Enzo Pennetta, biologo, curatore a Roma del portale Critica Scientifica,
ripubblica il mio articolo con una pregevole introduzione
Come titola Le Scienze, due fisici italiani hanno appena compiuto Un passo avanti nella spiegazione dell’origine della vita. Franz Saija e Antonino Marco Saitta ‒ il primo ricercatore dell’Istituto per i processi chimico-fisici del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina, il secondo professore di Fisica nell’Università Pierre et Marie Curie di Parigi ‒ hanno infatti riprodotto al computer, e quindi confermato, i celebri esperimenti con cui negli anni 1950 il biochimico statunitense Stanley L. Miller (1930-2007) dimostrò in laboratorio – così sintetizza la Repubblica − «la possibilità di formare spontaneamente gli aminoacidi, le molecole base della vita, sottoponendo a intense scariche elettriche le semplici molecole inorganiche presenti nel brodo primordiale così come ipotizzato già nel 1871 da Charles Darwin». Ma Miller non è mai affatto affatto a trarre la vita dalla materia inorganica.
I suoi esperimenti hanno solo prodotto una grande quantità di composti chimici, “fideisticamente” detti contenere presunti ed enigmatici “elementi prebiotici”, i quali però per “funzionare” dovevano comunque essere estratti e purificati in modo alquanto sofisticato (più parecchi altri materiali “inutili”). Mai cioè tutti e contemporaneamente quei classici 20 aminoacidi proteici che farebbero legittimamente parlare di “vita in laboratorio”. Il tutto con una resa bassissima (il 15% al massimo), che è come dire che l’esito principale di quei procedimenti è lo scarto. Insomma un flop, se l’obiettivo chiesto a Miller è creare dal nulla la vita in provetta spingendo l’inorganico a trasformarsi in organico, ma un grande successo se lo scopo è produrre minestroni chimici destinati alla pattumiera. Del resto, se uno scienziato avesse sul serio creato la vita dal niente, non sarebbe cambiato il mondo? O quanto meno lui non ci avrebbe vinto il Nobel?
L’idea base di Miller fu ricreare le condizioni dell’atmosfera terrestre delle origini così da provocare “come allora” la scintilla della vita e assistere in diretta oggi al processo. Nessuno però ha mai saputo né ancora sa quale sia stata la composizione dell’atmosfera terrestre delle origini. Quindi Miller la inventò, decidendo che l’atmosfera della Terra di “miliardi di anni fa” fosse simile a quella attuale di Giove: in massima parte ammoniaca, metano e idrogeno. Gli esiti dei suoi esperimenti dipesero dunque dalle arbitrarie premesse da cui egli partì all’inizio, dimostrando semplicemente la coerenza interna del suo modello teorico. La più famosa di quelle premesse arbitrarie è il «brodo primordiale», la fantasiosa e gigionesca espressione con cui negli anni 1920 il biochimico russo Aleksàndr I. Oparin (1894-1980), eroe “scientifico” dell’Unione Sovietica comunista, aveva battezzato quell’insieme variegato di sostanze carboniose che, interagendo con la famosa “atmosfera terrestre delle origini” grazie a radiazioni ultraviolette e fulmini, si sarebbe diluita negli oceani per poi casualmente formare le prime biomolecole in perfetta armonia con il materialismo dialettico marxista. Ipotesi analoga fu ideata contemporaneamente ma in modo indipendente dal biologo britannico John B.S. Haldane (1892-1964), altro comunista provetto che restò leninista anche dopo le delusioni provocategli da quella catastrofica “scienza” stalinista che Oparin appoggiava. Oparin non se lo filò nessuno finché il chimico e fisico statunitense Harold C. Urey (1893-1981) formulò un’ipotesi sulla formazione del sistema solare che andava d’accordo con il «brodo primordiale». Insieme a Urey (lui sì Premio Nobel ma per la scoperta del deuterio, un isotopo dell’idrogeno), Miller riprese quindi Oparin (e Haldane), e, osserva il biologo Enzo Pennetta, «costruì un’apparecchiatura e la fece funzionare per studiarne i risultati». Ciò che dimostrano gli esperimenti di Miller e Urey è che i loro esiti sono coerenti con le premesse poste dagli stessi Miller e Urey, coerenti con l’ipotesi di Oparin (e di Haldane), coerenti… con l’ideologia marxista-leninista…
