Agghiacciante. Nella puntata di Matrix tramessa da Canale 5 mercoledì sera Roberto Formigoni ha faticato duro per convincere (senza riuscirvi) Nichi Vendola, Barbara d’Urso (titolata a parlare di LGBT per essersi fatta immortalare sulla copertina di Sette del Corriere della Sera mentre si “rade la barba”), Gianfranco Goretti (vicepresidente dell’Associazione Famiglie Arcobaleno) e Annamaria Bernardini de Pace (avvocatessa, esperta di diritto di famiglia) che per fare un bambino, mettila come vuoi, il minimo sindacale sono una cellula maschile e una cellula femminile; e poi che se una donna fa da carrier a un figlio che dopo non riconosce, o l’utero è in affitto oppure in comodato d’uso. Il tutto condito con la neutralità partigiana di Luca Telese, il carosello di uomini e donne che si omobaciavano sul maxischermo, mons. Krzystof Charamasa intervistato a Barcellona con il suo sorriso da paresi, le continue faccine della D’Urso in stile The Mask e le corbellerie di eterna memoria del cattocomunista-LGBT Vendola («Gesù è figliastro di Giuseppe», con replica teologicamente impeccabile di Formigoni: «Non bestemmiare!»).
Ma l’apice, o l’abisso, scegliete voi, è stato quando, dopo avere evocato l’Inquisizione, le fiamme dell’inferno, lo spirito di Allen Ginsberg e la rivolta del gay-bar Stonewall Inn di New York nel 1969, nonché sbattuto l’Amleto di William Shakespeare in faccia a Formigoni nei panni di Orazio (“Ci sono più cose in cielo e in terra, di quante ne sogni la tua filosofia”), un Vendola in gran vena ha messo mano a Margaret Thatcher. Ovvero l’ha manomessa. Per Vendola, infatti, terribili sono le di lei famose parole “la società non esiste, esistono solo individui” che (glosso io) benedirebbero di radicalismo spenceriano-benthamiano-randiano il principio dell’homo homini lupus distruttore del comunitarismo, dell’accoglienza, della solidarietà, della tolleranza, del dono, della gratuità.
Quando Vendola ha puntato il dito contro quelle parole, in studio è sceso il silenzio. Perché la maggior parte degli ospiti era d’accordo e Formigoni si è “arreso all’evidenza”. Peccato però che le parole pronunciate dalla Lady di Ferro nell’intervista a Douglas Keay pubblicata il 31 ottobre 1987 su Woman’s Own, uno dei più famosi settimanali femminili britannici, siano: «Stanno gettando i loro problemi sulla società. E, come lei sa, la società non esiste. Ci sono i singoli uomini e le singole donne, e ci sono le famiglie. E nessun governo può fare alcunché se non attraverso le persone, e le persone debbono anzitutto badare a se stesse. È nostro dovere badare a noi stessi e dopo badare al prossimo. La gente ha troppo in testa i diritti e scorda i doveri: finché non si ottempera a un dovere, non esiste un diritto».
La differenza è abissale, e lo si capisce solo se la citazione non viene smozzicata. Per la Thatcher ‒ lo spiega lei stessa commentando quella famosa intervista nella sua prima autobiografia, Gli anni di Downing Street (trad. it. Sperling & Kupfer, Milano 1993) ‒ non esiste mai “la società” in astratto, diversa e separata dagli uomini e dalle donne concreti e storici che la compongono, ma esiste invece sempre un tessuto organico fatto di persone singole, di famiglie, di prossimo e di libere associazioni. Se cavasse le citazioni dai testi veri invece che dai biscottini della fortuna, Vendola si sarebbe accorto che la Lady di Ferro pensava l’esatto contrario di quel che lui ha cercato di farle dire in tivù, ma soprattutto che ‒ udite, udite ‒ la Thatcher è la sua più grande amica. LGBT o eterosessuali chissenefrega, il tema sono le persone concrete con i loro problemi concreti e le loro soluzioni concrete, non i diritti presunti di un’astratta umanità a parte. Vendola però non ci sente: lui è di quelli che i desideri di Tizio e di Caio sono cedole da riscuotere presso lo Stato a spese dei contribuenti.
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il titolo
Vendola, giù le mani dalla Thatcher
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 15-10-2015
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