Ecco, la Repubblica scopre l’acqua calda. Nella fattispecie scopre le lobby e si straccia le vesti. Un articolone a tutta pagina pubblicato sabato 12 novembre con il titolo L’economia delle lobby inizia così: «L’establishment abbraccia il populista. Le élite saltano sul carro del vincitore. E il realismo stempera il movimentismo». Chi scrive è il solitamente bene infornato e raffinatamente attento Federico Rampini, quello che per esempio al TG1 delle 20,00 di mercoledì 9 novembre in poche battute sbertucciava a dovere il mondo fatato dei sondaggisti clamorosamente incapaci da un po’ di tempo in qua di azzeccarne una perché, ragionava intelligentemente Rampini, sono tutti presi soltanto a sondarsi addosso. Stupisce dunque che a scoprire l’acqua calda delle lobby sia lui, epperò la sua acqua non è per questo meno calda.
Le lobby, infatti, non le ha inventate Trump, né le lobby hanno inventato Trump. Le lobby ci sono da sempre. Se l’8 novembre le elezioni per la Casa Bianca le avesse vinte Hillary Clinton, ci sarebbero state lobby a premere sull’esecutivo. Se avesse vinto Bernie Sanders, ci sarebbero state lobby. E le lobby ci sarebbero state anche se presidente degli Stati Uniti fosse diventato Rampini, oppure io.
Le lobby sono gruppi d’interesse che ovviamente fanno pressione, ambienti che, avendo a cuore una certa policy, fan di tutto per ottenere l’attenzione della politica e la soddisfazione dei propri desiderata. Le abbiamo viste all’opera nella storia statunitense, le abbiano viste in scena al cinema e nei serial tivù.
Le lobby e gli advocacy group sono infatti il sale della politica; negli Stati Uniti le lobby sono particolarmente attive soltanto perché negli Stati Unti le lobby agiscono scopertamente, fanno parte dello scenario quotidiano, scendono in campo, pronunciando endorsement o contro-endorsement pubblici e i candidati ne cercano pubblicamente il sostegno. A casa nostra si vedono meno soltanto perché le lobby sono più oscure.
Le lobby statunitensi sono la piazza, la società civile, l’economia non virtuale e il mondo reale. I cittadini che votano (negli Stati Uniti infatti si vota), scelgono i propri governanti e, attraverso le lobby, cercano di condizionarne la politica. Cosa c’è di più democratico di questo? La democrazia americana, infatti, non è democraticismo e nemmeno partitocrazia. È lo spazio pubblico dove gl’interessi si affrontano in un mercato di concorrenza mercato. Le lobby sono il modo attraverso cui i cittadini agiscono senza consegnare carta bianca ai governati che eleggono; è il modo mediante il quale li tengono alla catena, li controllano, li promuovono o li bocciano. Togliete le lobby, e la politica sarebbe solo una prateria sterminata in cui il potere che alimenta se stesso scorrazza indisturbato facendo quello che gli pare.
Le lobby sono invece un aspetto dei check and balance su cui regge il sistema; lo sono assieme ai meccanismi costituzionali che permettono agli Strati Uniti di funzionare, di evitare la democrazia massificata pur garantendo sempre il voto a ogni singolo cittadino e di con conoscere mai crisi di governo. Svolgono cioè, anche le lobby che per definizione sono il privato, una funzione pubblica di equilibrio del potere politico, di freno, di controllo. Sono insomma un aspetto del governo limitato cui nessun americano vorrebbe rinunciare.
Sono la società civile che usa il potere politico per non farsene usare, il Paese reale che governa mediante lo strumento del Paese legale e non il contrario. Le lobby insomma, sono una bella cosa e meno male che con Trump al governo continueranno a fare il proprio sacrosanto mestiere. Anche se avesse vinto Hillary ci sarebbero state, e questo è il motivo per cui gli Stati Uniti funzionano e non sono una tirannia; semplicemente sarebbe state lobby diverse da quelle che premeranno su Trump. Ma le lobby che sarebbero scese in campo se avesse vinto Hillary e non Trump esistono ancora, e sarà loro compito cercare di ottenere spazi nel mondo politico nonostante Trump. Non scompariranno le lobby ecologiste, le lobby progressiste, le lobby abortiste. Questo perché gli Stati Uniti non sono una dittatura, e non lo sono proprio anche grazie alle lobby. Dopo di che, vinca il migliore, com’è successo stavolta con Trump, il quale quindi rappresenterà in politica le lobby antiecologiste, antiprogressiste e antiabortiste. Stento capire perché qualcuno si stracci le veste indignato. A meno che quello che proprio non piace non sono le lobby, ma questo tipo di lobby.
Marco Respinti
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