Sapevamo tutti che, prima o poi, le porte verso Cuba gli Stati Uniti le avrebbero riaperte. Sapevamo che, comunque fosse andata, qualcosa sarebbe andato storto e che qualcuno (per forza) ne sarebbe rimasto scontento. Adesso che quelle porte sono state aperte sappiamo anche (per esperienza e non più per supposizione) che il modo impiegato dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama per farlo è quello sbagliato e che invece si deve alla Chiesa Cattolica (interessata alla rievangelizzazione del popolo cubano) ogni aspetto sul serio positivo della faccenda.
Ma proprio per questo, lo “sdoganamento” di Cuba lascia scoperti alcuni nervi sensibilissimi. Su uno, fondamentale, pongono l’accento due analisti di grande esperienza sulle pagine del periodico conservatore statunitense National Review in data 6 gennaio. Sono Yleem Poblete e Jason I. Poblete: il primo è l’ex capo dello staff della Commissione Affari esteri della Camera federale dei deputati statunitense, fellow nella Catholic University of America di Washington; il secondo, avvocato, ha co-presieduto la Commissione sulla sicurezza nazionale della sezione di Diritto internazionale dell’American Bar Association.
La questione è quella del terrorismo internazionale, sempre cogente, sempre più attuale. Da lungo tempo, infatti, Cuba è sulla lista degli Stati che favoreggiano il terrorismo internazionale e per questo da lungo tempo gli Stati Uniti considerano Cuba un nemico frontale, attivo a pochissimi chilometri dalle proprie frontiere.
L’isolamento del regime cubano è sempre stato dettato da queste fondamentali considerazioni e per decenni ha svolto benissimo il suo compito, come acutamente sottolinea Lee Edwards, una delle figure storiche del conservatorismo statunitense, lui stesso storico di pregio del movimento conservatore, giornalista di talento, già docente di Scienze politiche nella Catholic University of America. Aprire le porte a Cuba significa preludere alla cancellazione del Paese caraibico dalla lista dei nemici degli Stati Uniti che figurano nell’elenco degli sponsor del terrorismo.
Ma come può farlo Barack Obama? In base all’Export Administration Act del 1979, che per ragioni di sicurezza nazionale conferisce alla Casa Bianca prerogative di controllo sul commercio estero, esistono solo due modi per essere cancellati da quella lista come da tempo il regime cubano spera e del resto chiede a Washington.
Il primo modo è che il presidente degli Stati Uniti certifichi al Congresso federale un cambio tale nella leadership di un Paese inserito in quella lista, un cambiamento di regime tale da modificarne radicalmente le politiche (l’Irak, per esempio). Ma nel caso di Cuba questo ancora non c’è. Il regime è sempre lo stesso, e per di più, con il passaggio continuativo di consegne tra Fidel Castro e il fratello Raúl per meri motivi di salute del primo, si è fatto anche dinastia. Lo dimostra bene il fatto che le provvisioni contenute nel Cuban Liberty and Democratic Solidarity (Libertad) Act del 1996 (legge che in questi anni ha permesso il mantenimento e ha rafforzato l’embargo statunitense contro L’Avana) restano ancora perfettamente disattese. Tali provvisioni, atte a tenere Cuba alla catena finché il regime comunista non crolli, ruotano tutte attorno a un transizione pacifica a forme rappresentative di governo; affinché si possa parlare di transizione pacifica a forme rappresentative di governo debbono quindi essere soddisfatte una serie di condizioni oggettive; e tra queste vi dev’essere anche l’indizione di elezioni libere.
Ma a Cuba queste ancora non si vedono. Se mai arrivassero, uno dei loro effetti eventuali sarà a quel punto quello di portare finalmente alla cancellazione di Cuba dalla lista degli Stati che sponsorizzano il terrorismo internazionale; ma appunto, per poterla cagionare, le elezioni libere dovranno svolgersi prima e non dopo la cancellazione del nome dell’isola caraibica dalla lista dei famigerati.
Affinché Cuba possa sperare, come vuole e chiede, di essere rimossa dalla lista dei Paesi fiancheggiatori del terrorismo internazionale resta solo la seconda chance: che il presidente degli Stati Unti presenti al Congresso federale, 45 giorni prima della proposta cancellazione da detta lista, una relazione in cui si certifica che il Paese in questione non è coinvolto in alcuna attività di supporto al terrorismo internazionale da almeno sei mesi, offrendo inoltre garanzie incondizionate di identico comportamento per il futuro.
Ma anche qui Cuba non ha i requisiti necessari. Cuba, infatti, ha appoggiato e accoglie sul proprio suolo membri dell’ETA basco e delle FARC colombiane, gruppi definiti entrambi terroristi dagli Stati Uniti. Magari qualcuno potrà anche pure simpatizzare per l’ETA e per le FARC che gli Stati Uniti definiscono gruppi terroristici, potrà pure farlo negli stessi Stati Uniti, ma per la legge vigente negli Stati Uniti è un illecito; e persino il presidente degli Stati Uniti non più violare la legge degli Stati Uniti cancellando Cuba dalla lista degli Stati che sponsorizzano il terrorismo internazionale senza prima rimuovere l’ETA e le FARC dalla lista dei gruppi terroristici. Cosa che evidentemente, e a ragione, si guarda bene dal fare.
Chi nutrisse dubbi, potrebbe chiedere spiegazioni al governo spagnolo, che ricerca i rifugiati dell’ETA a Cuba per crimini terroristici orrendi. Lo stesso vale per le FARC, le cui armi continuano disinvoltamente a insanguinare la Colombia e che vanta legami con l’AQIM, vale adire al-Qaeda nel Maghreb islamico. Legami, questi, che restano: il rapporto sullo stato del terrorismo internazionale, pubblicato dal Dipartimento di Stato statunitense nell’aprile 2014 e interpretato come la voce di un giudizio moderato sulle vicende cubane, non li nega affatto; afferma che non sono più i legami che c’erano una volta, ma non sostiene affatto che non esistono più. Ora, che la forza del socialcomunismo internazionale non sia più quella di un tempo è evidente (è questo che ha maturato lo “sdoganamento” di Cuba), esattamente come lo è il fatto che proprio per questi motivi il peso specifico dei Paesi comunisti nello scenario degli “Stati canaglia” antioccidentali è del tutto ridimensionato: si tratta di un fatto storico oggettivo che costituisce una verità culturale acclarata la quale non aumenta di autorevolezza solo perché la si ripete meccanicamente in rapporto del Dipartimento di Stato statunitense. Ma quel che conta è che, pur oggi meno intensi per ragioni ovvie (e non per nuove virtù), i vecchi legami tra il regime comunista cubano e gruppi terroristici come ETA e FARC permangono per certificazione pubblica del Dipartimento di Stato obamiano.
Inoltre, lo stesso rapporto del Dipartimento di Stato statunitense evidenzia come Cuba dia asilo anche a diversi ricercati dal sistema giudiziario statunitense: tra questi, Joanne Chesimard, classe 1947, attivista del gruppo eversivo marxista Pantere Nere e quindi del Black Liberation Front, condannata per omicidio di primo grado, evasa nel 1979, ospitata a Cuba dal 1984, definita “terrorista interna” dall’FBI nel 2005 e nota come Assata Shakur. L’Avana la considera da sempre un rifugiato politico e non ha alcuna intenzione di rimandarla in patria. Insomma, siamo seri…
Marco Respinti
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