Fuori dal tunnel. Gli Stati Uniti sono finalmente quanto inaspettatamente usciti dalla recessione politica e dalla minorità culturale. Diciamolo francamente, nessuno si aspettava che Donald J. Trump diventasse presidente. E diciamoci chiaramente anche che Trump non è né un genio né un simpaticone. Ma tanto hanno potuto l’antipatia politica (di quelle personale chissenefrega) dei suoi avversari Hillary Clinton e Barack Obama. I due sono un mostro bicefalo. Allievi dello stesso maestro perverso, culturalmente parlando, Saul Alinsky, hanno personificato per anni il siparietto del poliziotto buono e del poliziotto cattivo: lui socialismo per le masse proletarie, lei socialismo per i colletti bianchi. Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2008 hanno litigato prima per davvero e poi per finta una volta che l’establishment del Partito Democratico ha battuto sulla spalla di lei dicendo “ragazza, scansati e lasciami lavorare” giacché lui era al momento più eleggibile, “ragazzo, spazzola”. Il patto non scritto era chiaro: stavolta tocca a lui, lei si accomoda in sala di attesa e intanto risuscita politicamente, e si arricchisce economicamente, facendo il Segretario di Stato. Il fatto che nel secondo mandato di Obama Hillary sia stata sostituita in quel ruolo da John F. Kerry fa sempre parte della lunga preparazione: un incarico di governo nel secondo mandato l’avrebbe schiacciata troppo su Obama per poter manovrare liberamente in campagna elettorale, tanto il pieno di “popolarità” e di “autorevolezza” lo aveva fatto.
Però il diavolo (quello che pare piacesse molto all’Alinsky maestro di Obama e di Hillary) fa le pentole e mai i coperchi, e così la gioiosa macchina da guerra Obama-Clinton ha deragliato in vista del traguardo schiantandosi sulla roccia Trump.
Accantoniamo per ora il modo in cui Trump è arrivato alla nomination e poi alla Casa Bianca, tortuoso e complesso al punto da meritare un libro di storia. Adesso la presidenza Trump è un fatto e i fatti sono gli unici contro cui i nostri sforzi non servono a un bel nulla. Soprattutto è un fatto il mandato che gli americani hanno consegnato a Trump. E al Congresso. E alla maggioranza dei governatori degli Stati. Il mandato è archiviare l’Obama-Clinton.
C’è un altro aspetto, però, che va sottolineato. Trump ha fatto man bassa di voti tra gli operai, negli Stati della “rust belt” (il Nordest, la regione dei Grandi Laghi e il Midwest industriali), nel ceto medio che sta sprofondando sempre più in basso, tra le famiglie si può dire normali? e tra i bianchi che i liberal chiamano spregiativamente white trash tanto nessuno ti dice nulla. Cioè tra gli ultimi, nelle periferie umane, tra gli emarginati, fra i pariah di cui i radical-chic hanno ribrezzo, insomma quelli che la politica ha snobbato e punito due, tre volte. Gente che ha perso il lavoro per colpa di un’economia che uccide perché stupra la proprietà privata, stravolge il mercato e calpesta l’unico toccasana che fa girare il Paese e cioè la concorrenza. Cittadini schiacciati dalla spesa pubblica, dagli sprechi e della burocrazia in cui è morto il sogno americano. Contribuenti che pagano le tasse solo per vedersi ingrandire sotto il naso l’esercito di quelli che invece vanno a rimorchio. Addirittura americani sindacalizzati. Tipi, uno crede, che dovrebbero essere il territorio di caccia delle Sinistre e invece no. La Sinistre le persone così la snobbano perché della povertà, della miseria, del bisogno alle Sinistre non interessa. Lo si è chiamato populismo, quello di Trump, e per certi versi è vero. Trump ne ha fatto una bandiera, e di per sé non è una bella bandiera: il populismo rima infatti sempre con il dirigismo e in cuor suo sogna l’uomo con gli stivali. Ma il fatto è che nel mistero Trump non c’è solo il populismo. Le urne lo hanno rivelato a gran sorpresa. Sommati tutti i populisti sostenitori di Trump, un delta di suoi elettori sfugge all’etichetta. C’è insomma una presenza ancora senza nome che nel sedicesimo anno del terzo millennio cristiano strappa un numero enorme di persone a rischio di socialismo perché le ha affascinate forse più che convinte che la soluzione vera abita altrove. Che non esiste Shambhala, ma un Paese più vivibile, equo e giusto sì. Non si capirebbe sennò come mai Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin abbiano voltato le spalle al Partito Democratico e abbracciato il mistero Trump. L’unico precedente storico che si conosca risale ai “Reagan Dem”, quei Democratici che Ronald Reagan riuscì a strappare al socialismo articolando per loro e assieme a loro una visione propositiva per il futuro. Trump non è affatto Reagan, ma di un Reagan c’è bisogno. Quella presenza senza nome che circonda la proposta politica del Trump che non è Reagan, e che non è nemmeno riducibile al mero populismo dirigista e un po’ fascista, adesso prova a fare la propria parte. Visto il punto da cui parte, non potrà che essere meglio.
Si respira, insomma, qualcosa di più oggi nell’America politica che le categorie politiche non riescono a ingabbiare. Prova ne è il fallimento totale dei sondaggisti, uguale e identico a quello che ha preceduto il voto sulla inutilmente demonizzata Brexit nel Regno Unito (a meno che, invece, i sondaggi di una stampa connivente ieri e buggerata oggi non siano rubricabili anch’essi alla voce propaganda). Soffia un vento che non si riesce a definire, ad afferrare, a ridurre. Ed è qualcosa di bello se sbaraglia impresentabili come la Clinton e falliti come Obama. È una reazione, un’insorgenza. E quando i suoi lombi non sono nobilissimi, si nobilita con un bel fare e con un bell’impegnarsi.
Edmund Burke, il padre del conservatorismo anglosassone, diceva che nel popolo esiste una sorta di sesto senso, addirittura una specie di genio che, soprattutto nei momenti di pericolo estremo, permette d’imboccare la strada giusta sfoderando un buon senso, resto di un senso comune, che non ricordava nemmeno, o forse neanche sapeva, di avere conservato in cascina per i tempi peggiori. Burke era il contrario esatto di un populista, ma a lui sono attribuite quelle parole famose secondo cui affinché il male trionfi è sufficiente che i buoni non facciano alcunché. Ecco, i buoni sono quel popolo e quell’aristocrazia naturale che, quando è il momento, con istinto ragionato, fanno la cosa giusta. Certo, appaiare la parola aristocrazia al cognome Trump è troppo, ma di solito la Provvidenza non chiede agli uomini il permesso di agire né tantomeno prende raccomandazioni su chi usare per farlo. No, Trump non è l’uomo della Provvidenza, ma la Provvidenza si serve di uomini. In God We Trust.
Marco Respinti