L’Africa è un campo di battaglia, anzi un immenso cimitero. In sei anni, dal 2009 al 2015, il numero degli attacchi sferrati dal terrorismo islamista sul Continente Nero è cresciuto in maniera assurda e quello delle vittime è schizzato alle stelle, al limite del credibile: i morti sono infatti cresciuti di più del 750%. Una follia.
È quanto accerta IHS Jane’s Terrorism and Insurgency Centre, il servizio informazioni dedicato di IHS Jane’s, una delle maggiori fonti di analisi su difesa, sicurezza, trasporti e forze dell’ordine, consulente di governi, strutture militari, industrie e università.
Il conto è presto fatto. Nel 2009 gli attacchi islamisti in Africa sono stati 171 e hanno causato 541 vittime. Nel 2015 sono stati 738 e hanno mietuto 4.600 vite. Gli attacchi sono dunque cresciuti di più del 200% e appunto i morti di oltre il 750%.
I responsabili della mattanza, dice Matthew Henman, capo dell’IHS Jane’s Terrorism and Insurgency Centre, sono gruppi non-governativi della galassia dell’insurrezionalismo sunnita famosi per la particolare violenza delle loro azioni: soprattutto al-Shabaab in Somalia, Boko Haram in Nigeria e al-Qaeda nel Maghreb islamico attiva nell’area del Sahara e del Sahel.
Tutto sommato, in confronto alle dimensioni del continente africano, si tratta di sfere d’influenze relativamente limitate, ma se le cifre dell’escalation sono queste, ben si comprende la strategia martellante cui quelle tre micidiali organizzazioni sottopongo i territori che controllano e lo stillicidio cui sono esposte le popolazioni di quelle latitudini.
A questo proposito, l’IHS Jane’s Terrorism and Insurgency Centre presta speciale attenzione a tre fattori chiave: la grande abilità con cui al-Shabaab riesce di continuo a rinnovarsi e a riorganizzarsi nonostante la pressione di parecchi rivali e nemici regionali; la rivalità territoriale in atto tra al-Qaeda nel Maghreb islamico e ISIS; e per contro la crescente collaborazione tra Boko Haram e califfato nero. Dal 2015, infatti, Boko Haram ha formalmente giurato fedeltà allo Stato islamico e, vista la forte presenza di quest’ultimo in Libia, un rafforzamento strutturale del legame tra esso e i jihadisti nigeriani, potrebbe prima o poi risultare nella nascita di una nuova, enorme centrale del terrore affacciata sul Mediterraneo meridionale.
Se questo ancora non accade è solo per effetto dello scontro di potere che parallelamente divide la zona d’influenza dell’ISIS e dei suoi alleati dalle strutture qaediste, un dissidio che, paradossalmente, garantisce un “equilibrio” dell’orrore in cui, per il momento, nessuno riesce ancora a prevalere. Forse è solo per questo che la mostruosa macchina da guerra del terrorismo islamista africano sta per ora concentrando gli sforzi sul piano interno combattendo una sanguinosa lotta per l’egemonia e ancora non si scaglia a più vasto raggio. Ma è una ben magra, e triste, consolazione. L’Europa è seduta sopra una polveriera a orologeria di dimensioni gigantesche e nessuno sa per che ora è fissato lo scoppio. Ma soprattutto nessuno sembra rendersene conto.
Marco Respinti
Versione completa e originale dell’articolo pubblicato con il titolo
E intanto la jihad s’è presa l’Africa
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 28-07-2016
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