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La nomina di Ben Carson al ministero dell’Edilizia e dello sviluppo urbani è un altro messaggio diretto del presidente eletto, un segno ‒ come scrive The New York Times ‒ del fatto che Donald J. Trump governerà scopertamente da destra.
Classe 1951, afroamericano di Detroit (cuore pulsante della “Rust Belt” in quel Michigan che l’8 novembre è stato decisivo), sposato con
tre figli, medico laureato a Yale, per quasi 30 anni Carson ha diretto, fino alla pensione nel 2013, il reparto di Neurochirurgia pediatrica del prestigiosissimo Johns Hopkins Hospital di Baltimora, nel Maryland. Quando ne assunse la direzione aveva 33 anni, il più giovane primario di neurochirurgia pediatrica di tutto il Paese; solo tre anni dopo, nel 1987, è entrato nella storia della medicina per avere separato chirurgicamente i gemelli siamesi
Benjamin e Patrick Binder uniti nella parte posteriore del cranio: ogni altra operazione del genere era infatti sempre fallita. Insignito di più di 60 lauree mediche ad honorem, nel 2008 il presidente George W. Bush Jr. gli ha conferito la Presidential Medal of Freedom, il più altro riconoscimento civile degli Stati Uniti. Cristiano avventista (e vegetariano come molti suoi correligionari) e antievoluzionista convinto, rigetta l’aborto in qualsiasi caso così come i “matrimoni” omosessuali. L’“Obamacare” la definisce una schiavitù che rende i cittadini succubi dello Stato, è duro contro l’immigrazione clandestina, spinge per la flat tax sostenendo che la tassazione progressiva è una forma di socialismo e disprezza l’ideologia ambientalista. Famoso per qualche libro (qualcuno tradotto anche in italiano) e per avere paragonato il governo statunitense del “dispotismo liberal” al Terzo Reich, lo è anche per avere sostenuto, nel 1998, nella blasonata università scozzese di St. Andrews, che la piramide di Giza fu costruita dal patriarca ebreo Giuseppe figlio di Giacobbe per servire da granaio in vista della carestia descritta nella Genesi, proprio come pensava il Medioevo dopo che san Gregorio vescovo di Tours (530 ca.-594) diffuse l’idea (delle fantasie egittologiche sugli alieni invece ride, dicendo che quando c’è Dio non c’è bisogno di extraterrestri).
Ex Democratico e poi indipendente, quest’anno si è candidato nelle primarie del Partito Repubblicano. Avendo ricevuto pochi consensi nei primi Stati in cui si è votato, si è ritirato presto e ha subito appoggiato con decisione Trump. Il 19 luglio, alla Convenzione del partito a Cleveland, in Ohio [link a: https://www.youtube.com/watch?v=Xh8LOdq66lU%5D, ha ricordato l’inquietante maestro di Hillary Clinton e di Barack Obama, ovvero l’agit-prop comunista Saul Alinsky (1909-1972) che si dedicò a organizzare le “minoranze” dedicando i propri libri a Lucifero (ne tratto in un articolo su Il Timone n. 155).
