Antigone, cantata nell’omonima tragedia di Sofocle, obbedì a una morale più alta della legge e della religione degli uomini; per dare degna sepoltura al fratello, Polinice, sfidò il re di Tebe, Creonte, e questi la relegò a vita in una spelonca. Elisabetta Gardini, capogruppo di Forza Italia a Bruxelles, chiosa così il senso del convegno Le donne nell’islam tra repressione ed emancipazione, che ha organizzato, sotto l’egida del Partito Popolare Europeo, ieri a Roma, nell’Aula della Commissione Difesa del Senato a Palazzo Carpegna. È fuori moda, ma è il diritto naturale; quella carta d’identità della persona umana che la fa titolare di diritti inalienabili che nessuno Stato o maggioranza può conculcare e che precede – Antigone lo sapeva bene – ogni potere. Non vi è fede o cultura che tenga, dunque, davanti al supplizio di donne nascoste alla vista, senza diritti, schiavizzate, sposate ancora bambine a uomini turpi, mutilate sessualmente, uccise. È un discorso delicato, certo, perché tra i diritti inalienabili vi è la libertà religiosa, e pure perché molte delle donne vittime sono al contempo complici di queste tragedie, ma è un discorso che va fatto presto. Impossibile, infatti, tacere davanti a Lamiya Haji Bashar, irakena, per mesi prigioniera dell’incubo Isis con l’unica colpa di essere yazida. Premio Sacharov 2016, ha visto e subìto l’inferno. Non trattiene le lacrime ricordando una madre violentata per giorni davanti agli occhi del figlioletto, che siccome, mentre la bestia si sollazzava, chiamava la mamma, è stato ammazzato come un insetto.

Da sinistra a destra: Mirza Dinnayi, Paolo Licandro (vice Segretario generale del Partito Popolare Europeo), Marco Respinti, Lamiya Haji Bashar al Convegno di Roma
Mirza Dinnayi, yazido irakeno che in Germania dirige la Ong Luftbrücke Irak, è convinto che l’Europa debba intervenire contro tanta brutalità, ma soprattutto non scordare di essere, pur acciaccata com’è, uno spazio di libertà unico. Sulla medesima lunghezza d’onda Zeljana Zovko, della delegazione interparlamentare per le relazioni con la Bosnia Erzgovina. È a questo punto che si è levato, vibrante, il richiamo alle misconosciute radici cristiane dell’Europa, anzi greco-romano-cristiane (per non scordare mai Antigone), lanciato tanto dal pubblico (una giovane dirigente di Forza Italia, una esponente della Società Operaia dell’indimenticato Luigi Gedda), quanto dal tavolo degli oratori.
Lorenzo Cesa, segretario politico dell’Unione di Centro, ha ricordato la preziosità di un modello politico laico che non sia però laicista, traguardo raggiunto – a fatica, ma raggiunto – dalla tradizione culturale occidentale, in specie italiana. È da qui che il confronto con l’islam della confusione tra fede e politica deve per forza partire. Altrimenti spopolano disgraziatamente le mentalità wahhabite e salafite, che rappresentano davvero una minoranza, ma che hanno denaro per la propaganda e soprattutto un uditorio (ricambiate) presso le nostre istituzioni. Lo ha detto appassionatamente Maryan Ismail. Somala, da 35 anni in Italia, musulmana e femminista, già impegnata con il Partito Democratico, oggi è ai ferri più che corti con la Sinistra italiana per averne fiutato certi amorosi sensi con l’ala più impresentabile dell’islam italiano.
In perfetta sintonia, Sauad Sbai, marocchina, musulmana e laica, già parlamentare nazionale del Popolo della Libertà, ha evocato Rachida Rida, anch’ella marocchina, ammazzata 35enne nel 2011 a martellate dal marito nella Brescello di don Camillo per essersi convertita al cattolicesimo. Una martire come don Jacques Hamel, sgozzato dagli jihadisti a Saint-Étienne-du-Rouvray nel luglio scorso? Patrona dei mille convertiti costretti alle catacombe nelle nostre stesse città?
Marco Respinti
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato
con il titolo L’Europa non fa niente in difesa
delle donne schiavizzate daDaesh
in Libero [Libero quotidiano],
anno LII, n. 165, Milano 17-06-2017, p. 13
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