Oggi quel che si dice abbia fatto (e però non è vero) Miller porta il nome, “elegante”, di “abiogenesi”, ma è solo l’antica superstizione (un bel po’ panteista) della “generazione spontanea” della vita da ciò che vita non è, in virtù di un principio “magico” insito nelle pieghe della materia sterile. Questa superstizione, però, diffusa nel pensiero scientista moderno in ripresa degli aspetti più “misteriosofici” e decadenti del pensiero pagano, è stata da tempo rigorosamente confutata a norma di metodo scientifico galileiano dal medico toscano Francesco Redi (1626-1697), dal biologo emiliano Lazzaro Spallanzani (1729-1799) e dal biologo francese Louis Pasteur (1822-1895), tutti buoni cattolici e tutti scienziati autentici, il secondo persino padre gesuita.
Torniamo allora ai due ricercatori italiani. Ciò che la loro riproduzione al computer degli esperimenti di Miller ottiene è, dice Le Scienze, identificare «nell’intensità dei campi elettrici presenti nell’ambiente il fattore chiave che indirizza le reazioni chimiche a produrre particolari molecole complesse invece di altre». Cioè appurare che le scariche elettriche simulate dal loro computer per imitare gli esperimenti di Miller fanno quello che i fulmini simulati da Miller fanno nei suoi esperimenti. L’ennesima constatazione della coerenza interna tra gli esiti di un certo procedimento e le sue iniziali premesse arbitrarie, a loro volta coerenti con premesse arbitrarie precedenti. Giusto per non dire tautologia. Perché, commenta Pennetta, si sa che «i modelli computerizzati possono dare i risultati più disparati in base ai parametri che vengono inseriti». E così l’unico criterio di verifica ammesso dalla scienza, la realtà sperimentale, si allontana drammaticamente sempre di più,
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato
con il titolo Non muore il sogno della creazione senza Dio
in La nuova Bussola Quotidiana, Milano 14-09-2014
Oggi è il Mendel Day, il primo di quella che gli organizzatori si augurano essere una serie lunga e proficua di colloqui pubblici dedicati alla questione più spinosa della scienza contemporanea: l’evoluzionismo. Sì, perché la domanda sull’origine e sullo sviluppo della vita sulla Terra dovrebbe essere oggetto di ricerche e di osservazioni serie e asettiche, mentre invece è costantemente inficiata da considerazioni filosofiche che portano il discorso troppo oltre il seminato e da retro-pensieri persino di natura politica che tutto fanno tranne che giovare al confronto. Vale dunque la pena di provare a rimettere la barra un poco più diritta, nella speranza che la domanda delle domande, quella appunto sul “quando”, sul “come” e sul “dove” la vita abbia cominciato a germogliare sul nostro minuscolo e atipitico, oltre che fortunato, pianetino sperso nella Via Lattea smetta di farri capziosa per tornare a esser dignitosamente intrigante.
Oggi, dunque, a Verona, all’Istituto Alle Stimate di Via Carlo Montanari 1, a partire dalle ore 16,00 l’Associazione Amici di Mendel (www.mendelday.org) battezza la prima giornata mondiale dedicata al padre della genetica con un convegno animato dagli interventi di Francesco Agnoli, Umberto Fasol, Enzo Pennetta e Mario Gargantini.
