappia che, oltre alla restaurazione del tabù, sono a favore anche di un farisaismo ben temperato. Preferisco uno che non ci crede ma fa la cosa giusta a uno che, credendo nell’errore, fa le cose sbagliate. In questo sono in compagnia di quel campione di “umanità laica” che è Gesù, il quale raccontò questa parabola: «“[…] Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Dicono: “L’ultimo”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”» (Mt 28, 21-31). Sull’eutanasia, insomma viva le puttane.

In Belgio va già a finire così
I miei figli, con il prete e i compagni del catechismo, vanno spesso a trovare un signore come Damiana. Abita vicino a casa mia. Stessa malattia, sclerosi multipla. Lo hanno visto passo dopo passo declinare davanti ai loro occhietti, peggiorare, rattrappirsi. Prima gli parlavano, adesso quel signore non parla nemmeno più. I mie ragazzi ci sono andati spesso a trovarlo. Tutte le volte che tornano a casa, mi mostrano le caramelle che quel signore gli regala. Non sa, quel signore, che, per allergie, i miei figli non possono mangiarle, e loro non glielo hanno nemmeno mai detto. Sorridono. A me invece i miei figli dicono sempre quello che quel signore dice loro, un tempo anche a parole e ora solo con sguardi o gesti. Mi raccontano della bella famiglia che lui ha, che in realtà è invece un casino; immaginatevi: spese astronomiche, a questo punto credo persino debiti, movimenti ridottissimi per tutti, svaghi niente, via vai continuo di persone per casa, medici e assistenti che si piazzano in salotto come con la tenda, sorrisi e moine quando proprio non ti va. I miei due figli, che non sono marziani e che vivono il mondo di oggi come tutti, non mi hanno mai chiesto perché quel signore non muore, anzi se non sarebbe forse davvero meglio aiutarlo a morire in fretta, a togliersi di mezzo, a levare il disturbo (agli altri). Mi parlano sempre invece di vita, di cose, della sua famiglia, di com’è bello andarlo a trovare. Quel signore ha un nome, ovvio, ma non lo faccio. I miei figli lo chiamano con quel nome; ne parlano tranquilli; raccontano di lui e della sua peste raccapricciante a tutti, compresi certi adulti che straniscono, non capiscono, pensano forse che sarebbe sul serio meglio ammazzarlo.
Io intanto tocco ferro tutti i giorni perché non sono un emo, e non penso affatto che soffrire sia bello. Penso però che chi un altro lo uccide o lo spinge a uccidersi misurando la dignità della vita su quella da ameba che conduce la massa amorfa che parla e vota sia un poco di buono. Lo pensano anche i miei ragazzi, lo pensa anche quel signore con la sclerosi multipla che loro vanno a trovare vicino a casa mia, e tutti assieme pensiamo che la vita in cui pure ci tocca di soffrire, e magri moltissimo, sia sempre sensualmente migliore dell’erotica perfezione di thanatos chi si adora nella chiesetta Radicale.
* (L’articolo è parte di un confronto con Corrado Ocone, autore di Eutanasia sì/ Ché sulla propria vita ha diritto solo il singolo)
Marco Respinti
Pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord, Milano 16-09-2014
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