La vittoria di Donald Trump nelle primarie del Partito Repubblicano svoltesi il 9 febbraio in New Hampshire era ampiamente prevedibile. Il New Hampshire è uno stato secolarizzato e liberal, soprattutto se paragonato all’Iowa dove il voto del 1° febbraio ha premiato conservatori, pur diversi, come Ted Cruz e Marco Rubio. In New Hampshire, cioè, Cruz e Rubio “stonano”, mentre Trump è sufficientemente anti-establishment (come pare essere sinora l’orientamento generale del voto sia a destra sia a sinistra) e sufficientemente non conservatore per attrarre i voti dell’elettorato Repubblicano locale, appunto diverso dall’elettorato Repubblicano dell’Iowa.
Questo spiega pure perché John Kasich e Jeb Bush abbiano ottenuto risultati assai migliori in New Hampshire che non in Iowa, battendo persino i vincitori dell’Iowa, uno aritmetico e l’altro morale, Cruz e Rubio. Su Kasich e Bush è infatti ricaduta la scelta di quella parte dell’elettorato Repubblicano filo-establishment nemico di candidati anti-establishment come il conservatore Cruz o il populista Trump (benché forse dare a Bush del filo-establishment sia un po’ riduttivo).
Una precisazione. Dire establishment in questi contesti significa fare riferimento alle “caste” e gli apparati di partito contro cui si scagliano le ali movimentiste, per esempio i “Tea Party” a destra e “Occupy Wall Street” a sinistra. Eppure anche questa definizione di establishment è vecchia, almeno per quanto riguarda il Partito Repubblicano. Dentro il Grand Old Party (GOP), l’altro nome dei Repubblicani, è infatti in atto, da qualche anno, una trasformazione profonda che ha finito per estromettere il vecchio establishment (i liberal, i moderati, i centristi o comunque i meno conservatori) e per consegnare il partito all’ala più movimentista. Sicché oggi dire establishment significa dire quel che fino a ieri era anti-establishment… Nulla del resto vieta a questo nuovo establishment “già movimentista” di essere superato a destra da un movimentismo nuovo: è in parte così che si spiega la differenza, e lo scontro, tra due conservatori come Cruz (il nuovo movimentismo) e Rubio (il nuovo establishement “già movimentista”).
Occorre dunque precisare le definizione di Kasich. Dire che Kasich è un “uomo di establishment” significa dire che è uomo del vecchio establishment, non del nuovo establishment “già movimentista” oggi rappresentato diciamo da Rubio (a cui fa la guerra il nuovo movimentismo anti-nuovo establishment di Cruz).
Kasich, cioè, appresenta il vecchio establishment sfrattato dal nuovo GOP (cioè dal nuovo establishment “già movimentista”) e lo rappresenta bene perché rappresenta bene i motivi che hanno portato il nuovo GOP a sfrattare tipi come lui. National Review lo ha rotondamente definito un “teocratico” che piace alla Sinistra. Fa testo l’endorsement riservatogli da The New York Times. Kasich sfoggia infatti una perfetta retorica religiosa, ma lo fa per benedire ogni e qualsiasi politica liberal. Il suo verbo è quello del social gospel, della bolsa retorica contro le armi da fuoco e della retorica altrettanto bolsa sull’assistenza medica “per tutti”. Da noi, e se fosse cattolico, lo si chiamerebbe un cattolico “adulto”. Ovvero uno di quei Repubblicani in via di estinzione che però in posti come il New Hampshire hanno ancora un loro perché.
Ma fuori dal New Hampshire? Certo, ci sono altri luoghi dove Kasich non sfigurerebbe, ma pare che in New Hampshire Kasich abbia speso tutto quello che aveva a diposizione. Il successo ottenuto gli porterà altri fondi, ma è comunque arrivato secondo dove era “favorito”: i dollari che gli arriveranno non saranno certo un profluvio.
Quanto alla Sinistra, è ufficiale: Hillary Clinton ha guai decisamente seri. Anche perché adesso qualcuno incomincerà a investire seriamente sul vittorioso Bernie Sanders (come sempre avviene dopo i primi risultati positivi). Ora, se in uno Stato come il New Hampshire la vittoria Repubblicana di Trump era prevedibile, la sconfitta della Clinton lo era in teoria meno. Ma questo in condizioni politiche normali, ovvero in un quadro generale in cui i Democratici schierassero candidati liberal non molto dissimili l’uno dall’altro e non certo un estremista dichiarato come Sanders. Davanti a un estremista così, l’elettorato Democratico ‒ che rivela di essere estremista ‒ fa un ragionamento semplicissimo e coerentissimo: perché scegliere una imitazione della Sinistra (Clinton) quando possiamo avere tutto l’originale (Sanders)? Evidentemente non è vero che la Clinton sia fintamente di sinistra, ma agli occhi degli arrabbiati, dei barricaderi e dei movimentisti è difficile venderla come una eroina proletaria anti-sistema…
Un nota bene finale. Sia tra i Repubblicani sia tra i Democratici esistono i superdelegati, ovvero certi membri eminenti del partito che hanno a disposizione voti propri da giocare come vogliono per incidere sulla nomination. Possono esprimere il proprio voto per chi vogliono e quando vogliono. Dire che rappresentano la voce degli establishment, vecchi o nuovi che siano, non è affatto sbagliato. Ebbene, i superdelegati Democratici hanno già votato in gran massa per la Clinton e molto molto meno per Sanders. Di quelli Repubblicani invece nessuno si è ancora pronunciato.
Marco Respinti
articolo inedito
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