Ci si potrebbe domandare cosa ci faccia uno così all’Edilizia urbana, ma la risposta non è difficile. Come responsabile di quel ministero, toccherà a Carson mettere mano alla questione del degrado delle città, delle periferie alienate, dei quartieri off-limit e della “società parallela” che si sviluppa ai margini della vita civile. È infatti in questo sottobosco del malaffare e dell’illecito che cresce la criminalità. È là che le gang regnano, che la clandestinità sguazza, che la retorica del politicamente corretto miete il maggior numero di vittime. I mille morti ammazzati neri, bianchi, civili, poliziotti, innocenti e colpevoli di cui parlano continuamente le cronache americane sono infatti frutto di questo marciume che il “buonismo” non fa altro che alimentare. Mettere il Paese in sicurezza vuole dire partire anzitutto da qui, ma soprattutto abbandonare gli
schemi finora seguiti. L’Amministrazione Obama ha costantemente strumentalizzato la situazione senza mai pensare a risolverla perché ha sempre trovato comodo usarla per parlare di razzismo, masse diseredate e minoranze calpestate onde proporre sempre e solo la ricetta del “più Stato”: dai food-stamp (i “buoni-pasto” governativi) al tentativo di restringere il Secondo Emendamento, dall’illusione della “sanità per tutti” alla “casa è un diritto”. Ebbene Carson, che è nero come Obama e che a differenza di Obama proprio non crede nello statalismo, potrà intervenire senza che nessuno possa accusarlo di razzismo. Parlerà chiaro ai neri e ai bianchi, userà la “tolleranza zero” senza essere linciato, arginerà l’illegalità e la clandestinità senza essere tacciato di xenofobia e tra l’altro riequilibrare la “politica della casa” che è all’origine della grande crisi economica che da quasi un decennio divora l’Occidente. Come spiega bene lo storico ed economista Thomas E. Woods Jr. in Meltdown: A Free-Market Look at Why the Stock Market Collapsed, the Economy Tanked and Government Bailouts Will Make Things Worst (premessa di Ron Paul, Regnery, Washington 2009), tutto iniziò quando saltò la bolla dei mutui “allegri” concessi per meri motivi ideologici (tutti hanno diritto alla casa, soprattutto i “diseredati”, anche se non sanno come pagarla) da Henry Cisneros, il ministro dell’Edilizia e dello sviluppo urbani (appunto un predecessore di Carson) del presidente Bill Clinton (nominato nel 1993 e travolto quattro anni dopo da uno scandalo sessuale). È insomma la fine annunciata del “modello Alinsky”, che le altre scelte recenti di Trump non fanno che confermare.
Affidare infatti il ministro della Giustizia a Jeff Sessions significa mettere uno dei senatori più conservatori di Washington al timone della filosofia “legge e ordine”, ovvero il contrario di quanto sin qui fatto dalla obamiana Loretta Lynch (tra l’altro insabbiatrice degli ultimi scandali della Clinton). James Mattis al ministero della Difesa vuol dire pugno di ferro contro il terrorismo e i nemici degli Stati Uniti; e scegliere Michael T. Flynn come consigliere per la Sicurezza nazionale e Mike Pompeo a capo della CIA pure. Si chiama spoil-system; ha il grande vantaggio di costringere i governanti ad assumersi le proprie responsabilità in pubblico, sottoponendoli al giudizio continuo dell’elettorato. Lo chiamano “populismo”, ma è solo la nuova parola passepartout usata dai falsi democratici che, a corto d’idee, si abbarbicano su sedie scricchiolanti.
Marco Respinti
La mela di Newton, estensione web dell’Almanacco della scienza di MicroMega, Telmo Pievani, responsabile entusiasticamente darwinista sia del blog sia dell’”Almanacco”, pubblica l’articolo La falena delle betulle sbaraglia i creazionisti. Il caso è quello, citato in ogni libro di testo, della falena punteggiata delle betulle, Biston betularia, in inglese peppered moth. Nel distretto industriale della Manchester ottocentesca si sarebbe scurita imitando le betulle imbrunite dalla fuliggine e dalle piogge acide causate dall’inquinamento della Rivoluzione Industriale onde continuare a nascondersi dai predatori. Per Pievani (che per tutto l’articolo si produce in una prosa inutilmente sardonica) è uno dei «[…] tantissimi esempi probanti un’evoluzione darwiniana in atto» e un «[…] archetipo della spiegazione darwiniana» per effetto di un articolo comparso sul numero datato 2 giugno della prestigiosa rivista Nature, a cui vanno certamente aggiunti un secondo articolo e l’editoriale “benedicente” che Pievani non cita. Pievani sunteggia il primo spiegando che un’équipe formata da otto specialisti dell’Istituto di Biologia integrativa dell’Università di Liverpool e uno del Wellcome Trust Sanger Institute di Hinxton, in Inghilterra, «[…] ha scoperto che la mutazione all’origine del melanismo industriale in Inghilterra consiste nell’inserzione di un grosso elemento trasponibile nel primo introne del gene cortex (preposto alla divisione cellulare, ma coinvolto anche nel mimetismo attraverso la sua azione sullo sviluppo delle ali delle falene)», un “gene saltatore” responsabile della novità adattativa. Ovvero: un pezzo del DNA che salta da una parte all’altra del genoma è finito dentro un certo gene influenzandone il comportamento.
