Mentre il New Hampshire vota, i riflettori sono tutti per Michael Bloomberg, magnate dei media ed ex sindaco di New York. Intervistato dal Financial Times, ha per la prima volta ammesso di pensare seriamente a candidarsi alla Casa Bianca. Ovviamente in proprio, perché oramai non può tecnicamente fare altro. Se romperà definitivamente gl’indugi, starà a guardare i Democratici e i Repubblicani che si decimano Stato dopo Stato e poi, dopo l’estate, non facendo parte di una formazione che sceglie il proprio candidato con le primarie, chiederà semplicemente di aggiungere il proprio nome sulla scheda elettorale degli aspiranti presidenti: quelli nominati al termine delle primarie dai due partiti maggiori più il solito pugno d’improbabili, di loser e di “eterni candidati”. La domanda del giorno è perché Bloomberg voglia spendere in questo modo 1 dei 29 miliardi di dollari a cui ammonta la sua fantastica fortuna e per ora l’unica risposta è Hillary Clinton. Solo lei ha accusato il colpo, replicando che di un altro milionario in politica non c’è affatto bisogno perché la nomination Democratica la otterrà lei. Il liberal Bloomberg penserebbe dunque di entrare nell’agone per dirottare su di sé l’elettorato di Hillary qualora la liberal Hillary venisse sconfitta nelle primarie dal socialista Bernie Sanders. Un paracadute, insomma. Ma se così è, significa che la spina nel fianco Sanders sta seriamente impaurendo il mondo radical-chic che tifa, ricambiato, per la Clinton.
Il ruspante Sanders, infatti, non ha proprio nulla a che spartire con il jet-set progressista dei Clinton e dei Bloomberg. Pesca nell’operaismo e tra i redneck. Non più a sinistra, ma diversamente a sinistra: in una sinistra certamente in ritardo con la storia eppure capace d’intimorire i Rockerduck di turno. Se quindi l’elettorato Democratico decidesse di farsi rappresentare da lui, la gauche caviar americana resterebbe orfana. E quindi avrebbe bisogno del pronto soccorso targato Bloomberg.
I Repubblicani gongolano. La candidatura di Bloomberg delegittimerebbe la Clinton; e questo, dopo il flop contro Barack Obama otto anni fa, lo scandalo dell’ambasciata americana a Bengazi nel 2012 e il recente putiferio delle email, significherebbe solo il capolinea. In più, i primi sondaggi dicono che nel novembre prossimo il 14° uomo più ricco del mondo (così Forbes) pescherebbero maggiormente tra gli elettori registratisi con i Democratici nelle primarie, prima picconando la Sinistra e poi schiantandosi (come sempre i candidati indipendenti) contro le oliatissime macchine elettorali dei partiti maggiori.
Infatti con il Grand Old Party (GOP), l’altro nome del Partito Repubblicano, Bloomberg davvero non c’entra. Nel 2001 divenne sindaco di New York con i Repubblicani in un momento storico in cui pavoneggiarsi a sinistra proprio non pagava, ma fino a un attimo prima flirtava spavaldamente con i Democratici. Rieletto alla guida della Grande Mela nel 2005 e nel 2009, nel 2007 ha abbandonato il GOP, da allora si dichiara indipendente, ma è uno specchiatissimo uomo di sinistra. Nel 2012 ha appoggiato la rielezione di Obama alla Casa Bianca e dal 2013, non più sindaco, il suo ideario si è fatto sempre più radicale. Vuole dare la cittadinanza agl’immigrati illegali e limitare il porto d’armi dei cittadini. È un devoto dell’ambientalismo e, pur businessman rampante, benedice l’assistenzialismo statalista e l’interventismo federale in economia. È a favore di aborto e unioni omosessuali come nessuno Repubblicano è ormai più (ma i Democratici sì) o comunque ha il coraggio di dire. E gli Stati Uniti non hanno dimenticato che alla cerimonia del decimo anniversario del disastro delle Torri Gemelle Bloomberg non invitò i pompieri “perché non c’è posto”, ma pure manco un prete, un rabbino o un imam.
Gli americani hanno un’etichetta che appiccicano a meteore Repubblicane come lui. Li chiamano RINO, ovvero “rinoceronte”, vocabolo che in realtà è l’acronimo di “Republican In Name Only”. Quelli, cioè, che di Repubblicano hanno solo il nome, usurpato. Ogni volta che inizia una tornata elettorale i conservatori dichiarano aperta la “caccia al rinoceronte”. Ma esistono anche i DINO, “Democrat in Name Only”, dinosauri di cui un certo elettorato di una certa Sinistra favorirebbe volentieri l’estinzione.
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in Libero [Libero quotidiano], anno LI, n. 40, Milano 10-02-2016, p. 15
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.