Il cardinale Pinko Pallinis ce l’ha più grosso degli altri, il superattico. Echissenefrega. Per carità, se monsignore ha commesso illeciti che paghi, gl’inquirenti facciano il proprio mestiere, la magistratura tiri le somme. Dopo però basta. Lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti e voltiamo pagina perché le pagine di questi giorni sono inguardabili. Non perché sputtanino nomi e sbertuccino conti (è così più o meno da duemila anni); non perché i progressisti hanno attaccato i conservatori perché hanno attaccato i progressisti perché hanno attaccato i conservatori; ma perché nessuno si rende conto che il disastro vero è un altro. Il disastro non è solo che i corvi ronzano e che i falchi incombono. Non è solo che l’anticlericalismo borgataro e quello solo apparentemente più fino dei salotti ringalluzzisce. Non è solo che tutti si sentono giustificati a farlo perché lo fa anche il prevosto. Il disastro è che, mentre tutti sbirciano le sottane dei preti (per primi i preti che si sbirciano addosso) o il décolleté delle consulenti, la Chiesa sta smettendo di essere Chiesa.
Difficile farci le prime pagine dei quotidiani, e le seconde, e le terze, e le quarte, ma il disastro vero è questo. È la Chiesa in disarmo, la Chiesa a riposo, la Chiesa in pensione; la Chiesa che non fa missione e che non evangelizza; la Chiesa che non annuncia e che non condanna; la Chiesa che non perdona e che non bacchetta; la Chiesa che non c’è e se c’era dormiva; la Chiesa ospedalizzata e non ospedale da campo; la Chiesa a cui la talare tira di spalle e la dottrina è corta di maniche; la Chiesa che non sa di nulla e che soprattutto, rombo di tamburi, fugge il martirio.
Roba da preti, si dirà, e il male profondo del nostro mondo è proprio questo. Perché una Chiesa che fa la Chiesa non affatto è roba da preti, è roba da uomini. Per essere grandi bisogna fare cose grandi e avere grandi nemici. Darsi di gomito dal barbiere per la “papessa” è roba da telenovela adatta a tempi sciatti come i nostri dove nemmeno gli atei sono più gli atei di una volta. Quando avremo affisso sulla pubblica piazza, o sul portone di una cattedrale sia Wittemberg o Pizzighettone, le metrature di tutti i superattici di tutti i monsignori del mondo gusteremo di più il nostro Bacardi? Oppure continueremo ad angosciarci come sempre le interiora per sapere se il Paradiso e l’Inferno (e il Purgatorio) esistono, se Dio c’è o no, se sta vita di emme non potrebbe poi riservare gioia inaspettata, se anche noi siamo solo un metro cubo di letame (come l’italiota Giuseppe Garibaldi disse del Servo di Dio Papa Pio IX) oppure fatti davvero poco inferiori agli angeli?
Il disastro vero non è una Chiesa che assomiglia al mondo corrotto tanto quanto il mondo assomiglia alla Chiesa corrotta. Il disastro vero è che i princìpi della Chiesa prendano gli sputi in faccia quando li meritano, mentre dovrebbero prenderli quando non li meritano. Che la nostra vicenda, diceva T.S. Eliot, non finisca con uno schianto, ma con un gemito. Credenti o non credenti, il mistero della storia è che se la Barca di Pietro affonda nessuno raggiunge la riva vivo. A camminare sulle acque ce n’è stato uno solo. Gli atei non ci credono. E monsignore?
Marco Respinti
Versione completa e originale
dell’articolo pubblicato con il medesimo titolo
in l’intraprendente. Giornale d’opinione dal Nord,
Milano 06-11-2015
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