Questa però non è affatto «evoluzione darwiniana in atto». Il rimescolamento delle informazioni genetiche esistenti in una specie è infatti cosa completamente diversa dalla comparsa dal nulla d’informazioni genetiche nuove. I due fenomeni sono noti come microevoluzione e macroevoluzione. La prima è la variabilità interna a una specie, la seconda la nascita di una specie completamente nuova per trasformazione sostanziale di una vecchia (speciazione). Li divide l’abisso che corre tra un fatto osservato e un’ipotesi mai provata.
Del resto le falene chiare e scure coesistono: non sono una specie trasformata in un’altra. Quella scura (carbonaria) non è un’altra falena; è la stessa falena chiara (typica) che sviluppa appieno una possibilità prima attuata in modo limitato: è detta “punteggiata” proprio perché il pigmento scuro c’è benché limitato ad aree specifiche (i puntini neri sulle ali). Il fenomeno è ben noto e si chiama polimorfismo. Ne sono responsabili gli alleli, le due o più forme alternative del medesimo gene che si trovano nella stessa posizione su ciascun cromosoma omologo. Controllano lo stesso carattere, ma possono portare a risultati quantitativamente o qualitativamente diversi: la Donax variabilis, un mollusco bivalve, esiste in varie forme diversamente colorate; le pantere nere sono solo giaguari e leopardi melanici. La ricerca della succitata équipe di scienziati ha dunque scoperto il “gene saltatore” che rende scure le falene. Chapeau. Ha scoperto anche la data del suo “salto” nel genotipo di quei lepidotteri, circa il 1819, molto prima (30 generazioni, stante che il ciclo riproduttivo delle falene si ripete ogni anno) dei primi rilevamenti di fenotipi scuri, verso il 1848, cioè prima anche di una presenza massiccia di fabbriche. Chapeau. Dunque la comparsa di una nuova specie per adattamento agli effetti dell’inquinamento non c’è e la mutazione mimetica per sopravvivere nemmeno (le falene non riposano sui tronchi degli alberi, ma sui ramosi frondosi più alti e gli uccelli le predano soprattutto in volo): per quale motivo si dovrebbe allora parlare di evoluzionismo?
Negli uomini accade la stessa cosa. La melanina, che dà la pigmentazione estesa a tutto il corpo degli africani subsahariani, è presente in tutti gli uomini; è quella che, stimolata dalla radiazione solare, è responsabile dell’abbronzatura estiva dei bianchi (l’assenza totale di melanina provoca infatti negli uomini l’albinismo, che ha caratteri paragonabili a quelli di una patologia). I neri sono geneticamente uguali ai bianchi ma la loro cute è più adatta alla vita in un preciso contesto. La pelle nera protegge dai melanomi, che sono mutazioni genetiche (patologiche come tutte le mutazioni genetiche) indotte dai raggi ultravioletti; motivo per cui d’esatte i bianchi si cospargono di protettivi solari.
