L’Italia di Matteo Renzi, nella fattispecie del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e del ministro della Difesa Roberta Pinotti, ha inviato all’aeroporto di Misurata, in Libia, 300 militari di cui 100 paracadutisti del 186esimo reggimento della Folgore (solo 60 medici e infermieri), un aereo C28J per trasporti urgenti e un nave che incrocia poco oltre la costa onde allestire e proteggere un ospedale da campo, il tutto per la modica cifra di 10 milioni di euro. All’Italia lo ha esplicitamente richiesto Fayez al-Sarraj, primo ministro del Governo di Accordo Nazionale della Libia. Tradotto, l’Italia è in guerra. La sproporzione fra l’obiettivo umanitario dichiarato della Missione Ippocrate (il famoso ospedale da campo che quando sarà a pieno regime, tra un mese, disporrà di 50 posti letto) e il dispiegamento di scarponi italiani sul terreno libico è infatti lampante. Del resto, il mondo e la storia sono pieni di “operazioni umanitarie di guerra”. L’Italia è dunque in guerra in Libia, al fianco del Governo di Accordo Nazionale, quello che ha sede a Tripoli e che è riconosciuto a livello internazionale. Contro chi? Contro l’ISIS, arroccato a Sirte. L’ospedale da campo curerà infatti i feriti di quel fronte.
Si dà il caso però che tra i molti belligeranti libici vi sia anche Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, ex generale gheddafiano caduto in disgrazia e poi trasformatosi in ribelle anti-gheddafiano. Del governo di al-Sarraj è nemico giurato. Sostenuto da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Francia, Haftar controlla la regione orientale del Paese (Cirenaica). Combatte anch’egli l’ISIS e il resto della galassia jihadista esattamente sul modello di quanto fatto da Abd al-Fattah al-Sisi in Egitto, ma gli piace essere imprenditore di se stesso.
Torniamo ad al-Sarraj, il quale potrà pure essere pieno di difetti, ma certamente ha le idee chiare e sa farsi capire. Volendosi spiegare bene, ha scelto di parlare agl’italiani. Perché? Perché sono i primi a essere minacciati dal ridislocamento (almeno parziale) dell’ISIS in Libia. «L’Isis è un’organizzazione pericolosissima», ha detto in una intervista al Corriere della Sera il 10 agosto. «Utilizzerà qualsiasi mezzo per inviare i suoi militanti in Italia e in Europa. Non sarei sorpreso di scoprire che i suoi uomini si nascondono sui barconi in viaggio verso le vostre coste. Dobbiamo affrontare insieme questo problema ed essere consapevoli che tra i migranti possono trovarsi terroristi. L’Isis ci minaccia tutti allo stesso moto».
Stavolta l’Italia sembra avere capito al volo. La sconfitta a Sirte sarebbe la fine della presenza libica dell’ISIS. Ecco dunque la richiesta di un ospedale, i sopralluoghi necessari delle nostre autorità e infine la spedizione a Misurata di un piccolo esercito con qualche materiale sanitario. Già che c’era, per farsi capire meglio, al-Sarraj ha chiesto pure l’intervento statunitense aereo che subito si è realizzato in una serie di bombardamenti contro postazioni dell’ISIS.
Intanto Haftar, generale contro l’ISIS ma anche contro al-Sarraj, ha appena ripreso il controllo della cosiddetta mezzaluna petrolifera, un «complesso di quattro terminal sparsi su una fascia costiera di circa 200 chilometri da Sidra ad Agedabia: enormi “rubinetti” dal quale, prima della crisi libica, veniva esportata la maggior parte del greggio prodotto nel deserto del paese (1,6 milioni di barili ai tempi d’oro)».
In Libia, insomma, l’Italia è in guerra a fianco di chi sta combattendo l’ISIS, ma tra i diversi nemici del califfato nero ha scelto quelli che non sono alleati della Francia bensì degli Stati Uniti. Oggi, cioè, l’Italia prende posizione ed è una posizione sensata. La disastrosa guerra internazionale che ha scioccamente abbattuto il “tappo” Muhammar Gheddafi e scoperchiato il vaso di Pandora libico, per poi offrire su un piatto d’argento all’ISIS nuove basi strategiche puntate direttamente sull’Europa, è stata voluta nel 2011 dalla Francia che in questo modo volle salvaguardare i propri ingenti interessi africani. Fu appoggiata dalla Gran Bretagna, già artefice della Libia così come l’abbiamo conosciuta (un Paese fantasma messo assieme con il vinavil), nel desiderio di non scomparire del tutto da quel quadrante geopolitico. È stata sostenuta stancamente dagli Stati Uniti in nome della loro confusa (per dire il meno) strategia sulle mai sbocciate “primavere arabe”. E maldestramente è stata applaudita anche dall’Italia, la quale, invece di sostenere il proprio alleato regionale, ha cambiato casacca una volta in più per cercare, come al solito, di sedersi al tavolo dei vincitori salvo restare regolarmente a becco asciutto. Oggi invece l’Italia scende finalmente in guerra per tutelare i propri interessi e disinnescare una minaccia. Ma allora perché se ne vergogna? Perché nega, rinnega, diniega? L’Italia si è finalmente accorta che siamo in guerra contro il terrorismo e ha deciso di fare quel che si deve. Fingere di essere a Misurata a zufolare guardando per aria come vorrebbero imbonirci le dichiarazioni dei ministri interessati è, come sempre, indignitoso.
Marco Respinti
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