Agnoli, scrittore e giornalista, si occupa da tempo del rapporto tra scienza e fede. Fasol, preside dell’Istituto che ospita il convegno, è biologo e docente di Scienze naturali nei licei. Pennetta, una laurea in Scienze naturali e una in Farmacia, ha recentemente pubblicato (con Agnoli) il libro Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel. Alle origini della biologia e della genetica (Cantagalli). E infine Gargantini, ingegnere elettronico e già docente di Fisica, opera da anni come divulgatore scientifico.
Perché Grego Johann Mendel (1822-1884)? Perché Mendel, giocando con piante e pianticelle nell’orto del monastero di San Tommaso dell’allora Brünn, oggi Brno, s’imbatté – lo ricordiamo tutti sin dalle elementari – nelle ferree leggi che presiedono la trasmissione dei caratteri ereditari tra i viventi. Senza volerlo. Per caso, scoprì che il caso non esiste. Che le informazioni fondamentali della vita si trasmettono di padre in figlio secondo un andamento regolare e prevedibile; che obbediscono a un disegno intelligente invece di turbinare a capocchia; che ciò che fa di un vivente un essere unico accanto a milioni di altri esseri unici, ma al contempo accomunati tutti da una familiarità evidente, risponde a un criterio oggettivo.
Mendel non lo sapeva; ci vorrà, nel 1953, la scoperta del DNA; ma i suoi incroci tra vegetali, operati mentre il mondo attorno non ne aveva la più pallida idea, inventarono nientemeno che la genetica, vale a dire quella frontiera dell’infinitamente piccolo dove il fascino del mistero regna sovrano e la curiosità sana del ricercatore affronta ogni giorno sfide nuove. La genetica è infatti il campo-base della vita, il luogo dove i suoi mattoni fondamentali si ordinano, prendono forma, costruiscono. Può essere l’abisso terribile delle sperimentazioni disumane, ma è sempre più bello pensarla come l’ambito dove l’uomo può essere prossimo all’uomo, curando malattie turpi, debellando sin dal principio virus e altre schifezze simili, svelando per contemplare la mappa meravigliosa della vita. Se non fosse stato per Mendel brancoleremmo ancora nel buio più pesto.
Johann Mendel, che quando si fece benedettino prese il nome di Gregor, quello con cui è passato alla storia, nacque da una famiglia contadina di lingua tedesca in territorio ceco. Lavorò come giardiniere, nel 1843 entrò in monastero, nel 1847 divenne prete e nel 1851 s’iscrisse all’Università di Vienna. Completati gli studi, tornò nel 1863 all’abbazia, insegnando Fisica, Matematica e Biologia. Un giorno prese dei piselli, ne selezionò 22 varietà differenti, si concentrò su 7 paia e incrociandole osservò che la prima generazione dava individui uniformi, mentre le successive mutazioni rispondevano a precise proporzioni matematiche.
Da allora la scienza non è più stata la stessa. La scuola evoluzionista, che per definizione non può fare a meno del caso, si è ripensata in quella “teoria sintetica” che rielabora il darwinismo a fronte della genetica, ma la questione è apertissima.
Da anni il 12 febbraio, data della nascita del padre dell’evoluzionismo, Charles Darwin (1809-1882), si celebra il Darwin Day. Dal 2003, grazie soprattutto all’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalistici, lo si fa anche in Italia. Il Mendel Day non è la contro-risposta. È la giornata del ricordo di un grande e rigorosissimo uomo di scienza, oltre che di fede, alla cui lezione si deve tornare tutti. Perché l’auspicio è che scompaiano presto tutti i Darwin Day e tutti i Mendel Day per lasciare spazio a tavoli di lavoro benemeritamente bipartisan, non-profit e value-free. Quel giorno la scienza riprenderà finalmente a studiare con meraviglia la realtà invece di contemplarsi compiaciuta l’ombelico.