Ogni presunta prova fornita dai neodarwinisti è insomma sempre e solo la constatazione di un caso di variabilità interna a una specie (microevoluzione), mai di speciazione dal nulla (macroevoluzione). Nessuno infatti mette oggi in dubbio la variabilità e la selezione naturale, nemmeno i più incalliti tra i creazionisti come dicono proprio i più incalliti tra i creazionisti (anche se si può legittimamente contestare la felicità dell’espressione). La selezione è osservabile: praticata dall’allevatore, dall’agricoltore o da un “attore” ecologico diverso. Ma è una scelta limitata entro un ambito dato, non la produzione dal niente di geni nuovi. Lo scrive l’équipe scientifica nell’articolo citato da Pievani: «le nostre scoperte colmano una sostanziale vuoto di conoscenza riguardo l’esempio-simbolo del cambiamento microevolutivo, aggiungendo un ulteriore livello di comprensione del meccanismo di adattamento in risposta alla selezione naturale». Nell’introduzione all’edizione del 1972 de L’origine delle specie di Darwin, lo zoologo evoluzionista inglese Leonard Harrison Matthews (1901-1986) ha scritto che gli esperimenti sulle falene «dimostrano meravigliosamente la selezione naturale […] in atto, ma non mostrano l’evoluzione in divenire; perché, per quanto le popolazioni possano variare nel numero di esemplari chiari, intermedi o scuri, tutte le falene rimangono, dall’inizio alla fine, Biston betularia». Niente evoluzionismo, il caso è archiviato da tempo; quella pubblicata da Nature è una bella storia che parla di altro.
Marco Respinti
Il periodico online Wired.it mette altra carne al fuoco dando voce a Guido Barbujani, presidente dell’Associazione Genetica Italiana. Ed è tutto un programma…
Anatomia: che cos’è una scimmia antropomorfa?
Dice l’Enciclopedia Treccani (online: i poveri in Italia son sempre più poveri) che le scimmie antropomorfe sono quelle che «per aspetto esteriore e struttura anatomica si avvicinano molto all’uomo: sono Primati del sottordine Catarrine, famiglia dei Pongidi, privi di coda e di borse guanciali, senza callosità ischiatiche o appena rudimentali; faccia e dita prive di peli, arti anteriori assai più lunghi dei posteriori, denti canini ben sviluppati, placenta discoidale. Comprendono i generi: gibbone, gorilla, orango (o urango o rangutan), scimpanzé».
Perdonate la Treccani: i dettagli della sua tassonomia è un po’ in ritardo sull’ultimo grido della moda evoluzionista, ma il punto è cristallino.
Etologia: un orango può offendersi?
Dicesi “orango” una bestia appartenente a quell’ordine di mammiferi placentati del regno animale che è definito scientificamente Primates a far data dall’edizione del 1758 del Systema Naturae di Carlo Linneo (Carl Nilsson Linnaeus, nobilitato in Carl von Linné e latinizzato in Carolus Linnaeus, 1707-1778). I Primates così son detti poiché sono “i primi”, ovvero “i superiori” tra gli animali, i più sviluppati, i maggiormente evoluti. La tassonomia evoluzionista scientifica oggi vigente (su Wikipedia più aggiornata di quella che compare nell’Enciclopedia Treccani online, anche se sempre in ritardo rispetto all’ultimo grido della moda evoluzionista) suddivide i Primates, così come gli altri animali, in diversi taxa: Sottordini, Infraordini, Parvordini, Supefamiglie, Famiglie, Sottofamiglie, Tribù, Sottotribù, Infratribù, Generi, Sottogeneri, Specie, Sottospecie e Forme (qui la botanica usa invece Varietà), in un ampio e ramificato gioco tra scatole cinesi e matrioske. Tra le Famiglie dei Primates vi è quella degli Hominidae cui appunto appartiene, attraverso la Sottofamiglia delle Ponginae, il genere Pongo, cioè gli oranghi, divisi poi in Specie e Sottospecie, cari estinti compresi. La Famiglia Hominidae fu stabilita nel 1825 dal biologo, zoologo e botanico inglese John Edward Gray (1800-1875), che la fa risalire al Miocene inferiore, il Miocene tout court essendo la prima delle due epoche geologiche in cui si suddivide il Neogene, che è il secondo periodo dell’Era cenezoica, iniziato 23,03 milioni di anni fa e terminò 5,332 milioni di anni fa.
