Bacerei la veste che indossa anche se fosse lorda di guano perché so che pure i vescovi hanno due corpi come i re di Ernst Kantorowicz, e che talora i due corpi non si parlano, benché l’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, all’indomani della travolgente vittoria dei “sì” al referendum irlandese che cambierà la Costituzione ammettendo il “matrimonio” omosessuale, dica: «Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani. Non si può negare l’evidenza».
Non bacerei mai invece la veste di Vito Mancuso, sulla prima pagina de la Repubblica appaiato apposta al presule irlandese, perché nemmeno lui sa in quale cassetto è finita. Tant’è che con essa Mancuso si è persa pure la grammatica dell’assenso. Dice, Mancuso, che quella dei gay oggi è la stessa lotta per i diritti umani iniziata più di due secoli fa. Immagino ammicchi alla Rivoluzione Francese, quella che notoriamente difese i diritti umani mozzando teste, annegando innocenti, falcidiando madri e bimbi ancora nei ventri delle madri; ma fatico alquanto a capire come i diritti di una pratica sessuale possano coincidere con quelli della persona per il semplice fatto che per logica e per definizione il tutto non può mai coincidere con una parte.
Dettagli? Forse; ma mi ci attardo perché il resto dell’articolessa di Mancuso non offre sussulti. È solo l’ennesimo e scontato lai retorico sulle “uguaglianze”, piatto come una sogliola sin dal titolo, Lo spirito del mondo, un Hegel formato biscottini della fortuna. “Uguaglianze”, dice Mancuso, conquistate con il “progresso” da una umanità finalmente oggi capace di piegare a sé le istituzioni e di fondare (virgoletto perché merita) «il diritto di ogni essere umano all’amore integrale». Come il nudo integrale, penso io, o il pane coi cinque cereali. Un amore integrale, ripete invece Mancuso, che adesso «desidera uno statuto pubblico», e magari invece si accontenta pure, dico io, di una partecipata. No, dice lui, «deve essere riconosciuto come diritto inalienabile che ogni essere umano acquisisce alla nascita», come il codice fiscale dico io. Ma lui ribadisce di no, e prova ad alzare il tiro ammosciandosi invece subito quando tira in ballo nientemeno che Gesù, ripaludato da grande anarca lanciato al galoppo contro ogni istituzione e ogni tradizione, e per questo abbattuto, in attesa che tutto risorgesse nell’Ottantanove dei ghigliottinatori per insegnare quello che a suo tempo la Chiesa non capì e nemmeno ora capisce, epperò il profeta Mancuso sì, tant’è che ne dispensa a tutti dal pulpito della chiesa di Eugenio Scalfari, ivi compreso il parlamento italiano il quale dovrà pur prendere atto, assieme all’arcivescovo di Dublino, che è ora di ascoltare, che si sta alzando la canzone popolare. Sbobba. Precotta, riscaldata, maldigerita. Mancanza totale di altro e di oltre, di spirito e di cuore, di anima e di supplemento. Orizzonte piatto, battito pure. Davvero Mancuso e la sua chiesa credono che gli uomini e le libere associazioni cui essi danno vita possano vivere di solo pane? Sul serio pensano che basti un po’ di sociologhese d’accatto e qualche criptocitazioncina da quiz televisivo per tirare avanti? Da un ex prete e da un arcivescovo in carica ci si può aspettare soltanto l’eco dei tempi che corrono e la risacca dell’opinione del mondo? Nessuno che alzi più lo sguardo, che percepisca il brivido della verticalità, che batta un colpo d’ala? La società, la politica e la religione sono solo registri dove prendere nota seduti al balcone di quel che accade al bar sottostante o il motto con cui decenni fa fu fondata National Review, «Di traverso alla storia, gridando alt!», è ancora un blasone?
Nessun sospetto che il patto societario contenga anche altro rispetto ai decreti-legge imposti dai desideri e dalle dittature delle maggioranze? Niente di niente? Che so, un che di valore che non sia solo il tariffario di un bordello, un qualche principio che non sia solo la fine? C’è lo spirito del mondo, dice Mancuso, e oggi oracola con le moine di un trans. Bisogna fermarsi ad ascoltare in religioso silenzio. E se invece uno tira diritto perché il suo diritto tiene casa nel mondo dello spirito? Del resto di questo, diceva Alexis de Tocqueville, è fatta la vera democrazia.
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 25-05-2015
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