
Mosca, 9 maggio 2015, parata militare sulla Piazza Rossa per il 70° anniversario della vittoria sul nazionalsocialismo tedesco. Prima sventolano le bandiere, ben evidente quella comunista, e poi il ministro della Difesa, Sergey K. Shoygu, buddista, si fa il segno della croce
Torniamo a guardare i fotogrammi della parata militare svoltasi il 9 maggio a Mosca per il 70° anniversario della sconfitta del nazionalsocialismo tedesco. Un campionario del body-building di regime per servire la minestra riscaldata della “grande guerra patriottica” di staliniana memoria. Con una naturalezza che lascia a bocca aperta, Vladimir Putin ci ha venduto l’idea che i comunisti di ieri furono buoni perché combattevano i nazisti e che dunque i russi di oggi lo siano di più perché dall’imperialismo sovietico ereditano il diritto a usare l’Armata Rossa. Decenni di sforzi per sottolineare la stretta parentela tra il fascismo rosso dell’Urss e il socialismo nazionalista del Terzo Reich, per evidenziare che “antifascista” non è sinonimo di “buono” e per imparare dal libro Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale (trad. it. Spirali, Milano 2000), dell’ex agente del GRU Viktor Suvorov, che Mosca preparò l’invasione dell’Europa prima che Adolf Hitler attuasse quella delle lande russe, e tutto viene spazzato via da un burlesque fatto di stivali lucidi e sciabole tintinnanti.
Ma il massimo della propaganda (e della sua stucchevolezza), assieme al massimo dell’idiozia con cui certuni se la bevono, è il momento in cui, all’inizio di detta pomposa e pompata kermesse, il generale Sergey K. Shoygu, classe 1955, amatissimo ministro della Difesa, ha scarrozzato in limousine di Stato e si è fatto il segno della croce. Eccola qui la bella Russia nuova, imperiale e cristiana, che torna come un supereroe per sgominare tutti i villain, mostrare all’Occidente chi è che porta i calzoni e sedersi finalmente sulla testa del mondo. Peccato però che sia tutta solo una grande farsa. Il generale Shoygu è infatti russo a metà, suo padre è mongolo e non è affatto cristiano. Non è per nulla un pio e devoto figlio del Patriarcato di tutte le Russie e dell’aquila bicipite: è un buddista. Del cristianesimo non gl’importa. Gl’importa dei simboli, del potere, della psicologia delle folle. Che differenza c’è tra lui e Stalin che trasse dalla soffitta il gran principe cristiano Aleksandr Nevski solo per appuntargli sul petto la stella rossa dei bolscevichi in funzione antitedesca? Nessuna.
Plaudire a questa ipocrisia da show di prima serata è una dabbenaggine pericolosissima, non accorgersi della perfida trappola che tende ancora peggio. Ci sono infatti dei cattolici che si struggono per il buddista Shoygu e che vanno in brodo di giuggiole per quel suo gesto perfettamente ideologico. Dovrebbero invece ripassare la storia della Chiesa ortodossa, quella che fu, a certe condizioni, lasciata in pace dal potere totalitario comunista solo perché si prestò a pugnalare alle spalle gli odiati “papisti” delle Chiese cattoliche greco-orientali, ree di usurpare la liturgia bizantina. Quella che si lordò del sangue innocente dei fedeli “uniati”. Quella che da sempre esiste soltanto per graziosa concessione del potere politico, il quale la comanda a bacchetta, la dirige e la strumentalizza, le concede il diritto di respirare solo finché riesce usarla per dirigere le masse.
La storia dell’Occidente e del cattolicesimo, invece, è diversa. È la storia del dare a Cesare quel che di Cesare e a Dio quel che è di Dio che ha consentito lo sviluppo d’istituzioni democratiche (la democrazia è una condizione dell’esercizio del potere politico, non un regime come oggi) già nel Medioevo, prima che lo Stato fosse. È la sana competizione tra potere politico e Chiesa che ha garantito la no-fly zone della libertà personale, la libertas Ecclesiae e lo sviluppo della sana laicità. Quando il potere politico ha abusato della religione è stato fermato; quando la Chiesa ha usurpato lo spazio politico idem; e da questa sana tensione è uscito un equilibrio dinamico che ci rende orgogliosamente occidentali. Talora stanchi e deboli, sì; ma sempre meglio del machismo ipocrita dei barbari alle porte. Dovere spiegare ancora a certi cattolici goduti e plaudenti che le prime vittime di spalle di quel machismo sarebbero proprio loro, fa cadere le braccia.
Marco Respinti
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