Dire dunque “sottospecie di orango” è affermazione scientifica corrispondente a reperto vivente di raffinata ricerca evoluzionista.
Genealogia: chi era tuo nonno?
Dicesi australopithecus un Genere della Famiglia Hominidae ritenuto appartenere alla linea da cui si è evoluto l’uomo. Il suo nome latino significa “scimmia meridionale”. Non ci sono prove empiriche del fatto che l’uomo derivi dalla scimmia se non nel nome che certi uomini hanno un dì arbitrariamente dato a posteriori a determinati reperti di palese natura scimmiesca ma asseriti come preumani. L’intenzione è tutto e la propaganda il suo profeta.
Anagrafe: chi è chi?
Lo scimpanzé comune, uno dei Primates più evoluti e prossimi al vertice Homo, viene in sede scientifica disinvoltamente definito “troglodita”: Pan troglodytes.
Un suo congiunto strettissimo fa di nome e cognome Pan paniscus: in società lo chiamano bonobo e si porta alquanto bene, ma il popolino lo chiama ancora scimpanzé nano. Nano e troglodita sono, dice la scienza, i parenti più prossimi dell’uomo, ma il biologo molecolare statunitense Morris Goodman (1925-2010) smentisce: sono tutte e tre specie del medesimo Genere Homo. La foto di famiglia goodmaniana ritrae tutti sotto le feste abbracciati con vestiti nuovi di zecca: l’Homo paniscus cioè il nano, l’Homo troglodytes e l’Homo sapiens.
L’attualisismo e scottantissimo tema dell’economia dei derivati: l’uomo deriva dalla scimmia?
Sì. L’eminente storico inglese Edward Gibbon (1737-1794), arcinemico della Chiesa Cattolica, cela nel cognome un nesso fondante con la Famiglia Hylobatida cui appartengono i vari Generi di gibboni.
Cronologia: è nato prima l’uomo o la scimmia?
La scienza attuale si dibatte fra chi afferma che le Famiglie delle scimmie si sono evolute nel genere umano e chi afferma che le scimmie sono umane già da milioni di anni. Talune suonano l’organetto, talaltre sono governanti (oops, c’è già uno che si è offeso perché pensa che gli sia appena stato dato del badante).
Oggi è il Mendel Day, il primo di quella che gli organizzatori si augurano essere una serie lunga e proficua di colloqui pubblici dedicati alla questione più spinosa della scienza contemporanea: l’evoluzionismo. Sì, perché la domanda sull’origine e sullo sviluppo della vita sulla Terra dovrebbe essere oggetto di ricerche e di osservazioni serie e asettiche, mentre invece è costantemente inficiata da considerazioni filosofiche che portano il discorso troppo oltre il seminato e da retro-pensieri persino di natura politica che tutto fanno tranne che giovare al confronto. Vale dunque la pena di provare a rimettere la barra un poco più diritta, nella speranza che la domanda delle domande, quella appunto sul “quando”, sul “come” e sul “dove” la vita abbia cominciato a germogliare sul nostro minuscolo e atipitico, oltre che fortunato, pianetino sperso nella Via Lattea smetta di farri capziosa per tornare a esser dignitosamente intrigante.
Oggi, dunque, a Verona, all’Istituto Alle Stimate di Via Carlo Montanari 1, a partire dalle ore 16,00 l’Associazione Amici di Mendel (www.mendelday.org) battezza la prima giornata mondiale dedicata al padre della genetica con un convegno animato dagli interventi di Francesco Agnoli, Umberto Fasol, Enzo Pennetta e Mario Gargantini.
Agnoli, scrittore e giornalista, si occupa da tempo del rapporto tra scienza e fede. Fasol, preside dell’Istituto che ospita il convegno, è biologo e docente di Scienze naturali nei licei. Pennetta, una laurea in Scienze naturali e una in Farmacia, ha recentemente pubblicato (con Agnoli) il libro Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel. Alle origini della biologia e della genetica (Cantagalli). E infine Gargantini, ingegnere elettronico e già docente di Fisica, opera da anni come divulgatore scientifico.