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato
con il medesimo titolo in Libero quotidiano [Libero]
anno XLVIII, n. 43, Milano, 20-02-2013, p. 28
Il mio articolo sugli strali lanciati dall’epistemologo neodarwinista contro l’esperto di biologia antievoluzionista Enzo Pennetta, uscito su Libero il 16 gennaio 2013, è stato ripubblicato il medesimo giorno
– sul sito di Francesco Agnoli, Libertà e Persona
– sul sito di Enzo Pennetta, Critica scientifica
Telmo Pievani, autore di celebri libri e firma di Micromega, è il testimonial più laccato che il darwinismo conosca. Sul suo blog Pikaia, sottotitolato pomposamente “il portale dell’evoluzione”, pubblica ben 12 pagine di Lettera a un insegnante antidarwiniano impaginata in pdf, con i «wow» e le note. Da sbadigliare. Lui invece si annoia per le domande. In specie quelle serie, già poste al “rottweiler di Darwin”, Richard Dawkins, e da allora sempre senza risposte: è possibile conoscere un esempio di mutazione genetica “positiva”, o di processo evolutivo in cui si possa vedere un incremento d’informazioni nel genoma, o la nascita di una nuova specie? No, non è possibile; ed è qui che il darwinista inciampa: nelle consegne rigorose di cui il metodo scientifico pretende il rispetto. Pievani, invece, che è un filosofo, se la cava da sofista dicendo che la domanda non ha senso. Ma allora perché prendersela tanto con «un insegnante antidarwiniano»?
Nemico pubblico
Ora, l’«insegnante antidarwiniano» ha però un nome, un cognome e un pedigree. Enzo Pennetta, esperto di biologia, due lauree a La Sapienza di Roma, l’una in Scienze naturali e l’altra in Farmacia, e sul tema due libri per la senese Cantagalli, Inchiesta sul darwinismo (2011) e, con Francesco Agnoli, il nuovissimo Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel alle origini della Biologia e della Genetica. Per Pievani «si definisce docente di scienze naturali in una scuola riconosciuta dallo Stato», il Liceo paritario della Fondazione Cristo Re di Roma, ma è lo Stato italiano che lo definisce così, avendogli regolarmente conferito l’abilitazione all’insegnamento.
A Libero Pennetta anticipa la risposta che spedirà a Pievani: «Non ho mai detto che non insegno la teoria darwiniana; anzi, la insegno bene: infatti solo così i suoi difetti diventano evidenti». Ma allora perché Pievani ce l’ha tanto con lui? «Io critico il neodarwinismo su basi scientifiche», dice l’esperto di biologia. «Del neodarwinismo Pievani è il massimo esponente italiano. Logico che si senta chiamato in causa. Ma il motivo vero per cui s’inalbera è che io mostro il collegamento tra darwinismo e politica eugenetica, razziale e malthusiana, link imbarazzanti che Pievani e soci nascondono. Ma bando alle polemiche. Invito Pievani a un confronto pubblico. Ci sta?».
Vedremo. Intanto non perdetevi la vera perla di tutta l’enciclica pievana, cioè la chiusa: «Dopo questa lettera, se compariranno altri insulti, altre insinuazioni o altri travisamenti intenzionali del mio pensiero non sarò più io a rispondere ma i miei legali». Insiste Pievani: «Può la libertà di insegnamento spingersi fino a tollerare che i nostri studenti siano esposti a tesi di questo tipo in una scuola regolarmente riconosciuta dallo Stato italiano?». Accipicchia.
La “trasparenza”
Il filosofo invita i suoi lettori a «mandarci segnalazioni su come si insegnano le scienze naturali, e in particolare l’evoluzione, nelle scuole private paritarie di questo paese. Gli Istituti confessionali, se riconosciuti dallo Stato italiano, sono tenuti a rispettare i programmi ministeriali. Confidiamo che facciano tutti un egregio lavoro, ma è pur sempre bene verificarlo con la massima trasparenza». Siamo alla polizia politica per il reato di pensiero libero e lesa maestà darwiniana?
Pubblicato con il medesimo titolo
in Libero quotidiano [Libero], anno XLVIII, n. 13, Milano 16-01-2013, p. 32
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