Gerusalemme è un anticipo di Paradiso. È solo quella terrena, ma già annuncia egregiamente quella celeste. Sul Monte degli Ulivi sorge la chiesa del Pater Noster. Si chiama così in ricordo di quel giorno che i discepoli di Gesù, dopo dibattito finito in fumata nera, si accorsero che la democrazia fa solo danni e si risolsero dunque a intimare (sì, pare abbiano usato tono piuttosto assertivo) al Maestro affinché insegnasse loro come pregare il Padre celeste al che Gesù li ammaestrò nel Padrenostro.
Il Padrenostro è l’unica preghiera insegnataci da Dio per pregare Dio. È un bigino celeste, un tweet divino, una vera bellezza. La prima cosa che i missionari sbarcati su qualsiasi costa hanno sempre fatto è insegnare il Padrenostro ai loro catechizzandi; caso mai gli avessero fatto presto il contropelo ‒ ragionavano i missionari ‒, almeno quel compendio di cristianesimo vissuto avrebbero fatto in tempo a consegnarlo. Per onorare questa meraviglia ultraterrena che è il Padrenostro, la chiesa del Pater Noster di Gerusalemme sfoggia ottanta formelle ghirlandate di fiori su cui sta inciso il Padrenostro in altrettanti tra lingue e dialetti. J.R.R. Tolkien ‒ che considero un maestro, ma lui è innocente ‒ esclamò un dì, parafrasando la liturgia del Venerdì Santo, «Felix culpa Babel!». Faceva il filologo, lo faceva assai bene, e il suo modo per amare gli uomini creati a immagine e somiglianza di Dio era quello di onorare le loro differenze, rese tanto eloquenti dalle lingue, dalle parlate, dalle cadenze, dalle intonazioni, dagli accenti. Un giorno, spaventato da un radio a transistor che si mise a gracchiare senza il suo permesso, prese a esorcizzare quella “magia” salmodiando antiche preci in lingua gotica; e il suo sogno era quello di ritirarsi nel paesino della Mercia in cui era nata sua madre a favellare solo nel dialetto anglosassone parlato localmente secoli prima dai suoi avi. Chissà cos’avrebbe detto Tolkien davanti alla chiesa del Pater Noster di Gerusalemme, lui che il Padrenostro lo sapeva recitare in una manciata di lingue “morte” e che pure lo tradusse nella lingua elfica che aveva creato saccheggiando il gallese e il finnico… Ebbene, nella Chiesa del Pater Noster di Gerusalemme una delle formelle fiorite sfoggia, bello e sontuoso, il Padrenostro in milanese, un bel milanese del 1937. Pensate com’è il suono del Padrenostro cantato in milanese a Gerusalemme…
La Chiesa del Pater Noster fu edificata lì dove essa ancora sorge dalla madre di Costantino, sant’Elena. Sant’Elena fu colei che in Terrasanta rinvenne la vera Croce di Cristo; Costantino è venerato dagli ortodossi come santo e fu il primo a usare l’aquila bicipite come segno della regalità cristiana. Ma soprattutto (e per questo gli ortodossi lo hanno canonizzato, anzi glorificato come dicono loro) fu colui che ribaltò l’impero romano come un calzino, e di conseguenza il mondo intero (e sì, pure la storia), decretando la libertà religiosa per tutti. Qualcuno dice che fece del cristianesimo la religione ufficiale dell’impero, ma sbaglia. Quello avvenne dopo, con Teodosio I che (assieme agli altri due augusti, Graziano e Valentiniano II) nel 380 a Tessalonica stabilì che il Credo di Nicea diveniva da quel momento la fede ufficiale dell’impero. Decretando la libertà religiosa, Costantino fece la cosa più importante di tutte: proclamò il diritto sovrano dell’uomo a cercare con rettitudine il legame con quel Creatore che lo ha fatto a propria immagine e somiglianza, cioè anzitutto libero. Non disse affatto che solo il cristianesimo era da quel momento permesso: ma che era permesso cercare e adorare Dio da uomini, cioè da liberi. Stabilì, insomma, che l’uomo dev’essere rispettato libero, anzitutto della sua libertà originale, originaria e fondativa, che è quella religiosa. Quanto alle religioni, vincesse la migliore; evviva il mercato, evviva la concorrenza. Costantino fece la cosa nel 313, nella capitale dell’impero. Lo fece a Milano. Fu a Milano che finalmente gli uomini, tutti diversi e nessuno uguale, furono riconosciuti nella loro sacrosanta e per ciò stesso inalienabile libertà di essere figli di un unico padre. Nessun padre ha figli identici, nemmeno i gemelli siamesi lo sono. Per stare assieme senza cavarsi gli occhi bisogna anzitutto riconoscersi diversi, e in seconda battuta riconoscere di avere un padre comune. Far finta di essere tutti uguali e orfani produce soltanto morte e distruzione di persone e popoli. Nella chiesa del Pater Noster di Gerusalemme lo si capisce perfettamente; anzi, lo si vede, perché non è affatto una questione intellettuale.
Dopo Elena e Costantino, la chiesa venne distrutta dai persiani che correva l’anno 614. Ma ci pensarono i crociati a ricostruirla. Adoro l’odore del cristianesimo al mattino che si fa politicamente scorretto. Sicuramente tra i crociati di quell’Expo c’erano dei milanesi; lo penso sempre quando contemplo il gonfalone della mia città, in origine stendardo nemico strappato ai mori in segno di vittoria. Nell’attuale chiesa del Pater Noster, ottocentesca, il Padrenostro milanese risuona accanto, assieme e mescolato a decine di altre lingue. Sapete qual è il bello? Il bello è che c’è Uno che le capisce tutte, quelle lingue: una per una e contemporaneamente, senza confusione, senza cacofonia. Perciò milanesi, la prima volta che vi recate a Gerusalemme andate a recitare e ad ascoltare il Padrenostro in milanese là in quella chiesa che sta sul Monte degli Ulivi, e non fatevi stregare da quelli che ci vorrebbero tutti uguali, livellati, afoni. Il Dio dei cristiani comprende benissimo il milanese, e lo parla con accento impeccabile.
Marco Respinti
Pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord, Milano 15-05-2014
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