Perché Grego Johann Mendel (1822-1884)? Perché Mendel, giocando con piante e pianticelle nell’orto del monastero di San Tommaso dell’allora Brünn, oggi Brno, s’imbatté – lo ricordiamo tutti sin dalle elementari – nelle ferree leggi che presiedono la trasmissione dei caratteri ereditari tra i viventi. Senza volerlo. Per caso, scoprì che il caso non esiste. Che le informazioni fondamentali della vita si trasmettono di padre in figlio secondo un andamento regolare e prevedibile; che obbediscono a un disegno intelligente invece di turbinare a capocchia; che ciò che fa di un vivente un essere unico accanto a milioni di altri esseri unici, ma al contempo accomunati tutti da una familiarità evidente, risponde a un criterio oggettivo.
Mendel non lo sapeva; ci vorrà, nel 1953, la scoperta del DNA; ma i suoi incroci tra vegetali, operati mentre il mondo attorno non ne aveva la più pallida idea, inventarono nientemeno che la genetica, vale a dire quella frontiera dell’infinitamente piccolo dove il fascino del mistero regna sovrano e la curiosità sana del ricercatore affronta ogni giorno sfide nuove. La genetica è infatti il campo-base della vita, il luogo dove i suoi mattoni fondamentali si ordinano, prendono forma, costruiscono. Può essere l’abisso terribile delle sperimentazioni disumane, ma è sempre più bello pensarla come l’ambito dove l’uomo può essere prossimo all’uomo, curando malattie turpi, debellando sin dal principio virus e altre schifezze simili, svelando per contemplare la mappa meravigliosa della vita. Se non fosse stato per Mendel brancoleremmo ancora nel buio più pesto.
Johann Mendel, che quando si fece benedettino prese il nome di Gregor, quello con cui è passato alla storia, nacque da una famiglia contadina di lingua tedesca in territorio ceco. Lavorò come giardiniere, nel 1843 entrò in monastero, nel 1847 divenne prete e nel 1851 s’iscrisse all’Università di Vienna. Completati gli studi, tornò nel 1863 all’abbazia, insegnando Fisica, Matematica e Biologia. Un giorno prese dei piselli, ne selezionò 22 varietà differenti, si concentrò su 7 paia e incrociandole osservò che la prima generazione dava individui uniformi, mentre le successive mutazioni rispondevano a precise proporzioni matematiche.
Da allora la scienza non è più stata la stessa. La scuola evoluzionista, che per definizione non può fare a meno del caso, si è ripensata in quella “teoria sintetica” che rielabora il darwinismo a fronte della genetica, ma la questione è apertissima.
Da anni il 12 febbraio, data della nascita del padre dell’evoluzionismo, Charles Darwin (1809-1882), si celebra il Darwin Day. Dal 2003, grazie soprattutto all’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalistici, lo si fa anche in Italia. Il Mendel Day non è la contro-risposta. È la giornata del ricordo di un grande e rigorosissimo uomo di scienza, oltre che di fede, alla cui lezione si deve tornare tutti. Perché l’auspicio è che scompaiano presto tutti i Darwin Day e tutti i Mendel Day per lasciare spazio a tavoli di lavoro benemeritamente bipartisan, non-profit e value-free. Quel giorno la scienza riprenderà finalmente a studiare con meraviglia la realtà invece di contemplarsi compiaciuta l’ombelico.
