Che prima o poi lo “storico” disgelo fra Cuba e Stati Uniti dovesse avvenire lo si sapeva. Anzi, era evidente, oltre che essere nell’aria da un po’.
Il comunismo in Europa (il suo elemento statuale) è finito nel 1989 e l’Unione Sovietica non c’è più dal 1991. Da allora è stato un tracollo, a domino, per tutti i satelliti sovietici extraeuropei (per la Cina e il mondo filocinese il discorso è diverso). I Paesi comunisti filosovietici extra-europei hanno così dovuto modificare radicalmente e in fretta i propri assetti, oppure stringere drasticamente la cinghia, come appunto è accaduto a Cuba. In questo modo, il sacrosanto embargo che da decenni tiene a bada il regime de L’Avana si è trasformato in un inferno per i cubani, che ovviamente non sono tutti (anzi) comunisti e conniventi con il castrismo.
A rendersi conto per prima e meglio di tutti gli altri di questa situazione gravissima è la Chiesa Cattolica, che da sempre fa di tutto per aiutare non il regime cubano ma i cubani angariati e perseguitati. Gran parte del merito del disgelo “storico” di adesso va infatti solo alla Chiesa Cattolica, che è sempre riuscita, anche negli anni più turpi della persecuzione, a mantenere ruoli di primo piano che le hanno permesso di operare costantemente per il bene. Sempre dei cubani, non del regime cubano.
La malattia di Fidel Castro, che lo ha portato a passare la mano; lo scenario internazionale mutato; le situazioni incresciose anche per la nomenklatura hanno così portato allo “storico” evento di oggi. Per gli Stati Uniti si tratta di una grande nuova opportunità economica (e ci sta); per il regime cubano è l’unica alternativa alla morte per fame (e ci sta pure questo). Ma il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha perso un’altra grande occasione per fare la cosa giusta, mancando clamorosamente l’appuntamento davvero “storico”.
Se avesse fatto quel che ha fatto, aprire cioè a Cuba, aggiungendo qualche parola; ricordando perché Cuba è stata per anni ostracizzata; usando stili e toni diversi; rammentando i momenti di estremo pericolo corsi dall’Occidente per colpa del fanatismo comunista e del suo strumento di area, Cuba; sottolineando la malvagità del comunismo, tale per cui ora L’Avana scongela i rapporto con Washington, sarebbe stato tutto estremamente diverso. E invece no. Obama è andato in tivù con le sue solite smorfie saccenti e altezzose (mosse certamente studiate per un tipo altamente televisivo come lui) e con un colpo di spugna ha cancellato collettivismi assurdi e carceri politici; perseguitati per causa della giustizia e martiri innocenti; omicidi di Stato e narcotraffico; turismo sessuale anche a beneficio del regime e nomi e volti di testimoni e di fratelli, uno per tutti Armando Valladares. Obama ha voltato le spalle a tutti. Anche ai cubani scappati negli Stati Uniti, gente che per lui è evidentemente solo dappoco.
Insomma un’amnistia senza motivo, il perdono dell’imperdonabile, una svista assurda e una dimenticanza più che grave. Il regime cubano si frega le mani che ancora non ha lavato del sangue versato per decenni e Obama sta con le mani in mano. Il presidente degli Stati Uniti si è affrettato a dire a L’Avana “siamo tutti americani”; ma il primo presidente postamericano della storia statunitense (come lo definisce l’ex ambasciatore all’ONU John R. Bolton) che ne sa di che significa essere davvero americani?
Marco Respinti
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