Su l’intraprendente. Giornale di opinione dal Nord del 3 settembre è uscito il mio articolo Maestri di giornalismo a cui ha risposto Corrado Ocone con un articolo che riporto qui di seguito con in calce la mia replica.
Ma pubblicità vuol dire libertà
di Corrado Ocone
Raramente mi trovo in disaccordo con un articolo de L’Intraprendente. Tanto più se esso ha di mira il tempio giornalistico del politicamente corretto all’italiana, cioè La Repubblica fondata da Eugenio Scalfari. Se poi aggiungiamo a ciò il fatto che ho profonda stima di Marco Respinti, l’autore di Maestri di giornalismo, e che quasi sempre condivido le sue fini e non conformistiche analisi politico-sociali, il fatto è ancora più strano. Ed esige, anche per rispetto per l’autore, che io metta per iscritto le mie critiche e perplessità su quello che Respinti considera un atto immorale e di cattivo giornalismo da parte di Repubblica: l’aver messo in pagina, una affianco all’altra, la tragica foto del piccolo Aylan e la pubblicità di un capo di intimo femminile con tanto di sontuoso lato b in bella mostra di sé.
Respinti parla di menefreghismo, mancanza di buon gusto, ecc., ma io credo che le cose non stiano così. La pubblicità si è infatti affermata, a ragione, nella nostra società, come una sorta di “zona franca“, su cui, ad esempio proprietari e redattori di un giornale non devono mettere becco: dei suoi contenuti devono, appunto, fregarsene. Di essi sono irresponsabili. Perché “a ragione”, è presto detto. Se la pubblicità è l’anima del commercio, come recita un adagio popolare, e se il commercio, lo scambio, è l’anima del capitalismo, come ci insegnano i classici dell’economia, sillogismo stringente vuole che la pubblicità è coessenziale a una società libera di mercato. Anzi, ad una società libera tout court.
E infatti la grande stampa popolare indipendente, soprattutto nei paesi anglosassoni, si è affermata, ormai più di un secolo fa, proprio nel momento in cui le gazzette, che prima erano la voce di qualche padrone che li finanziava, hanno cominciato ad ospitare pubblicità di saponette, detersivi, capi d’abbigliamento, prelibatezze alimentari, ed ogni ben di Dio. Non è un caso: il direttore di un giornale che ha tanta pubblicità ha anche tanta indipendenza. Sempre che voglia valersene, cosa che in questa povera Italia, e soprattutto dalle parti di Largo Fochetti, non è certo scontata. Egli ha sempre il coltello dalla parte del manico contro ogni pretesa o ingerenza del potere o della proprietà. E, infatti, nel nostro mondo libero tutte le libertà si tengono, come pure a ragione suol dirsi. E se si comincia da un punto a controllare e censurare, state pur certi che il potere non si fermerà più davanti a nulla.
Paradossalmente abbiamo la libertà di parlare di tutto e interpretare come crediamo un avvenimento, e anche di far vedere le immagini di un piccolo e innocente profugo morto, solo grazie all’apparentemente effimero mondo della pubblicità. Non sembri irriverente, ma è anche grazie al lato b della modella. Che poi, possiamo anche non apprezzare, manifestando i nostri sentimenti di gusto, o di buon gusto, attraverso la nostra libera scelta di consumatori. Capisco i nobili sentimenti che animano Respinti, che in parte sono anche i miei. Ma il nostro mondo laico, liberale, secolarizzato, è un mondo profano, non eroico. È fatto di materiali grezzi. Poiché è l’unico che ci dà la possibilità di scegliere il nostro posto nel mondo e di costruire la nostra personalità, esso, parafrasando Churchill, può essere giudicato certo un cattivo sistema ma di sicuro di migliore non ci è dato finora conoscerne.
Il nostro mondo libero e variopinto è anche un mondo di merci. E la merce, checché ne pensino marxisti e benecomunisti vari, è non un feticcio ma quasi l’oggettivazione della nostra libertà. E proprio questo meraviglioso, vario e quantitativamente esorbitante universo di cose, a volte essenziali altre volte (apparentemente) superflue, a cui ci siamo abituati e che viviamo spesso con snobismo o indifferenza, è non solo l’indice della nostra libertà ma anche il fattore di attrazione per tanti poveri e diseredati della terra. I quali, con buona pace del Papa, chiedono più merci e più capitalismo e non una fantomatica uguaglianza nella povertà.
Quanto poi alla mia particolare visione del mondo, ma qui stiamo appunto nel campo delle scelte individuali che la società libera permette, tutte in quanto tali opinabili, devo dire, e non credo di contraddirmi, che, da una parte, provo profonda e umana compassione per il piccolo Aylan, ma, dall’altra, non ho remore di fronte a quei “vizi virtuosi” (permettetemi l’ossimoro mandevilliano) a cui la pubblicità di Yamanay simbolicamente allude. Intendo, il lusso e la (misurata) lussuria. Virtù borghesi per eccellenza.
La mia replica
Per parafrasare Corrado Ocone, confesso che spesso mi trovo in disaccordo con L’Intraprendente (per esempio su quel venditore di aspirapolveri di nome Donald Trump che finirà per eleggere l’imprensentabile Hillary Clinton e su Papa Francesco descritto sostanzialmente come catto-comunista) ma il bello del nostro mondo liberale e secolarizzato, profano e non eroico, è che spesso L’Intraprendente è d’accordo con me senz’averne colpa. Per la profonda stima di Corrado Ocone, l’autore di Ma pubblicità vuol dire libertà che risponde egregiamente al mio Maestri di giornalismo, di cui quasi sempre condivido le fini e non conformistiche analisi politico-sociali, replico dicendo che questa è una delle volte con cui sono perfettamente d’accordo con lui. La pubblicità per i giornali è libertà, una zona franca intangibile che permette di non dovere dire sissignore a nessuno, di tenere la schiena ritta e di svolgere bene il proprio mestiere. Proprio per questo ho scritto quel che ho scritto, allibito dal fatto che nel citato caso di “Rep” non sia stata esercitata la libertà di spostare quella pubblicità in altra pagina. Riguardate la fata in mutande che osserva Aylan morto. Il quadro è davvero grottesco. Il capitalismo, che è anzitutto una morale, proprio non se lo merita.
Marco Respinti