Versione originale e completa dell’articolo pubblicato
con il medesimo titolo in Libero quotidiano [Libero]
anno XLVIII, n. 43, Milano, 20-02-2013, p. 28
Il mio articolo sugli strali lanciati dall’epistemologo neodarwinista contro l’esperto di biologia antievoluzionista Enzo Pennetta, uscito su Libero il 16 gennaio 2013, è stato ripubblicato il medesimo giorno
– sul sito di Francesco Agnoli, Libertà e Persona
– sul sito di Enzo Pennetta, Critica scientifica
Telmo Pievani, autore di celebri libri e firma di Micromega, è il testimonial più laccato che il darwinismo conosca. Sul suo blog Pikaia, sottotitolato pomposamente “il portale dell’evoluzione”, pubblica ben 12 pagine di Lettera a un insegnante antidarwiniano impaginata in pdf, con i «wow» e le note. Da sbadigliare. Lui invece si annoia per le domande. In specie quelle serie, già poste al “rottweiler di Darwin”, Richard Dawkins, e da allora sempre senza risposte: è possibile conoscere un esempio di mutazione genetica “positiva”, o di processo evolutivo in cui si possa vedere un incremento d’informazioni nel genoma, o la nascita di una nuova specie? No, non è possibile; ed è qui che il darwinista inciampa: nelle consegne rigorose di cui il metodo scientifico pretende il rispetto. Pievani, invece, che è un filosofo, se la cava da sofista dicendo che la domanda non ha senso. Ma allora perché prendersela tanto con «un insegnante antidarwiniano»?
Nemico pubblico
Ora, l’«insegnante antidarwiniano» ha però un nome, un cognome e un pedigree. Enzo Pennetta, esperto di biologia, due lauree a La Sapienza di Roma, l’una in Scienze naturali e l’altra in Farmacia, e sul tema due libri per la senese Cantagalli, Inchiesta sul darwinismo (2011) e, con Francesco Agnoli, il nuovissimo Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel alle origini della Biologia e della Genetica. Per Pievani «si definisce docente di scienze naturali in una scuola riconosciuta dallo Stato», il Liceo paritario della Fondazione Cristo Re di Roma, ma è lo Stato italiano che lo definisce così, avendogli regolarmente conferito l’abilitazione all’insegnamento.
A Libero Pennetta anticipa la risposta che spedirà a Pievani: «Non ho mai detto che non insegno la teoria darwiniana; anzi, la insegno bene: infatti solo così i suoi difetti diventano evidenti». Ma allora perché Pievani ce l’ha tanto con lui? «Io critico il neodarwinismo su basi scientifiche», dice l’esperto di biologia. «Del neodarwinismo Pievani è il massimo esponente italiano. Logico che si senta chiamato in causa. Ma il motivo vero per cui s’inalbera è che io mostro il collegamento tra darwinismo e politica eugenetica, razziale e malthusiana, link imbarazzanti che Pievani e soci nascondono. Ma bando alle polemiche. Invito Pievani a un confronto pubblico. Ci sta?».
Vedremo. Intanto non perdetevi la vera perla di tutta l’enciclica pievana, cioè la chiusa: «Dopo questa lettera, se compariranno altri insulti, altre insinuazioni o altri travisamenti intenzionali del mio pensiero non sarò più io a rispondere ma i miei legali». Insiste Pievani: «Può la libertà di insegnamento spingersi fino a tollerare che i nostri studenti siano esposti a tesi di questo tipo in una scuola regolarmente riconosciuta dallo Stato italiano?». Accipicchia.
La “trasparenza”
Il filosofo invita i suoi lettori a «mandarci segnalazioni su come si insegnano le scienze naturali, e in particolare l’evoluzione, nelle scuole private paritarie di questo paese. Gli Istituti confessionali, se riconosciuti dallo Stato italiano, sono tenuti a rispettare i programmi ministeriali. Confidiamo che facciano tutti un egregio lavoro, ma è pur sempre bene verificarlo con la massima trasparenza». Siamo alla polizia politica per il reato di pensiero libero e lesa maestà darwiniana?
Pubblicato con il medesimo titolo
in Libero quotidiano [Libero], anno XLVIII, n. 13, Milano 16-01-2013, p. 32
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